Altalena di emozioni al Maradona, nella sera della vigilia dell’anniversario funebre della morte del Re di Napoli, in un chiasmo di sensazioni contrastanti che i nostri 10 insegnamenti provano ad enucleare:

  1. PRIMO TEMPO ORRIFICO

La prima parte di gara del big match della decima giornata per i tifosi del Napoli è una pena straziante, in cui la squadra si raccoglie in uno sforzo vitale per non soccombere irrimediabilmente e perdere completamente la bussola; dimostrazione esiziale per Garcia che si espone ad una narrazione del suo mandato persino peggiore di quella del primo tempo della partita di campionato col Milan della passata stagione (che era stata la peggiore in assoluto ed un caso isolato), chiudendo in uno scrigno destinato a riaprirsi tutte le allarmanti criticità emerse come lava dal cratere in queste settimane.

Un collasso più che totale del gruppo, alla prima sortita tramuta in gol da parte del Milan con il solito Giroud a fare da imperatore d'area di rigore, (senza quasi mai vederla al di fuori del box) e gli azzurri che cominciano a decodificare la mole di gioco, correndo senza riferimenti, sbracandosi in ogni reparto, prestando i fianchi alle scorribande del Milan in ampiezza e lunghezza, ed il diavolo rossonero che per venticinque minuti diventa un vero e proprio coltello che sguazza nel burro difensivo, in cui i calciatori sembrano prendere gusto a stritolare gli azzurri dentro una morsa neanche troppo cinica.

Ma le ragioni di questa prima terrificante frazione di gioco, vanno ricercate ben al di là del risultato e l'esecrabile fallimento tattico e motivazionale con un'ennesima sconfitta in casa, avrebbe destato disgusto anche nelle anime più candide, senza capire i "perché" ed "per come" di questo annegamento pressoché all’unisono della squadra, le cui tracce sono da rinvenirsi unicamente nell'allenatore, la cui cartina di tornasole del piano partita nei primi 45', sono due conclusioni dalla mediana di Raspadori e Mario Rui. 

Una figuraccia in piena regola e senza attenuanti, che però non depotenzia la risolutezza dei nervi con cui nella ripresa la squadra caparbiamente rimette le proprie sorti al centro del campo, in una contesa vibrante dove entrambe le squadre massimizzano lo sforzo di vincere la partita e per una strana legge del destino non ci riescono. 

Ma a far da appendice a quest'inizio campionato con più ombre che luci da parte del Napoli di Garcia, è una prima mezz’ora di gioco fruttifera di cose negative che amplificano scenari addirittura più esagitanti di quello nati dopo Lazio e la Fiorentina,  celebrando silentemente uno scivolamento del livello medio del Napoli al di sotto degli standard di competitività per i primi posti e soprattutto un default caratteriale, che seppur fattore insito all'interno di un gioco di squadra, non può esserne quello preponderante.

Onore e merito al valore che i giocatori hanno voluto dimostrare, stramazzando al suolo a fine partita. Ma è chiaro che questa non possa essere la risoluzione dei problemi, ormai cronici, della squadra.

https://youtu.be/AerX6_bduG0?si=MC_2bHsZdfzab-ZF
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  1. LA RASPATA

Non sarà il Jack Dawson personaggio immaginario che salpa verso Nuovi Orizzonti issandosi sulla balaustra della prua a bordo del Titanic, ma Giacomo detto “Jack” Raspadori stavolta l'orizzonte della rete lo ha visto e centrato come solo i talenti sanno fare. Dopo tentativi da fermo a ripetizione nella gara di campionato antecedente a Verona, stavolta gli è bastata una sola stoccata d’impeto e coraggio per far tremare lo stadio e dare ancor di più un tocco machiavellico ai colpi sferzanti che spesso ha fatto vedere in campo.

La punizione che rompe l'incantesimo e pietrifica Maignan, è una vera e propria gemma incastonata nella Curva B, non tanto perché questa “raspata” ripristina la parità e si prende la scena, ma perché si auto elegge a uomo cardine in questo momento nello scacchiere tattico.

Soprattutto perché è la prima punizione da calcio diretto realizzata in Serie A nella stagione 23-24.

Con l’algida perizia tecnica e la forza nei muscoli dei plotoni di aviazione, esibisce lo spirito dei leader tecnici, sfigurando anche le tante critiche che sarebbero piovute senza questa prodezza e deliziando il pubblico dalla partita con un'irreale quanto vivace steccata di golf per celebrare il gol con Demme ed i compagni.

  1. LINDSTROM VICE ZANOLI?

Le modifiche, gli accorgimenti e qualche rettifica posizionale o semplicemente schematica fanno parte delle personalizzazioni che i mister possano immettere a partire in corsa, sostituendo i giocatori; ciò che ha destato quantomeno una riflessione all'ingresso di Zanoli al posto di Politano a dieci dal termine della partita, essendo il Carpigiano non considerato propriamente il sostituto naturale dell’esterno alto, perché catalogato come seconda linea di capitan Di Lorenzo, è che aveva una relativa ragione d'esistere se si fosse trattato solo di aggredire, con pari effervescenza, lo spazio alle spalle di Theo Hernandez e impedire a questo di alzarsi in sgroppate e contro offensive contundenti la linea difensiva del Napoli.

Quantomeno una scelta curiosa, in barba alla rinuncia dell'opzione di utilizzare il sostituto canonico del ruolo Lindstrom, certamente più attaccante che difensore, ma con doti d’intrusione dell’area preponderanti.

Non fosse altro che questa scelta si rivela nulla nel momento in cui il già subentrato difensore centrale Pellegrino s’infortuna, lasciando il campo a Florenzi che lupus in fabula va a ricoprire proprio la posizione di Hernandez a sinistra, scalato difensore centrale. Cambio quindi disfunzionale anche nelle conseguenze.

Annotazione, che pur tenendo conto di episodi imponderabili e fattori agonistici comprensibili, ma che con lucidità, alimentano squilibri tattici circoscrivendo l’eloquente difficoltà d’integrazione del nuovo acquisto Lindstrom e la tendenza ad optare per scelte anticonvenzionali da parte di Rudi Garcia.

  1. LA MARCATURA LIQUIDA

È del tutto inqualificabile il modo in cui la difesa del Napoli scelga di identificare le marcature ed imbastire le linee di pressing. In particolare per colpa dei gol di Giroud, il Kosovaro Rrhamani è destinato ad avere per un po' di tempo gli incubi con protagonista l'attaccante francese, autore della doppietta in pochi minuti.

Sulla prima rete, incontrovertibilmente fa un passo in avanti che gli costerà caro. Nell'assolutezza del colpo di testa sul secondo gol addirittura gli fa da maggiordomo marcandolo con i guanti, facendo da prologo ad un sequel del primo tempo ancor più raccapricciante, in cui questi due errori sono la punta dell'iceberg in frantumazione del blocco difensivo totalmente desincronizzato, che sceglie di presidiare in arretramento fazzoletti di terreno di massimo 2-3 metri quadrati, anziché attaccare la palla sul primo tocco. La linea a quattro non segue le traiettorie anche corte, perdendosi gli uomini alle proprie spalle, acuendo il presagio di una comunicazione fallace tra gli interpreti, che appare reificato ogni qualvolta gli avversari hanno un'occasione da gol.

Un modo di far fase difensiva sia individualmente che singolarmente inconcepibile, per la superficialità con cui si ammattisce di fronte al minimo pericolo, muovendosi come pesci nell'acquario, scevri di contatto. L’espulsione di Natan, a fine partita, non è figlia della mala sorte o del consueto intemperante protagonismo di Orsato, ma la logica conseguenza dello sfilacciamento del reparto, ed a poco serve ironizzarci su.

  1. GARCIA LO STRAVOLGITORE

Rudi Garcia prova insistentemente a sbrogliare il bandolo della matassa da lui ingoffata, ma le sue elucubrazioni non si riverberano materialmente sul campo con il tenore delle scelte vincenti. Fa eccezione il trittico di cambi adoperati nell'intervallo della partita contro i diavoli rossoneri, in cui Elmas, Rrahmani e Mario Rui, troppo brutti e inconsistenti per essere veri, lasciano spazio a Simeone, Ostigard e Olivera, in un assetto più perentorio nelle linee di riconoscimento ed una maggiore incisività del peso offensivo, con due uomini fluttuanti in zona centrale a giogarsi le collocazioni in area.

Salita di giri la giostra anche delle congiunture sulle fasce, la squadra sfoga meglio, pareggiando la contesa con merito.

Ma non lasciandosi allibrare dai fasti del risultato, riconquistato d'orgoglio più che sapienza, la bilancia dei meriti del tecnico pende decisamente dal lato dei gradienti di segno meno; se è pur vero che Garcia ha fatto lucidamente quello che andava fatto, ma ha regredito dal piano partita e sconfessato una propria strategia, molto labile, di vincere la gara, abbarbicandosi un'altra volta in scelte fuori dall'ordinario e scompensanti la compostezza tattica, lasciando marcire in poco tempo quanto si era teso a far crescere negl'ultimi mesi.

Un atteggiamento duale, da joker, del mister francese che però non si sconcerta del contrappunto tattico del collega Pioli, piuttosto rivolta la sua squadra secondo nuovi inquadramenti posizionali, e stavolta gli dice pure bene trascendendo l’empiricità delle scelte prese nello spogliatoio ed, esulando dalle preoccupanti incoerenze nell'impianto di gioco, sa essere resiliente per trasmettere questo aspetto emozionale del proprio carattere ai calciatori.

  1. GLI SPETTRI CACCIATI VIA

Nell'interregno delle decisioni da prendere Aurelio De Laurentiis, cucendosi in pectore anche vesti non confacenti al suo ruolo, scende negli spogliatoi tra i due tempi di gioco e come le cronache e spionistiche riportano, senza tralasciare alcun aspetto paternalistico nei confronti della squadra, aggrottando la fronte dinanzi a una morale attaccabile sia per la prestazione che per la mancanza di convinzioni, scuote le anime dei calciatori. Un effetto sortito e ben rimarcato dal presidente, che mai come in questo caso esercita tutta la sua potestà nei confronti dei tesserati, senza sconfinare nel grottesco e funge da sprone per la rivisitazione di tutte le ambizioni della squadra, non solo a non perdere la partita ma soprattutto a ben figurare nei confronti del pubblico.

Questo gesto, che pur sempre rimane simbolico e doveroso da parte del Patron, riesce in buona parte a scacciare i fantasmi dello 0-4 del 2 aprile di quest'anno, che al Maradona si stava ripaventando con una faccia ancora più infingarda e avrebbe posto fine a qualsiasi tipo di velleità del Napoli, ormai avvezzo a capitombolare anche sul piano nervoso.

Dall’ipotetico e virtuale 0-4 già nella prima frazione al 2 a 2 finale con il finto rimpianto del 3 - 2 non segnato da Kvara, che tutti sanno avrebbe solamente mascherato le lacune macroscopiche che la squadra esibisce a gettito continuo, c'è il nume tutelare dell'allenatore salvato dalla squadra e in particolare,- come già successo a Genova ma allora furono subentranti - da due giocatori molto servili nei suoi confronti, Politano e Raspadori, che in campo si sono spesi dall'inizio della stagione, forse anche più degli altri, per rispondere a delle richieste manageriali talvolta equivoche.

Perdere con un passivo pesantissimo in casa contro la stessa squadra e in circostanze assimilabili avrebbe irrimediabilmente sancito il contrappasso del Milan sul Napoli, ma è scongiurabile che Garcia abbia percepito i fantasmi di un passato recente che ha dimostrato di non conoscere.

  1. MARAMERET

È cliché umoristico, oggi un po' distopico per la realtà dei social network e dei meme, ma un 'marameo' per Meret, sembra l’esultanza invisibile dei timbratori del cartellino di turno che gli fanno gol.

Fu il genio letterario neoclassico di Carlo Dolcetti ad istituire nel settimanale satirico, la raffigurazione del marameo come forma di motteggio per alleggerire i discorsi e parafrasare con la gestualità una presa in giro.

Ebbene, gli errori che Meret, anche in maniera velata e non sempre categoricamente ad egli imputabili mette in mostra, sono gravi. Raccogliendoli tutti insieme si potrebbe farci un Satyricon sportivo di simulazioni d'errore.

Indipendentemente dalla forza, dalla reazione o dalla lettura della traiettoria che il portiere friulano non ha avuto sui colpi di testa di Giroud, è evidente che non è padrone dell'area piccola e pecca d’incidenza sulla coppia dei centrali, a malapena guidandoli sulle marcature. L'interrogativo se sia giusto o meno sostituirlo temporaneamente con Gollini, pur permanendo indistinta la stima per quanto fatto nella stagione precedente e per quelle antecedenti ancora, è obbligatorio. Anche agli occhi degli inesperti, il portiere del Napoli subisce inevitabilmente gol evitabili, con gli avversari che figurativamente gli fanno il marameo.

  1. NICHILISMO TATTICO

Esistono verità scomode, là dove i fatti corroborano le antipatiche conferme. Quello che si evince dalle partite del Napoli di Garcia e che la sua idea di gioco vada in profonda antitesi a quella che è un'impostazione filosofica di fondo del nucleo della squadra a voler giocare con la palla, anche in situazioni anguste, per provare a difendersi attaccando, correndo dei rischi responsabilmente, e pressando sempre in avanti.

Ma la noia, la staticità, l'anti convenzionalità e il frullato d’idee che sistematicamente la compagine, andando in balia dell'avversario, denota, pone un veto inconscio dei calciatori a quelli che sono i dettami tattici del mister e conduce ad un autodeterminazione distruggente qualsiasi possibile novità, tra l'ancoraggio ad un modo scintillante di far viaggiare la palla e l’ammainaggio per cercare una verticalità inesistente.

La verità è che il Napoli di Garcia non squarcia il velo dell’efficacia in nessuna delle quattro fasi che rappresentano il calcio: attacco, difesa, pressing e possesso palla.

Pertanto si passa da sincronismi abbozzati al libero arbitrio, con in mezzo le ingerenze dell'allenatore che non appena ravvisa una minaccia non sa come porvi rimedio. E’ successo questo nel momento in cui il Milan ha alzato i livelli del ritmo e il Napoli non è stato capace di fare altrettanto, dato che quel ritmo non è ben allenato.

  1. I TERZINI BRONZEI

Sono belle, intense, esaltanti, ricche anche di contenuti tecnico - tattici, le contese nei duelli individuali, che sono singole battaglie all'interno di una partita, ed è sempre intrigante assistere alle sfide nelle sfide tra Kvara e Calabria, Hernandez e Politano, Di Lorenzo e Leao in cui alle volte ha la meglio l'uno e altre volte prende vantaggio l’altro, cercando di prevaricare attraverso le proprie soft skills ed è meraviglioso, all'insegna del fair play, l'abbraccio tra il talento georgiano del Napoli ed il capitano del Milan a fine partita, quando sfiniti per le energie profuse, accettano la buona e cattiva sorte di circostanza.

La contesa Napoli-Milan finita in pareggio nel tabellone, in questo abbraccio li vede sicuramente vincenti. Anche attestando il fatto che sono stati tra i migliori nelle rispettive compagini (notazione marginale) e forse Calabria in tutti e cinque i confronti in cui ha affrontato Kvara, si dimostra il giocatore che lo fa soffrire di più, come viceversa Capitan Di Lorenzo, pur non snaturandosi per difendere a oltranza, sa tenere egregiamente a bada Leao, cosciente (ed esecutivo) che per fermarlo nei momenti cruciali bisogna utilizzare le maniere forti.

  1. LA PERSECUZIONE DEL BEL GIOCO

Se Napoli-Milan fosse stata una fiaba alla fine della narrazione. il filologo Esopo ci avrebbe sicuramente affibbiato una morale; quella che i più sostengono è la novella, sempre più avvalorata, del cambio di guida tecnica per le ripetute inconsistenze del gioco espresso dalla squadra e le improvvide sofferenze contro chiunque.

Eppure si potrebbe accettare che quanto visto con Sarri e Spalletti non è al momento ripetibile. Pur essendoci tanti giocatori medesimi e ben assimilati tra di loro, è cambiata la chimica. 

Per giocare bene e in maniera organica, si necessita di una combinazione di fattori umani e uno sposalizio di convinzioni che il Napoli pur tendendo a volersi esprimere come durante la belle Époque del calcio champagne, non ritroverà molto presto.

La squadra attualmente non è serena, non gioca in armonia e vincere o perdere conta moltissimo, al contrario di quando non troppo tempo fa, giocare bene e meglio degli altri era la vera soddisfazione per il pubblico, la leva emotiva per ambire al sogno. Un sogno che oggi forse non è più sotteso alle logiche del tifo, che a pienissima ragione vista la festa di Maggio e Giugno, vuole vincere ed è troppo evidente che al pubblico di Napoli vincere senza giocar bene non interessa per nulla, perché l'esperienza del calcio spettacolo ti segna per sempre.