Premetto che ho sempre distinto la figura di Aurelio De Laurentiis dalla sapiente e virtuosa gestione del club dal suo impatto mediatico e dalle sue disquisizioni pubbliche. In questi 18 anni abbiamo assistito a molteplici sproloqui, quantomeno non condivisibili per quanto concerne il sottoscritto, ma non ho mai anteposto le irruenti e irascibili uscite del Patron dal suo mestiere, riconoscendone qualità e risultati; anzi, valorizzandone ancor più le capacità tenendo conto quella che è la dimensione Napoli. Seppur rimanendo nel suo inamovibile ruolo da Mr. Wolf, di tarantiniana memoria cinematografica - è pur vero che gli va riconosciuta la buona volontà di integrazione con quello che circonda il mondo di Partenope - ma, a quanto sembra, questa forma di coesione, tra l’altro insperata, ma sempre auspicata dalla platea azzurra, sta suscitando perplessità e distacco da una fetta di giornalismo ormai radicato sulle sue posizioni. Come se l’avvicinarsi al popolo di Napoli sia una metodica inappropriata, in disuso, una forma da abolire e da accantonare, perché qualunque intesa o alleanza debba essere bandita per estraniarsi dal populismo e poter affondare sempre il coltello nella piaga non appena la situazione lo richiede.

Quel “Napoli siamo noi. Presidente e tifosi uniti per vincere” non è stato digerito e adesso ogni proposito cade a fagiolo per colpire e praticare lo sport preferito dei media: fare di tutta un’erba un fascio.

In tutti questi anni Aurelio De Laurentiis si è affidato a molteplici responsabili addetti comunicazioni e ai rapporti esterni con i tifosi - nella fattispecie un ruolo dedicato per interagire con i gruppi organizzati - ma senza mai cavarne un benché minimo ragno dal buco, al punto tale da decidere di fare tutto da solo. Perché? In effetti non ci sarebbe la necessità di chiederselo in quanto il dissidio che si era instaurato aveva raggiunto livelli inauditi, e il paradosso per eccellenza è che il tutto stava accadendo sotto gli occhi di una città festante e colma di gioia, già pronta da svariate settimane a tagliare il meritato traguardo che le spettava. Lo ha fatto insieme alle massime cariche istituzionali, sia nazionali che nostrane, dal Ministero alla prefettura dal dipartimento di investigazione generale, il tutto sotto la supervisione del sindaco Manfredi. Ora l’immaginifico castello su cui regnava l’ermetica figura - così tanto adulata in passato dai sedicenti professionisti del settore - di Aurelio De Laurentiis crolla sotto i colpi del “Noi lo avevamo detto che non bisognava fidarsi”.

Il motivo, neanche a dirlo, è la ormai famigerata - e incriminata - foto della pace fatta all’Hotel Britannique con i rappresentanti dei gruppi Ultras, dove era presente anche Gennaro Grosso, reo di aver partecipato, e probabilmente condotto, gli scontri tra Ultras in occasione della gara di Champions League contro l’Ajax. Parliamoci chiaro: il problema non è mai stato rappresentato dalle bandiere, dimensioni grandi o piccole, ignifughe o non ignifughe, né dall’essere o meno fidelizzati: 10 gruppi su 14 sono ormai tesserati da tempo; ciò che si è frapposta tra la tifoseria organizzata e Aurelio De Laurentiis è stata una tortuosa serie di equivoci provocata soprattutto da chi ha collaborato con il Presidente in questi ultimi anni. Per distendere gli animi e rimediare alle mancate interazioni è stato fatto quanto di necessario serviva, in tutela e garanzia anche nei confronti della legge per quanto detto poc’anzi.

Probabilmente l’orgoglio dei tanti che hanno narrato sempre e solo episodi disdicevoli lo rimproverano per essersi fatto ritrarre insieme ad un uomo che solo da pochi giorni è stato individuato e indagato dalla magistratura. A prescindere dal fatto se il Grosso si fosse aggiunto o meno negli ultimi istanti prima della foto incriminata, De Laurentiis aveva ricevuto rassicurazioni sia dagli uomini dello Stato e sia dai signori presenti al Britannique, ragion per cui non si capiscono i motivi del “noi l’avevamo detto”. Ragion per cui non si capisce perché continuare a fomentare odio anche dove sono presenti i buoni propositi? E, sottolineo ancora, ragion per cui non si comprende perché bisogna rendere sempre ostile il clima di Napoli? Ma vi entrano più soldi nella tasca nel raccontare la favoletta del De Laurentiis contro tutti? Sia chiaro che nessuno vuole omettere, né giustificare, episodi inerenti al passato che hanno coinvolto gli ultras con altre tifoserie, qui parliamo di una sacrosanta unione d’intenti e non di mostrarsi bastian contrari a prescindere dal piedistallo su cui vi poggiate ma che nessuno vi riconosce.