Giuntoli è l'uomo giusto per risollevare la Juventus
Giuntoli si trova in una situazione non semplice, nonostante lavori per la Juventus. Deve portare il modello Napoli a Torino

Da qualunque prospettiva la si guardi, sulla Juventus, soprattutto nella figura di Cristiano Giuntoli, piovono critiche. Anche feroci. Fa parte del gioco, del ruolo, della sua posizione nel club più importante d'Italia. Criticano, e a ragione, la campagna acquisti fatta questa estate, con quasi 200 milioni - rigorosamente a rate - spesi dalla società bianconera. Dei veri e propri buchi nell'acqua, fino a questo momento.
Juventus: il calciomercato di Cristiano Giuntoli
Più precisamente, a Giuntoli rinfacciano gli acquisti di Douglas Luiz, in quel gioco ancora poco chiaro di favori con l'Aston Villa, di Teun Koopmeiners per la bellezza di 60 milioni e il non aver preso un vice Vlahovic. Tutto giusto, of course. Ma una domanda sorge spontanea, vedendo la New Politic della società controllata dalla Exor: siamo sicuri che il loro obiettivo sia vincere lo scudetto? O meglio, non è che nel nuovo corso juventino, la nuova (che poi è la stessa famiglia) proprietà volesse in primis ridurre i costi, restando competitivi, con la vittoria come obiettivo per nulla importante?
In fin dei conti, chi meglio dell'ex DS del Napoli potrebbe adottare una politica del genere? Ridurre i costi, abbassare l'età media, creare valori di ingaggi orizzontali con un tetto massimo, restare competitivi. Proprio come avvenne a Napoli nell'estate del 2022 che, 9 mesi dopo, avrebbe riportato il terzo storico scudetto alle falde del Vesuvio.
Anche perché la nuova proprietà, capitanata da John Elkann, ha liquidato il cugino Andrea Agnelli come fosse l'ultimo degli incompetenti, rendendolo innocuo non solo agli occhi della società di calcio della Juventus, bensì di tutto il gruppo Exor. Una netta contrapposizione alle sciagure di Agnelli, che sì ha vinto, ma ha portato i bianconeri sull'orlo del precipizio, salvandosi solo grazie alle continue ricapitalizzazioni.
Da Agnelli ad Elkann: la rinascita del progetto bianconero

E pensare che Andrea Agnelli era difeso dai tifosi (e questo si può pure accettare, visto che generalmente il tifoso non capisce di pallone, come ricordava Kolarov), dal sistema, dalla stampa, dai media tutti (tranne felici eccezioni). Era così evidente l'inadeguatezza dell'ex rampollo che sinceramente veniva da sorridere (per non piangere) vedendo le continue arrampicate in sua difesa per un posto in prima fila. È l'Italia, nulla di nuovo. Elkann, invece, è altra pasta. Antepone il benessere aziendale allo sfizio personale. Inevitabile nel calcio moderno e soprattutto per chi è, come la Juventus, quotata in borsa. Inutile ricordare tutto lo scempio uscito fuori prima della caduta di Andrea, con molti club coinvolti e con la solita polvere ben nascosta sotto il tappeto. Andiamo avanti, non spariamo sulla croce rossa.
Giuntoli, dicevamo. Si è liberato di Paul Pogba e del suo ingaggio monstre (Fortuna? Bravura? Furbizia? Decidete voi), di Massimiliano Allegri arrivando ad uno scontro che poteva essere epico dopo la vittoriosa sfida in finale di coppa Italia contro Gasperini. Di Adrien Rabiot e del suo ingaggio da 7 milioni netti, perso a 0 senza nemmeno essersi seduto a tavola per discutere il da farsi. Stessa cosa per Szczesny, per Alex Sandro. Addirittura per l'ex "miglior giocatore italiano" Federico Chiesa. Si, proprio così. Un'etichetta affibbiata così, aggratis, semplicemente perché indossava la maglia a strisce bianconere. Ci può stare, per dirla alla Benitez (sempre sia lodato). Anche Daniele Rugani, ceduto in prestito, con uno stipendio di 3.5 milioni netti. E per finire Arhur, che, nell'ultima ora di mercato, fu quasi sull'aereo per Capodichino, prima che Aurelio De Laurentiis, fortunatamente, rinsavisse per un istante e facesse saltare il banco. Sempre siano lodati i banchi saltati in un momento di sana lucidità. E non è naturalmente un caso che il buon Giuntoli voglia disfarsi anche di Danilo, che percepisce 4 milioni. La speranza è che anche lui mai veda da calciatore le acque del golfo.
Cristiano Giuntoli chiamato ad esportare il modello Napoli

Il ds juventino ha trovato una situazione al limite del ridicolo, di una società gestita coi piedi, fatta passare per un modello da seguire. È davvero incredibile come il racconto che ne è uscito fuori per troppi lunghi anni sia stato demolito, calpestato, umiliato da un dirigente cresciuto 8 anni a Napoli e dal cugino che si occupava di tutt'altro. E non è finita qui, visto che è evidente che hanno un altro problema da risolvere: Dusan Vlahovic e quell'ingaggio fuori ogni logica che percepisce (12 milioni di euro netti, senza decreto crescita). Con ogni probabilità, il tetto ingaggi della Juventus sarà posizionato intorno ai 4 milioni, con delle eccezioni minime, tipo Gleison Bremer che guadagna 5.5, ma comunque fattibili.
Giuntoli si trova in una situazione non semplice, nonostante lavori per la Juventus. Deve portare il modello Napoli (quello criticato) a Torino (quello osannato). I paradossi della vita. O meglio, i paradossi del calcio. Ma siamo buoni, perché chi conosce Giuntoli (e lo conosciamo benissimo da queste parti) sa che è un dirigente esperto, capace, furbo, attento, che ha ottimi rapporti con tutti e una rete sotto di lui infinita. Ha un'azienda che lavora per lui al servizio di un'altra azienda. È il miglior direttore sportivo in Italia, senza dubbio alcuno. Se esiste un solo uomo capace di riportare la Juventus ad essere competitiva ma con competenza, è lui. Perché rendere una società competitiva con incompetenza è esercizio molto più facile. Basta un Andrea Agnelli qualunque.
Giuntoli oggi se ne frega della vittoria. Così come Elkann. È tempo di bilanci, di conti, di ingaggi. Se arriva una vittoria bene, al contrario nessuno a Torino si dannerà l'anima. Sono francamente inutili e stucchevoli tutte le critiche che gli stanno piovendo addosso. Prive di fondamento. Di chi guarda il calcio accendendo il televideo. Di chi non ha un minimo di spirito critico. Ma tutto questo non è colpa di Giuntoli, ma della sua società.
Questi sono i risultati del "vincere è l'unica cosa che conta". Con tutti i mezzi. Tutti, proprio tutti.