"Tommy ma quando in classe viene il supplente, voi cosa fate?"

Francesco Adamo, 12/11/2023, gruppo Whatsapp della redazione.

Faceva freddo. Cioè no, non faceva freddo. Faceva caldo, tanto caldo, un caldo glaciale. Quel caldo figlio della passione inespressa e ingenerata, guai a manifestarlo o a dargli spazio: le vampate di calore possono causare sbalzi d'umore, se non sei lucido rischi di sparare a zero. Se sei fortunato, te la cavi con una fastidiosa emicrania. Quel mal di testa non se ne sarebbe andato col paracetamolo, neanche prendendo due volte la Tachipirina 500, perché poi come canta Calcutta se ne prendi due diventa mille. Evitai di andare a zonzo senza meta, il mio antidepressivo preferito. Non sarebbe servito a niente.

La più bella favola della mia vita, o ciò che ne era rimasto, era stata spazzata via dalla presunzione di un uomo. Il Napoli Campione aveva appena perso 0-1 in casa contro l'Empoli. Senza produrre gioco.

Nel frattempo, il gruppo della redazione rimembrava neanche troppo vagamente l'Agorà di Atene in età periclea. Idee che viaggiavano saettanti dalle tastiere agli occhi di tutti i partecipanti, tra la paura dell'ignoto e la gioia del momento perché una cosa era certa: quell'abominio sarebbe finito. Fu però il commento citato in apertura ad incuriosirmi.

Perché effettivamente "supplenza" alle superiori vuol dire una sola cosa: caos.

L'annuncio della supplenza

"Ma che vuole questo?"

Caldissimo venerdì d'ottobre, liceo classico della provincia napoletana.

Era un po' che il Sole ci prendeva per i fondelli, in realtà. Al mattino, per un incalcolabile numero di giorni tutti uguali tra loro, una grossa nuvola bianca oscurava con regolarità qualsiasi raggio di luce, come a proiettarti passo dopo passo in quello che certamente sarebbe stato un periodo molto freddo. Alle 8:01, al primo passo mosso all'interno dell'edificio scolastico, ecco che quel burlone riappariva splendido e sgargiante, disegnando diagonali di felicità persino sugli squallidi edifici della provincia. Dalla finestra uno spicchio di luce che recitava un po' come l'iconica scritta sul muro del cimitero di Poggioreale:

"E che ve site perso!".

Ma almeno quella mattina no, non ci saremmo persi assolutamente nulla. Anzi, povero Lui che non fu abbastanza potente da oltrepassare per intero le finestre ed assistere a ciò che accadde in quella classe.

Le prime due ore passarono tra uno sbadiglio e l'altro, ma fu alle dieci in punto che la giornata cambiò radicalmente. Con aura divina e portamento angelico, il collaboratore scolastico dichiarò:

"Ragazzi, non c'è matematica, però..." ed ebbe bisogno di ripetuti richiami per completare la frase. Cosa poteva rovinare un'affermazione così bella?

"Ci sta il supplente", concluse. In tutta risposta, all'unisono o quasi, venne citato un trend di Tiktok:

"Ma a nuje che ce ne fotte!"

Il supplente deve avere coraggio

"Che dobbiamo fare? Facciamo una pallina di carta? Studiamo il prossimo turno di campionato? Dai che ce ne andiamo a Ibiza..."

Ore 10:10, inizio della supplenza.

Tra un foglio e l'altro, l'intensa sessione di studio dell'imminente turno di campionato diventava inesorabile l'argomento più interessante della giornata. E l'Inter non vincente in casa col Bologna si candidava con furore ad essere la frase più audace della settimana. Ma cos'è il coraggio se non l'esaltazione più pura della libertà? A proposito, era entrato il supplente. Un uomo alto e no, non mi diede neanche il tempo di continuare la mia analisi perché decise di irrompere con tono di sfida. Quasi come se godesse dinanzi alla possibile frustrazione derivante dal menefreghismo di ventotto sedicenni, come chi durante la circoncisione guarda sotto la coperta, come chi riguarda gli highlights di una rovinosa sconfitta.

"Ragazzi, datemi solo cinque minuti di attenzione. Poi sarete liberi di fare quello che volete, vi do la mia parola. Ditemi soltanto cos'è, per voi, l'arte".

Ci furono tante mani alzate, tra cui la mia. Il supplente si era esposto candidamente come professore di storia dell'arte. Era un sostituto che avremmo visto solo per quell'ora, per un lasso di tempo breve. Non c'era nessun motivo per cui effettivamente avrebbe dovuto interessarsi di noi. Lo aveva fatto e citando uno spietato DiCaprio in Django, se prima aveva la mia curiosità, adesso aveva la mia attenzione. Gli dissi che l'arte era qualcosa che rimane nel tempo. Una qualsiasi cosa. Egli annuì e chiese a tutti i presenti cosa avrebbero fatto se, in una casa comprata duecento anni dopo la mia morte, avessero trovato un mio disegno.

"Basterà cercare su Wikipedia...", dissi. Cominciò a ridere (e ridi, ridi...), il suo piano era perfettamente riuscito. Erano tutti in bambola.

Non posso sviscerare i dettagli di quella lezione, sarebbe come ledere l'alone mistico di quella che fu una vera e propria indagine psicanalitica comunitaria. Posso però dirvi che non avrei mai più rivisto così tante mani alzate, così tanto entusiasmo e così tanta luce negli occhi degli interlocutori. Finalmente eravamo parte attiva e non passiva, finalmente tutti erano liberi di fare. Quando suonò la campanella, non solo il nostro morale sbalzò alle stelle.

Eravamo anche pronti ad affrontare le ore successive, le nuove sfide, con serenità ed entusiasmo.

Che Walter Mazzarri possa prendere spunto, coerentemente a quanto fatto vedere nelle sue prime due uscite.

Consapevole sia della sua bravura, sia che non ci sia nessun'impresa più di mantenere in un silenzio curioso e vivace ventotto adolescenti.


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