Terza sconfitta consecutiva, tra campionato e coppe, per il Napoli di mister Walter Mazzarri. Era dal 2016 che gli azzurri non lasciavano agli avversari l’intera posta per tre partite di fila. Quel Napoli, allenato da Maurizio Sarri, chiuse la stagione al terzo posto dopo un testa a testa per la seconda piazza proprio con la Roma dell’ex Luciano Spalletti, ritrovandosi alla grande nella seconda parte del campionato con Dries “Ciro” Mertens al centro dell’attacco.

Quella allo Stadium è una sconfitta che esclude, forse definitivamente, gli azzurri dalla lotta scudetto. Piazzandoli oltretutto fuori dai quattro posti utili per la qualificazione alla prossima Champions, obiettivo minimo dichiarato dalla società. Una sconfitta dal sapore acre. Che sa di beffa per come la squadra ha tenuto il campo, rischiando il minimo contro la, seppur momentanea, capolista Juventus.

Ma oggi parlare di un Napoli a tratti autoritario, che ha comandato per lunghi momenti il match, sprecando una clamorosa occasione con Kvaratskhelia sullo 0-0, vorrebbe dire analizzare il momento no degli azzurri con estrema superficialità. Da inizio stagione la piazza, almeno la parte più rumorosa, prova ad individuare un colpevole. Si punta il dito sul presidente. Reo di non aver trattenuto Spalletti e Giuntoli, considerati i principali artefici della cavalcata scudetto. Su Garcia e il suo staff: colpevoli di aver tracciato un solco tattico ed emotivo tra il passato e il presente. E a turno su qualche singolo. Ieri era Meret oggi Rrahmani, protagonisti in negativo di alcuni episodi determinanti.

Un po’ come si faceva a scuola qualcuno ha deciso di dividere la lavagna in buoni e cattivi. Crediamo invece che in un’ottica di squadra le valutazioni debbano seguire altri schemi. Si vince e si perde insieme. Sempre. Oggi quello che manca al Napoli non è il gioco. Non sono i terzini sinistri. Non è il gigante Kim. Ci rifiutiamo di seguire la strada più semplice. Perché al netto di una proposta ben lontana dalla bellezza espressa nella passata stagione, parliamo di una squadra che dal punto di vista statistico si mantiene su livelli più che dignitosi. Primi per possesso palla e per conclusioni, tanto per citare due dati.

Mario Rui e Olivera sono due assenze pesanti, ma basta questo per giustificare ad esempio gli errori di Kvara a Torino e Madrid? Sia chiaro, non parliamo delle difficoltà nel ritrovarsi sempre raddoppiato e senza un appoggio. Ma quando si è in possesso di certe qualità e sei solo davanti al portiere non può esserci alternativa al gol. Diffidiamo di chi ha la presunzione di avere tutte le risposte, ma vorremmo comunque provare a dire la nostra.

Il Napoli è una squadra che crede di non dover più dimostrare nulla. Quando si vince in quel modo dopo 33 lunghissimi anni si corre il rischio di sentirsi appagati. Specie quando non sei abituato al successo. Un atteggiamento difficile da biasimare. In fondo essere un grande club, una grande società, passa anche da una qualità che non può essere comprata. Spesso si usa a sproposito il sostantivo DNA, ma anche la “storia” ha un peso. Ecco il Napoli sta costruendo la propria storia e per farlo ha bisogno di passare anche attraverso momenti come questi.

Mazzarri sta provando a ricostruire l’equilibrio perduto. Lavorando non solo sulle gambe, ma anche sulla testa dei ragazzi. Povero Walter. La vittoria di Bergamo deve averlo illuso e invece avrà capito, suo malgrado, che la strada è tutta in salita. Perché puoi giocare sulle distanze, ricostruire le catene, forgiare nuovi e vecchi equilibri, ma quando sei nell’area avversaria tutto questo assume un valore relativo. Si dice che un allenatore incide nella fase di non possesso e nell’organizzazione dei propri 30 metri. Quando sei dall’altro lato però la differenza la devono fare i calciatori. Un allenatore ti accompagna alla soglia, ma l’ultimo passo lo deve fare chi indossa scarpette e pantaloncini.

Manca cattiveria o la “vena gonfia” se preferite abbandonarvi a precoci nostalgie dialettiche.

Il Napoli è una squadra che gioca specchiandosi nel ricordo della passata stagione. Una stagione resa straordinaria anche da quel pizzico di fortuna che aiuta gli audaci. Quante volte si sbloccava la partita alla prima occasione. Quante volte le conclusioni avversarie morivano sulla traversa difesa da Meret. Anche lui capace di quei guizzi che lo hanno reso uno dei protagonisti del successo.

Oggi la luce della porta avversaria sembra ridotta ad un lumicino. I portieri giganti insuperabili. Se poi ci mettiamo alcune delittuose amnesie in fase difensiva il quadro che vien fuori appare impietoso. Ma questo può valere in uno scontro diretto. In quelle partite in cui l’episodio la fa da padrone. Ma quando sei incapace di superare in casa il modesto Empoli, trasformando Berisha in baluardo insormontabile, qualche responsabilità ce l’avranno i ragazzi?

Perché quando l’organizzazione tattica latita lo squilibrio tecnico appannaggio degli azzurri varrà pure qualcosa? E invece manca cattiveria, la voglia di mangiare erba e avversario. Manca quella intensità tanto decantata dagli allenatori. Manca quella convinzione che porta a vincere un contrasto o un duello aereo. Può sembrare esagerato, ma diamo l’impressione di non riuscire a segnare nemmeno se ci permettessero di usare le mani.

Mazzarri reclama tempo. Tempo per allenare. Per entrare nella testa dei ragazzi. Quel tempo che oggi non puoi permetterti di desiderare. Un tempo che non c’è. Saranno 5 le partite, tra campionato e coppe, che chiuderanno il 2023. In questi 20 giorni ci si gioca il passaggio agli ottavi di questa Champions e la possibilità di essere in corsa per l’edizione futura. E poi bisogna sperare che quest’anno a gennaio inizi davvero un’altro campionato. Ma non basta crederci. Non bastano le parole. Non più.

https://youtu.be/AerX6_bduG0?si=Xv-Q7kQcyum1NFAu
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