Il garantismo è un valore che una società civile evoluta deve assolutamente preservare per definirsi tale. Le dichiarazioni del Presidente della Figc, Gabriele Gravina, in senso assoluto non fanno una piega. Il problema è il senso specifico. Anche perché, rispetto all'inchiesta della Procura di Torino, il primo a non essere garantista è stato proprio John Elkann, che ha di fatto costretto il cugino Andrea Agnelli alle dimissioni dalla carica di Presidente della Juventus, utilizzando i suoi uomini di fiducia all'interno del Cda.

Queste dimissioni non sono un atto di responsabilità come gli interessati vogliono venderci. E neanche il preludio a una rifondazione dirigenziale programmata da tempo, come celebrato dai media che hanno fatto la corsa a ricordare tutti i record sportivi del ciclo. Andrea Agnelli e Pavel Nedved, tra gli altri, avrebbero potuto continuare a svolgere le loro mansioni a prescindere dalle indagini in corso, soprattutto se avessero avuto la certezza di poter dimostrare la propria correttezza operativa nei bilanci che la Consob ha contestato.

Le dimissioni, in realtà, sembrerebbero più un tentativo di far cadere una delle tre condizioni per cui possano essere richiesti gli arresti domiciliari dal Gip titolare dell'indagine: la reiterazione del reato. Non proprio una dichiarazione d'innocenza, quindi. Tra l'altro, garantisti non sono sembrati neanche i toni dell'avvocato a capo del pool legale della Juventus, Cesare Gabasio, che, intercettato dalla Procura, si lascia scappare un "Se viene fuori la carta Ronaldo ci saltano alla gola".

Con questo scenario, le parole pronunciate da Gravina si svuotano di ogni utilità morale. In realtà, il più incazzato dovrebbe essere proprio lui, in quanto rappresentante di una Lega che da ieri, dopo Calciopoli, si ritroverà nuovamente al cospetto di anni davvero complicati. Ma se nel post 2006, il calcio italiano poteva contare su un'eredità di prestigio tecnico ancora spendibile sul mercato dei diritti tv, oggi tra le mani ha poco o nulla. All'epoca eravamo il primo campionato d'Europa. Oggi il quarto, se non il quinto, con una Nazionale allo sbando e un movimento che vanta circa un miliardo di debiti accumulati verso il fisco a breve scadenza, che neanche l'intervento di Claudio Lotito, neo senatore della Repubblica, è riuscito a prorogare e dilazionare.

Qualcuno batta un colpo

Se il movimento non è riuscito, sedici anni fa, a mettere a posto la controcultura del palazzo, è auspicabile che ripartendo da zero ci riesca per forza di cose oggi. Sarebbe dunque il caso di correre il rischio di mettere in crisi l'intero sistema. Magari commissariando ogni carica possibile nel tentativo di ricostruire una credibilità nazionale dalla quale ripartire in futuro. Sempre se ci sia qualcuno capace di scegliere l'eventuale commissario, si capisce. Inutile la diplomazia fatta di parole vuote e difesa a oltranza. Questo continuo politichese non fa altro che allungare l'agonia. Non c'è più nulla da salvare. La bolla è scoppiata.

E allora si prenda una posizione, chiunque la ricopra, se non si sente libero Gravina o Paolo Dal Pino, presidente della Lega Calcio, visto che erano presenti alla riunione organizzata a casa della mamma di Agnelli, insieme a rappresentanti di Milan, Bologna, Udinese, Atalanta, Genoa, per "salvare il calcio italiano" all'insaputa degli altri club, lo faccia il neo Ministro dello Sport, Andrea Abodi, al quale ricordiamo che per fare pulizia non occorre sperare che ne spuntino altre di squadre immischiate in questa melma. Quasi come se, eventualmente, punire la sola Juventus faccia brutto.

"Caro Andrea Agnelli, hai passato tanti anni a 'manipolare' bilanci, valutazioni, documenti, per “ingannare” autorità pubbliche, sport, azionisti, tifosi… e allo stesso modo volevi ingannare il mondo del calcio con la bontà della Superlega. Le tue dimissioni sono una grande notizia".

Javier Tebas Medrano, presidente della Liga

Sarebbe troppo chiedere una reazione come quella nettissima di Javier Tebas Medrano, avvocato spagnolo presidente della Liga Nacional de Fútbol Profesional, invitato da Gravina a guardare in casa sua, senza sapere che proprio Tebas ha introdotto in Spagna il salary cup, ovvero, un limite di costo della rosa sportiva che ogni club propone e giustifica, nel rispetto del budget a disposizione, lasciando all’Autorità di convalida della Liga il compito di approvare il limite proposto. Qualora questo limite non fosse considerato adeguato, la stessa Autorità può chiedere di rettificare la cifra fino ad ottenere un importo che garantisca la stabilità finanziaria del club. Si tratta di un limite entro il quale le società devono rimanere al di sotto della cifra indicata e resa nota dalla Liga spagnola in un comunicato pubblicato sul proprio sito. Inoltre Tebas ha il merito di aver saputo convincere le società spagnole a vendere collettivamente i diritti tv, incrementando gli incassi di oltre il 30%. Not bad.

La Juventus non è la Serie A

Piuttosto che controbattere al Presidente della Liga in maniera infantile, Gravina potrebbe alzare il telefono e chiedergli qualche consulenza su come si gestisca un movimento calcistico, invece di presenziare agli happy our su invito di casa Agnelli.

La Juventus non è tutta la Serie A, ma una delle squadre che la compongono. Poco importa se Lotito ci ha ricordato che molti si sono abbeverati al loro potere, anzi. Rappresenta un motivo in più per agire con determinazione da kamikaze. Occorre svincolarsi da questa sudditanza una volta per tutte. I fiumi di letteratura dei media nazionali che vorrebbero il nostro calcio legato alle sorti giudiziarie di Agnelli&Friends sono un tentativo di buttare tutti nella stessa barca che affonda e scatenare l'istinto di sopravvivenza dell'opinione pubblica, convinti che dall'altra parte della barricata ci sia ancora un tifo assuefatto dal calcio a prescindere dalla qualità e la credibilità. Piuttosto che abbonarsi a ulteriori anni di wrestling, il tifoso medio preferisce scindere le responsabilità. Qualunque sia il prezzo da pagare.

Serve coraggio, idee chiare e soprattutto la coscienza pulita. Quella che lo stesso Gravina fece finta di mostrare quando si sentì tradito dall'annuncio della Superlega: "Se diventasse realtà, la Juventus sarebbe fuori dalla Serie A".