Il Napoli è alle prese con un presente fatto di veleni ai quali pochi club al mondo riescono a sottrarsi nel lungo periodo. Il calcio va in una direzione tutt'altro che romantica. Dirigenti navigati o meno, tutti sono deboli al cospetto dell'egoismo umano, addirittura impotenti dinanzi all'avidità dei procuratori.

Credere che, nel calcio contaminato dai social, uscite come quella dell'agente di Kvaratskhelia o quella di risposta dell'agente di Osimhen siano evitabili, non è da persone adulte.

I casini scoppiano ovunque. Persino all'Inter dell'esperto Beppe Marotta è capitato, lo scorso anno, di avere uno spogliatoio talmente in subbuglio da mettere in discussione pubblicamente Simone Inzaghi a dicembre. Ma la percezione che si ha dall'esterno dipende sempre dal carico da novanta che chi racconta decide di piazzare sugli eventi.

Regola N1: nessun compromesso con media e società civile partenopea

L'unica soluzione per dominare certi teatrini sarebbe possedere - o tenere sotto ricatto tramite investimenti pubblicitari - interi gruppi editoriali, e veicolare l'informazione minacciando qualche taglio ai finanziamenti qui e lì. Come accade ad altre latitudini, dove è possibile persino tenere nell'ombra indagini per opere di falsificazione reiterata dei bilanci.

Ma il Napoli ha scelto di restare sovrano e non ha mai tentato di corrompere i media e tanto meno di coccolarsi la società civile cittadina che, quando le cose vanno male, attraverso i suoi intellettuali di riferimento, attiva dinamiche populiste che hanno opacizzato 19 meravigliosi anni di rinascimento sportivo napoletano. Ha fatto tutto da solo, il Napoli, compreso vincere. Questa cosa non sarà mai perdonata.

La solitudine ha un prezzo. E il conto si presenta inesorabilmente quando le cose non vanno per il meglio, con attacchi incrociati sia sul piano nazionale che locale. Quando la macchina gira alla grande tutto tace e il racconto di un club che negli anni ha dimostrato di saper competere nonostante una concorrenza sleale viene eclissato e minimizzato.

Ci vorrebbe proprio un dirigente che abbia vinto in tutte le categorie, ma chi?

Tutti gli opinionisti, ora, hanno la ricetta per salvare il Napoli. Gente che non ne ha beccata una neanche per sbaglio negli ultimi anni. Addirittura qualcuno, senza vergogna, prova a riqualificare la figura del radiato Luciano Moggi come potenziale regista occulto del club.

C'è chi invece propone Walter Sabatini, che se non fosse per la storica salvezza con la Salernitana conquistata, pare a suon di promesse sussurrate ai procuratori all'insaputa di Iervolino, vanterebbe ben 0 titoli in carriera. Senza contare le irrisolte - o brevi e irrisolte - esperienze nelle uniche due grandi piazze in cui ha lavorato: Roma e Milano, sponda nerazzurra.

Servono uomini di campo, urlano gli esperti. Magari qualcuno che abbia vinto in ogni categoria. Che abbia sempre messo il gioco al centro dei suoi progetti. Abituato a creare valore senza mai tradire la crescita finanziaria del club. Uno che rispetti i principi economici, che operi con margine d'errore prossimo allo zero. Uno che riesca a rendere anche in un contesto cittadino difficile come quello di Napoli, che ha dovuto aspettare 60 anni per alzare il primo scudetto.

Uno in grado di scegliere gli uomini giusti, che possa vantare una permanenza media dei propri tesserati tra le più alte d'Europa. Una figura che decida, che si assuma le responsabilità di ogni scelta. Uno capace di valorizzare le figure che lavorano al suo fianco. Che magari parli chiaro e non si affidi al politichese polveroso di cui è morta la Serie A.

Ma dove si trova un dirigente del genere? Forse uno c'è, in realtà. Ma è già occupato anima e corpo con il giocattolo di famiglia.

Nessuno in Italia, a parità di fatturato strutturale, ha vinto più di lui negli ultimi 20 anni e in ogni categoria: Lega Pro, Serie B, Serie A. Nessun dirigente vanta una tale continuità di risultati e di gioco. Alle stesse condizioni, nessuno ha alzato più trofei.

Forse chi legge ha capito a chi ci riferiamo. Per tutti gli altri, diamo ancora qualche indizio. Le sue gestioni hanno prodotto 798 gol solo negli ultmi 10 anni. E oltre 800 punti. Nessun altro tifoso in Italia ha esultato di più per una rete, pochi nel resto d'Europa. Nota dolente: non gli piace la pizza napoletana, preferisce quella scrocchiarella romana.

Andiamo, non fate finta di niente, che avete capito tutti. Occorre solo trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà.

La rabbia per anni di linee editorali smentite da risultati eccellenti

La rabbia di anni e anni di linee editoriali smentite da una cavalcata che ha prodotto risultati sportivi eccellenti sono alla base della narrazione che orbita attorno al club. Si aspettavano questi 6 mesi come si aspetta il fresco della sera in una torrida giornata estiva. In città è un tutto un "lo avevo detto". Una vendetta scialba che certifca ancor di più la durezza del contesto in cui ha operato il club dal giorno uno.

Si racconta di un Napoli collassato sotto i colpi inferti dalla megalomania di Aurelio De Laurentiis. Si racconta di un uomo stanco, svogliato che ha perso il fluido magico con il quale ha campato fin qui. Si ricorre alla fortuna forzando la mano nel tentativo di annullare la patria potestà di uno scudetto conquistato dopo anni di programmazione a lungo raggio. Alcuni prevedono il futuro e tracciano un declino inevitabile.

Nessuno si è preso la briga di spiegare correttamente perché a giugno scorso si è andati su Rudi Garcia. In pochi hanno inserito questa opzione in uno scenario più ampio. Tra le pieghe del suo contratto c'è tutto. Ed è tutto confermato dalla successiva scelta del ritorno di Walter Mazzarri.

Il Napoli non voleva legarsi le mani per l'estate 2024, finestra di mercato riconosciuta da tutti gli addetti ai lavori come una vera e propria porta girevole per dirigenti e allenatori. Gli è andata male, più di quanto meritasse.

Questa visione, infatti, è alla base anche di questo mercato invernale. Il Napoli resta coerente con la propria lettura e non si snatura per cercare profili già pronti. Se deve pagare, preferisce farlo assumendosi il rischio di non andare in Champions. Un mercato fatto bene lo decidono due cose: il tempo e la solidità del gruppo di lavoro in cui si inseriscono gli acquisti. In questo momento manca la seconda opzione.

Facile oggi sparare su tutto. Era facile anche in estate indovinare che non sarebbe stato possibile ripetere l'impresa. E neanche prevedere che al primo giro di boa si fosse a 20 punti dalla prima, però.

Quello che lascia ben sperare, almeno a chi valuta senza condizionamenti, è la calma del club nel non lasciarsi trasportare dal contesto.

Accettare una stagione storta è il primo passo per ripartire. Il club colloca la vittoria in una dimensione non tossica. E questo rende, ha reso e renderà il Napoli una tragedia se visto in primo piano, ma una commedia (di enorme successo) se visto in piano lungo.

https://youtu.be/n7U5KFkoCzU?si=ezqHTK_U_H2_ZBAb
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