Santiago Bernabéu, 4 maggio 2022. Semifinale di ritorno di Champions League tra Real Madrid e Manchester City. Riyad Mahrez al 73’ sblocca la partita mettendo apparentemente una pietra sopra la contesa per l’accesso alla finale, dopo il 4-3 della gara d’andata. Per i Citizens sembra fatta: finalmente Pep Guardiola, dopo anni di vani e sfortunati tentativi, può spezzare l’incantesimo che gli aveva impedito di tornare a vincere la massima competizione continentale dopo il glorioso ciclo di Barcellona.

Eppure, all’87’ accade l’incredibile: dopo una bellissima discesa lungo la fascia, Jack Grealish conclude in porta, ma il tiro viene salvato sulla linea da Ferland Mendy. A quel punto lo stadio si carica e il Real, in uno sforzo puramente estatico, riesce a riacciuffare il match grazie alle reti di Rodrygo al 90’ e al 91’, portando la sfida ai supplementari in cui – è noto a tutti – alla fine prevarranno le Merengues con il rigore trasformato da Karim Benzema al 93’. A quel punto poco importa quello che succede, tanto il corso della partita è già prestabilito e anche un giocatore esperto come Fernandinho, alla fine, è costretto ad arrendersi ad un destino ineluttabile, fallendo a due passi dalla porta l’occasione che avrebbe potuto pareggiare i conti.

Non c’è nulla di razionale, si disse allora, è stata la mistica del Real Madrid a piegare lo stellare City di Guardiola, sbarrando l’accesso alla finale alla squadra più forte della competizione. Questione di storia, di lignaggio: come nelle società rigidamente divise in caste, anche nella competizione più prestigiosa del Vecchio Continente i parvenus non possono mai prevalere sull’alta aristocrazia, quella più antica. Questione, insomma, di DNA europeo.

La rivincita di Guardiola

Un anno più tardi, però, il Manchester City si prende la rivincita e batte in semifinale il Real Madrid giocando una delle gare più belle della storia della competizione, schiantando i blancos con un sonoro 4-0 che rappresenta un distillato purissimo del calcio fluido e posizionale, avvolgente, di Pep Guardiola. Dopo il tono interlocutorio della gara d’andata (terminata 1-1), dunque, sono sembrati poca cosa l’esperienza di Carlo Ancelotti e dei suoi pluridecorati giocatori, capaci come pochi al mondo di giocare un calcio basato semplicemente sulle relazioni spontanee che nascono in campo tra gli uomini di maggior qualità.

Il punto è che Guardiola è l’allenatore che più di tutti ha cambiato il gioco del calcio nell’età contemporanea, grazie non solo alla ripresa integrale della miglior tradizione del gioco di posizione, ma anche alle sue straordinarie capacità intellettive nel renderlo ancora più diretto e verticale. Ancora più micidiale. E dunque era nella logica delle cose che a un club come il City – che pure non ha quella storia e quella tradizione considerati da qualche opinionista come presupposti indispensabili per vincere la Champions – potesse ripresentarsi di nuovo l’occasione di portare a casa la coppa dalle grandi orecchie, dopo essersela lasciata sfuggire nel 2021. Dallo stile retrò di Bernardo Silva all’incredibile contemporaneità di Erling Haaland, infatti, quasi tutti i calciatori del club di Manchester hanno un fortissimo DNA europeo. Checché ne dica qualche opinionista snob e bacchettone.

Anzi, possiamo dire che Guardiola, dopo aver seminato in Spagna e in Germania, ha preso il meglio che ci possa essere dai rispettivi campionati, senza per questo fermarsi con le sue sperimentazioni tattiche in terra inglese, anzi. Insomma, il tecnico catalano ha plasmato e ha saputo raccogliere il meglio di ciò che offre attualmente il calcio europeo. È questa, forse, una delle chiavi del successo di questo Manchester City. Un lavoro frutto solo del calcio d’avanguardia e delle intuizioni di Guardiola e del suo staff. Altro che storia e lignaggio...

Napoli e Milan, chi ha il DNA europeo?

Ma veniamo alle miserie di casa nostra. Quando il Napoli è stato sorteggiato con il Milan per i quarti di finale di Champions League si è diffuso questo luogo comune – forse, anzi sicuramente, alimentato dalla spavalderia con cui i tifosi azzurri hanno accolto l’esito dell’urna di Nyon – secondo cui i rossoneri avrebbero avuto la meglio nel doppio confronto in forza del proprio DNA europeo. Un argomento vuoto, anche velatamente razzista (della serie: chi sono questi napoletani per poter pensare di battere noi in Europa?), che però è stato alimentato colpevolmente da una buona fetta di stampa e di opinionisti, soprattutto alla luce del passaggio del turno da parte dei rossoneri.

Un po’ come quanto accaduto con Real Madrid e Manchester City, dunque, il Napoli, in virtù del suo status di neofita (o di cafone?) del calcio continentale, non avrebbe mai potuto battere una squadra con la bacheca e il prestigio del Milan. Eppure, viene da chiedersi se il DNA europeo ce l’abbia effettivamente un Milan che ha impressionato tutta la stampa internazionale per la pochezza del gioco espresso nella doppia sfida con l’Inter, disputando quella che, a memoria, è una delle più brutte semifinali di sempre della storia recente della Champions League.

Anzi: viene da chiedersi in realtà che DNA abbia attualmente il Milan, sospeso a metà guado del progetto di Maldini e Massara e in crisi di risultati dal mese di marzo. Il Napoli, di contro, ha stupito durante tutta l’annata per l’enorme varietà delle proprie strategie offensive, passando indifferentemente da un gioco posizionale ad un calcio più verticale, efficace sia nel pressing, che nelle riaggressioni e negli attacchi alle seconde palle. Una squadra (a suo modo) brutale ed eclettica, dotata arsenale gigantesco sviluppato grazie alla sapienza tattica di Luciano Spalletti, un allenatore che in passato ha innovato il calcio italiano e che oggi, dopo anni di onorata carriera, è capace ancora di aggiornarsi grazie allo studio minuzioso delle migliori novità che sa offrire il calcio europeo.

Non a caso, infatti, quest’anno gli azzurri hanno battuto 4-1 il Liverpool (a proposito di squadre che hanno DNA europeo...) e si sono imposti per 1-6 alla Johan Cruijff Arena, uno dei templi del calcio continentale. Insomma: non riteniamo di essere presuntuosi se affermiamo che tra Napoli e Milan in realtà sia il primo, attualmente, ad essere dotato di DNA europeo. E la storia e i trofei c’entrano poco o nulla, se non sono accompagnati da adeguate idee tattiche e dall’attitudine degli uomini in campo. Possono sembrare conclusioni affrettate, controintuitive e persino arroganti, ma guardate a quello che è successo ieri tra Manchester City e Real Madrid: i parvenus per eccellenza, alla fine, sono riusciti a schiantare il club più titolato al mondo, guidato tra l’altro dal re di Coppa Carlo Ancelotti.