In questi giorni di straordinaria follia dovuta alla demolizione della Serie A per mano degli uomini di Spalletti, l'opinione pubblica locale si destreggia nella sua abilità preferita, che resta quella di alzare l'asticella degli obiettivi. Se non per la stagione in corso - a quello ha pensato il presidente De Laurentiis in persona, nella recente cinepanettonesca telefonata in cui sbava per la Champions - per le prossime.

Non abbiamo ancora fatto nulla e già si parla di ciclo. O meglio, del fatto che il Napoli abbia l'obbligo di aprirne uno data la situazione delle avversarie. Situazione che, ricordiamo, è la stessa da almeno dieci anni, eccezion fatta per la Juventus che, se non si fosse tradita da sola, avrebbe continuato a produrre alterazioni di bilancio vita natural durante.

Definiamo cos'è un ciclo

Partiamo da una concezione perimetrica, esso per definizione è finito. Inizia con una vittoria e finisce con il declino. Ma se la vittoria è definita, fissata in una data, il declino è fluido e prima di capire che ci sei dentro, passa diverso tempo. Una pulsione, quella della bramosia da ciclo, che francamente risulta incomprensibile per un tifoso dai 20 ai 50 anni con un'aspettativa di vita media intorno agli ottanta anni, destinato - o condannato - a seguire il calcio fino al suo ultimo respiro.

Esiste anche il ciclo tecnico, che non è per forza racchiuso in un ordine di tempo definito dai trofei. Prendiamo quello del triennio Sarrista. Un vero e proprio 15/18 due punto zero, sia per la portata delle emozioni prodotte, sia per le macerie lasciate, che hanno reso difficilissima la ricostruzione, assottigliando il margine d'errore del club come mai nella sua recente storia. È proprio questo che il Napoli non dovrà più fare. Rincorrere il ciclo ti àncora agli umori e le ambizioni di venticinque teste. Per la propria squadra del cuore sarebbe opportuno chiedere di più che essere ostaggio di procure e familiari dei propri calciatori o comunque di tutto il carrozzone che queste multinazionali con i piedi portano con sé.

Abbiamo, dunque, una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che il Napoli non aprirà un ciclo, con buona pace dei dipendenti dai trofei. La buona è che il Napoli non aprirà un ciclo perché ha capito che il ciclo è un concetto superato e perdente. Questa consapevolezza è l'eredità degli errori (pochi) fisiologici di una gestione che, dal suo approdo in Serie A, ha puntato sempre al miglioramento, spostando ogni anno, nel futuro, il suo limite.

Ora o mai più, dicevano

Abbiamo ancora negli occhi i commenti di questa estate che volevano l'attuale gestione al capolinea tecnico e finanziario. Analisi partorite dalle stesse pance che oggi paventano l'opportunità irripetibile di aprire un ciclo. Eppure questo concetto dell'ora o mai più non è nuovo. È stato già declinato per gli scudetti sfuggiti. Doveva essere l'ultima occasione per vincere lo scorso anno, quando le strisciate giocavano al chi perde. Come doveva essere l'ultima occasione quella dei 91 punti. E prima ancora doveva essere l'ultima volta l'anno dei 36 gol di Higuain. Tre ultime volte: record. Abbastanza per relegare questo sentore a una formidabile capacità di piangersi addosso per mancanza di fiducia nei propri mezzi.

Fortuna che chi decide per il Napoli, la paura di avere una data di scadenza non ce l'ha. Il club lavora il suo patrimonio tecnico come un lievito madre vecchio di 18 anni. Che rinnova di stagione in stagione. Dunque, perché racchiudere le proprie ambizioni in un periodo finito di tempo e non immaginarsi competitivi per sempre?

In fondo, per morire e per vincere ci sta sempre tempo.