C'era una volta il tifo organizzato
Il calcio è uno sport meraviglioso, se non il più bello di sicuro quello più seguito, e ciò che lo rende ancor più passionale è il supporto che viene dato ad esso ad ogni evento. Purtroppo lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle durante la pandemia del 2020, senza la presenza dei tifosi sugli spalti questi sport prostra agonismo e calore per pochi eletti. L’enfasi che riescono a creare i gruppi organizzati non è possibile discuterlo, specie quando assistiamo alle meravigliose coreografie e coralità capaci di coinvolgere uno stadio intero ma - come sempre - esiste il bello e il cattivo tempo per ogni contesto. In Italia molte (fortunatamente non la maggioranza) frange dei suddetti non sono che un’estensione delle mafie, dalle quali hanno ereditato finanche atteggiamenti e terminologia. Una cloaca parassitaria che si nutre di quella passione che sposta consensi e denari, legittimata dal permissivismo istituzionale che ha sempre rivolto lo sguardo dall’altro lato, sottovalutando per negligenza o convenienza un problema ormai atavico.
Quando parliamo di Mafia non ci riferiamo a organizzazioni criminali esclusive del meridione, ma a un movimento che trova in ogni città un’espressione autoctona, legata a principi di prevaricazione e violenza. A Torino come a Napoli, a Bergamo come a Palermo, questi plotoni organizzati sfruttano la propria influenza, la propria capacità di essere riconosciuta (e in un certo senso tollerata) per allungare le mani sul territorio e renderlo il campo di battaglia sul quale perpetrare i propri traffici e illegalità. Anni di indagini e arresti hanno di fatto confermato il loro dominio incontrastato nelle attività illegali legate al mondo del calcio, dal controllo del merchandising contraffatto al bagarinaggio, dallo spaccio di stupefacenti dentro e fuori gli stadi alle estorsioni nei confronti delle attività ambulanti di ristorazione. Un affare da milioni di euro che li ha resi negli anni sempre più ricchi e influenti, tra l’indifferenza degli organi di vigilanza, impauriti dalla possibilità di dover gestire disordini e renderne conto all’opinione pubblica.
Striscioni manifesto della decandenza morale
Lo striscione, riconducibile a gruppi Ultras bianconeri, è l’ennesima dimostrazione di come non ci sia interessa nel tutelare i valori dello sport o in maniera più egoistica della propria fede calcistica, ma la necessità di colpire chi sta provando, con le sue indiscrezioni, a scoperchiare il vaso di Pandora.
Non ci interessa essere solidali con Fabrizio Corona, quello che fa è provare a trarre vantaggio dalle notizie di cui è in possesso, un vantaggio in termini di una riacquisita notorietà e non spinto dal desiderio di dare una ripulita disinteressata al calcio italiano. Ci chiediamo però come questa inchiesta non trovi l’appoggio deciso di media e istituzioni, perché si cerchi di minimizzare il problema riconducendolo ad una patologia e non ad un sistemo corrotto legato ad interessi personali.
Anche in questo caso però ci sarebbe da approfondire la questione, perché mano a mano che il numero degli indagati cresce, ci risulta difficile credere che chi di dovere non sapesse. Un fiume di denaro riversato sul mercato parallelo del betting, un affare troppo allettante per chi ha necessità di riciclare denaro e quindi sicuramente attenzionato ai massimi livelli.
Solo le pene potranno in qualche modo essere la cartina tornasole di quanto ci sia voglia di affrontare di petto l’ennesimo scandalo del calcio italico. Perché a chi chiede pene esemplari qualcuno ha già risposto che non bisogna lasciarsi andare ad un giustizialismo esasperato, in fondo sono solo ragazzi, ragazzi milionari, ma pur sempre ragazzi incapaci di gestire fama e successo. Il tentativo di trasformare i protagonisti in vittime stride con la necessità di arrivare alla radice del problema ed estirparlo in nome di una credibilità istituzionale e soprattutto del rispetto dovuto ai milioni di tifosi traditi. Senza dimenticare tutti coloro che, privi della protezione che ti garantisce il sistema calcio, hanno rovinato la propria vita e quella delle loro famiglie a causa della ludopatia.
Certi striscioni non sono che il tentativo con cui si prova a difendere lo status quo, a legittimare la propria posizione dominante e forse a tutelare gli interessi di chi muove i fili nell’ombra. Crediamo che il criterio lascivo debba essere messo da parte e che si decida di applicare le norme in maniera ortodossa. Basta sconti, basta tutele, il tempo dei patteggiamenti è finito.