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Conte
Conte

La Gazzetta dello Sport si sofferma sulle parole di Conte che hanno incendiato l’ambiente Napoli a poche ore dalla gara di Monza.

 

Conte: un personaggio irrequieto 

“Ma quanto è irrequieto Antonio Conte? Più di William S. Burroughs e meno di Simone Inzaghi. Ad ogni conferenza stampa come un segretario di partito fa un bilancio del suo governo, distribuisce le colpe e si appunta la medaglia di tenere il campionato ancora aperto e poi, però, torna sempre là: a Kvaratskhelia. L’ombra dell’attaccante georgiano scomparirà solo in caso di scudetto, che poi sarebbe la grande impresa contiana. Intanto grandina di nuovo su Davide Neres, infortunato ancora una volta, ma Conte è abituato all’emergenza come all’assedio in città, e più cresce l’amore più sale l’agitazione di Antonio. «È inevitabile che in questi otto mesi, in questo percorso mio a Napoli, tante cose non si possono fare. Avevo detto che il Napoli non era una squadra di passaggio e poi Kvara se n’è andato. Non mi sento di confermare tutto quello che ho detto. Non vorrei passare per bugiardo, per qualcuno che dice delle cose poi disattese». Questa frase è un manifesto dell’irrequietezza contiana. Ci sono i limiti del club, l’impotenza di un allenatore onnipotente e tutto il risentimento – mai sopito – per il mancato mercato di gennaio. 
 

La cessione di Kvaratskhelia: un cruccio per Conte


 

Ferlaino



La cessione di Kvaratskhelia era e rimane un buco nella storia del Napoli, la gestione del calciatore selvaggia, che ora rischia di vincere la Champions col PSG e scriversi la favola, racconta anche l'occasione mancata del Napoli, che Conte sente, soffre, maledice. Con Kvara, anche a mezzo servizio, ci sarebbero stati i gol che sono mancati nel girone di ritorno, un girone brancaleonesco: con tanta sofferenza, molte toppe e troppi pareggi. Eppure il Napoli è lì, secondo, resiste, lotta e spera. Tiene l'attimo come un ciclista in salita, sta a ruota, sapendo che se molla una sola mezza pedalata è finita. E Conte freme, fuori dal campo e in panchina, perché sa che lotta contro una grande squadra, l'Inter, che ha mostrato di saper soffrire contro il Bayern Monaco e quindi di poter resistere agli attacchi del Napoli. Conte più di tutti sente l'occasione mancata e lo mostra in conferenza stampa, forse pesa anche il telefono che squilla da altri club con possibilità maggiori del Napoli che a gennaio è parso voler rimanere a un punto dai campioni, come i giocatori delle osterie di notte di Francesco Guccini. E quindi i tormenti sono dovuti. E poi c'è il dover resistere, anche se Conte ha il lamento come i tennisti hanno le urla mentre rispondono. Esplicita, mastica e sputa frasi. E i suoi giudizi non possono che fare bene al Napoli, perché sono andati affilandosi man mano che passavano i mesi. Da una parte c'è il Conte affascinato dalla città, avvolto dal calore dei tifosi, e dall'altra quello consumato dalle formazioni, dagli infortuni, da certe carenze di ruolo che lo portano sull'orlo di una crisi di nervi. Il resto è sul campo: una squadra schizofrenica che gioca primi tempi da girone d'andata e secondi tempi da girone dantesco, anche se poi con l'Empoli si è visto un Napoli vecchio stampo, con un Lukaku rifinitore e goleador e un McTominay vagocampista e sempre più attore protagonista in area di rigore. Montagne russe calcistiche. Su e giù. Fuori e dentro il campo. E l'eco della grande occasione mancata che preme, bussa e pesa. Potrebbe precipitare tutto da un momento all'altro e questa cosa sembra nuocere solo a Conte che – è evidente – vuole vincere, ma si ritrova con poche pedine sulla scacchiera, in una continua sottrazione. Infortuni, inadeguati al ruolo richiesto e pochi gol, tanto che Conte è arrivato a domandarli al capitano Di Lorenzo, non una anomalia visti i suoi piedi, ma comunque una supplica al santo sbagliato. L'ultimo al quale votarsi. Ah, ci fosse stato ancora Kvara”.


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