Gli eccessi sono sempre sbagliati. Partiamo da qui.

Il Sarrismo? Un eccesso, nato probabilmente per scopi pubblicitari più che per fervore per un sol uomo al comando. Era sbagliato. E difatti il culto si è andato a schiantare contro la corruttibilità – ma forse è più giusto dire ambizione – umana dell’uomo da Figline Valdarno. Che si è dimostrato appunto un semplice uomo, non un comandante.

Gli A16? Un altro eccesso, in questo caso becero, poco civile e per niente educativo. In questo caso non c’è stata punizione migliore per loro che veder il Napoli trionfare dopo 33 anni e proprio per mano dell’uomo da loro più odiato: Aurelio De Laurentiis.

L’eccesso di quest’anno? Etichettare come “tifosi che vogliono solo vincere” anche coloro che si permettono di obiettare o criticare alcune scelte di mercato del Napoli. In realtà anche quest’eccesso è di lunga data ma, come dire, lo scudetto appena vinto sembra aver dato una sorta di inattaccabilità a questa fazione.

Tuttavia, se la risposta a qualsiasi obiezione diventa: “non puoi parlare perché non sei imprenditore”, “non puoi parlare perché non sei direttore sportivo”, “non puoi parlare perché non sei calciatore”, “fai il tifoso”, allora è chiaro che non esiste dibattito fruttuoso che si possa avere. E non c’è però nemmeno modo di far maturare il pensiero critico del tifoso stesso. Se si vogliono “educare le folle”, e questo vale in generale, la discussione ragionata è il terreno fertile sul quale provare a far crescere le idee. E, se vogliamo, è anche il motivo per il quale è nata questa testata giornalistica che, per fortuna, di punti di vista diversi ne accoglie eccome.

Detto ciò, giudicare l’operato del Napoli dell’ultima dozzina di anni con un aggettivo diverso da straordinario risulta esercizio fantasioso: sempre nei primi posti in Italia, sempre in Europa, con i conti in ordine nonostante un evento epocale come la pandemia, uno scudetto vinto dopo 33 anni, diverse coppe nazionali. Fantastico. Ineccepibile.

Eppure, come scritto pochi giorni fa con quella che era chiaramente una provocazione, non ci si può adagiare sugli allori e non ci si può esimere dall’esprimere critiche sull’operato odierno, altrimenti viene a mancare quell’obiettività che rende lo “straordinario”, scritto poc’anzi, inattaccabile.

Se da una parte è assolutamente vero (dati alla mano) che il tifoso napoletano si è imborghesito da anni e che tifa "solo" quando vince, è altrettanto vero che pretendere di fare il possibile, non l’impossibile, per vincere è diverso dal pretenderlo.

È colpa dei social” dicono in molti, adducendo che la percezione dello smarrimento/immobilismo del Napoli in questo mercato sia dovuta ai tempi del calciomercato moderno: dilatati dal refresh continuo, quasi ossessivo, che trasforma un giorno in un mese. È effettivamente così, ma bisognerebbe approfittare di questa spazio temporale per aiutare le persone a capire, tralasciando il rimpianto di quando il mercato durava solo poche settimane sui giornali a mera riflessione nostalgica. Che poi, se vogliamo, i social ci hanno insegnato a capire anche quanto la narrazione dei giornali sia artefatta (quando non è asservita). Siamo sicuri che si stava meglio allora? O forse era solo beata ignoranza?

Ed è per questo che non è reato obiettare che il mercato del Napoli ad oggi è deludente, non soltanto perché economicamente e tecnicamente c'è ad oggi la sensazione che si potesse fare di più, ma soprattutto perché ciò che sembra mancare quest'anno è un'idea chiara. Finora, almeno.

Insomma, si poteva fare di più, si può ancora fare di più. Parecchio di più. Il Napoli lo sta facendo?

Bisogna avere il coraggio di farsela questa domanda, di sentirsi liberi di porsela anche a valle di uno scudetto appena vinto. Anche se è scomoda. Lo diceva anche un uomo la cui vita era stata guidata dalla libertà di porsi domande, molto scomode, uno che in questi giorni è di nuovo sulla bocca di tutti. Si chiamava Robert Oppheinemer.