Il Napoli Campione d’Italia è stata una storia incredibile. Nel calcio moderno, in cui il gap tra grandi centri di potere e la periferia del pallone cresce sempre di più, assume addirittura dimensioni epiche.

Una straordinarietà che sembra però destinata a restare tale. Difficile credere sia possibile ripetersi anche il prossimo anno o quelli a venire. I margini ci sarebbero tutti. Inter e Milan sono alle prese con una rivoluzione interna non semplice da gestire, la Juventus ancora non ha deciso cosa vorrà essere nella nuova vita che la Giustizia Sportiva le ha concesso e le romane che sembrano guardare l’una in casa dell’altra come priorità stagionale.

Cosa resta se non il Napoli?

Ed è proprio questa condizione di vantaggio che può diventare l’arma a doppio taglio del club di Aurelio De Laurentiis. Sedici punti dalla seconda potrebbero indurre il patron, sempre attentissimo alla gestione economica, a tirare ancora di più la corda sul tema della sostenibilità, magari illudendosi che il gap con le altre sia talmente abbondante da potersi permettere ulteriori tagli.

Se da un lato è vero che i soldi non fanno la felicità - e l’ultimo campionato lo ha dimostrato - dall’altro occorre fare i conti anche con l’idea che il risparmio non è sempre guadagno.

La scelta di Rudi Garcia, come successore di Luciano Spalletti, ci racconta non solo la voglia di continuità tattica, ma ci regala anche l’idea che l’abdicare del tecnico toscano, non abbia poi scosso più di tanto De Laurentiis. Almeno non più di quanto sia accaduto, in passato, con il rifiuto di Maurizio Sarri dopo la stagione dei 91 punti, ad esempio. Nel 2018, l’orgoglio ferito del Presidente portò a Napoli una vera e propria star della panchina. Carlo Ancelotti fu una scelta mossa dalla vanità più che dalla ratio e i risultati dell’anno e mezzo successivo lo hanno dimostrato.

A questo giro, la scelta di Rudi Garcia sembra essere stata presa come se un allenatore sulla panchina andava messo più per rispettare una convenzione, che per una convinta esigenza: “e tiriamocela ‘sta mola”. Indicativo il tweet di annuncio, fatto in un giovedì qualunque, con in tv Italia e Spagna che si giocavano la semifinale di Nations League, e un hype tendente allo zero.

Nessuna voglia di caricare l’ambiente, nessun tentativo di vendere l’idea Garcia a chi aspettava l’annuncio del nuovo tecnico come se non ci fosse altro nella vita.

Stesso atteggiamento, quasi svogliato, anche rispetto alla figura del Ds. Da quando Cristiano Giuntoli si è promesso alla Juventus, De Laurentiis sembra aver delegittimato la figura del Direttore Sportivo che, da responsabile dell’area tecnica, è diventato un segretario degli uomini di mercato interni alla società. Una figura secondaria, quasi un esubero strutturale. Una convenzione anacronistica che in fin dei conti è superata dalla logistica e dai software a disposizione di chiunque.

E se questa figura è superata, allora perché non crearne una nuova? Ed ecco che spunta Antonio Sinicropi, passato da ex giocatore di serie inferiori, un po’ di esperienza a Bari sotto l’ala di Polito, un esame da Ds superato brillantemente e, valore aggiunto, marito di Valentina, sua figlia.

Scelte che non prevedono il consenso popolare, anzi. Vanno nella direzione opposta a quello che si aspettava la piazza. Ancora una volta Aurelio De Laurentiis fa all in di responsabilità. Ancora una volta si dimostra mattatore di un gioco che per sua stessa ammissione non conosceva meno di venti anni fa. Ma che ora ha addirittura la presunzione di cambiare.

Chi sperimenta si pone come obiettivo la conquista del futuro, ma ora che il presente è consolidato, perché non sfruttare in maniera convenzionale tutto il vantaggio accumulato? Ci sono molti soldi da gestire: Kim, proventi Champions, nuovi sponsor. Perché questa spasmodica esigenza di futuribilità. Siamo in viaggio da diciannove anni Presidente. Ci consenta una tregua. Ci lasci godere la meta. Siamo uomini di mare, vero. Ma in cerca di un porto sicuro, non di futuro.