L’arte non si racconta con la razionalità di una lucida visione, ma con la pazzia e la sregolatezza che solo il genio può regalarti. L’Argentina è andata oltre i propri limiti, alle sue vicissitudini territoriali, perché oggi c’era da fare la storia, c’era da erigersi a leggenda: c’era da diventare Campioni del Mondo!

138 minuti di passione, bellezza e meravigliosa follia, da una partita che sembrava ormai morta e sepolta ad una resurrezione impavida e resa torrenziale da un finale da brividi. La poteva addirittura chiudere la Francia ribaltandola totalmente con Rabiot al 90’, la poteva finire Messi al 96’: il finale dei finali è di caratura epica e passa per i supplementari quando Messi con tutte le forze rimaste in possesso al 108’, riporta la Seleccion in vantaggio ma Mbappe la pareggia ancora su calcio di rigore. Succede di tutto, le occasioni di Lautaro e il miracolo di Emiliano Martinez al 121’ sono da cardiopalma. La consacrazione arriva solo ai calci di rigore quando Emiliano Martinez benedice Coman e Tchouamèni e Montiel con il rigore finale quantifica quanto di sacro rappresenta una competizione di questa portata.

Campioni lo sono diventati tutti. Insieme, appassionatamente. Con la compattezza di un gruppo guidato dal tecnico Scaloni che seppur giovane ha condotto questa squadra con la scellerata e stramba idea di fare calcio, associandole sagacia, agonismo e rigore. Come quello che consente a Lionel Messi di salire sul trono del mondo, di siglare la rete del vantaggio e di superare Paolo Maldini per minuti giocati in una competizione mondiale 24esimo minuto. Ventiquattro, come il numero di un instancabile guerriero del centrocampo albiceleste che prende il nome di Enzo Fernandez, il soldato dal volto di uno scugnizzo sbarazzino che si è dimostrato un muro invalicabile nel cerchio di centrocampo. Implacabili, come il gol de El Fideo Angel Di Maria, la determinazione di Romero e De Paul, la sfrontatezza di Mac Allister e Tagliafico. Gladiatori, come il meraviglioso pubblico argentino: 60.000 cuori che battevano come instancabili rulli di tamburi, che hanno cantato e vinto in nome di Diego Armando Maradona, caricando a mille le prestazioni dei loro beniamini per tutti 90 minuti di gioco. Un ibrido di autenticità e di orgoglio nell’appartenere alle proprie radici, alla propria terra, un coro infinito cantato a squarciagola come una sublime melodia scritta e prodotta in casa propria.

Oggi ha vinto l’indomita di chi ama questo sport, ha vinto la passione, ha vinto chi ha saputo regalare gioia e speranza al popolo bianco celeste, ha vinto la terra di Diego e di Leo Messi che potrà salutare (almeno così sembra) in maniera esemplare la sua nazionale. Ha meravigliosamente - e incredibilmente - vinto l’Argentina.


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