4 maggio 2023. Udine. Ore 22.37. Triplice fischio. Udinese-Napoli 1-1. Dopo 33 anni il Napoli è Campione d’Italia.

Tutti in campo: giocatori, allenatore, stampa, tifosi, staff tecnico e medico, la Dacia Arena si trasforma in una frazione di secondo nel Maradona, e il Maradona, in quel momento, si trasforma nel teatro ospitante dell’unico grande assente di quella serata in Friuli, il presidente, Aurelio De Laurentiis.

Il patron azzurro, durante i festeggiamenti dei numerosi tifosi arrivati allo stadio per assistere sui maxi schermi al match con l’Udinese, irrompe al centro del campo, e con savoir-faire da consumato uomo di spettacolo, rincara la dose per un tifo già di per sé in estasi per quanto appena accaduto, “Ed ora bisogna fare bene in Champions”, “Si riparte con Spalletti”, questa la dichiarazione che fece da titolo a molti articoli usciti proprio in quelle ore.

Il Napoli odierno sembra distante anni luce da quella squadra che solo qualche mese fa aveva regalato un sogno ad una città che ormai aveva perso ogni speranza, e le differenze non si notano solo nel gioco espresso in campo, ma anche nell’ambiente che si respira in città, quasi come se quello scudetto avesse avuto l’effetto opposto di quello desiderato, quasi come se invece di mettere le ali ad una squadra pronta a volare, avesse invece scaricato un macigno di responsabilità sulle spalle di una società che evidentemente, non era pronta a sostenere.

Il presidente spesso è solito con le sue dichiarazioni produttrici di titoli, utili a spiazzare chi lo ascolta o lo legge. Ma questa volta è diverso, quella frase pronunciata nell’euforia generale quel 4 maggio, ha sortito un effetto diverso, non ha spiazzato, o quantomeno, non lo ha fatto come avrebbe dovuto, anzi, è risultata quasi scontata all’ascolto di numerosi tifosi partenopei, come se tutto d’un tratto il Napoli del “perdiamo ma a testa alta”, fosse diventato il Napoli vincente, esperto, dominante e inarrestabile che avrebbe intimorito mezza Europa.

Tutto parte da una speranza, la città, se vogliamo, ha sempre rispecchiato un po’ l’andazzo della squadra: la bellezza, l’armonia, la vivacità, e quel maledetto vizio di sentirsi perdenti ad un passo dal traguardo. Perché in fondo è meglio crearsi un alibi che essere costretto a rispettare le aspettative, ed è per questo che noi napoletani viviamo così intensamente il tifo, perché è come se a perdere o vincere, fossimo anche noi, e dopo anni di grande bellezza calcistica ecco finalmente la grande speranza, quella di uscire da un tunnel fatto di ricordi e passato, che, seppur onorevole, non possa rappresentare anche il futuro.

E allora perché dopo un’annata praticamente perfetta, in cui addirittura anche i problemi tra tifo e società sembravano in via di guarigione, questa speranza si è trasformata nuovamente in delusione?

Le fondamenta vanno costruite

La netta sensazione è che il Presidente dopo il titolo abbia preteso di entrare dalla porta principale sedendosi al tavolo con i grandi del calcio europeo, ma quella porta non si è aperta (quantomeno non ancora) perché le fondamenta non sono fatte di secondi posti o di qualificazioni in Europa. Se si vuol costruire qualcosa di vincente, di grandioso, anche le fondamenta devono esserlo, e uno scudetto è troppo poco per far sì che la struttura regga.

Ma ovviamente di tutto ciò serve la controprova, e non è difficile andarla a trovare, anzi, è piuttosto facile; De Laurentiis, una volta appurato l’addio di Spalletti, si è messo subito alla ricerca di un allenatore che potesse prendere il posto del tecnico toscano, la soluzione ha portato al nome di Rudi Garcia, ultima esperienza in Europa due anni fa, con un’ultima stagione da allenatore in cui dopo aver litigato con lo spogliatoio, lascia l’Arabia, dove era finito ad allenare. Ma prima di trarre conclusioni, bisogna analizzare un altro addio, quello di Giuntoli, uno degli autori dello scudetto, passato poi alla Juventus, e al suo posto dopo anche qui numerose voci, arriva Mauro Meluso, ex Ds dello Spezia fra le altre, alla seconda esperienza in A dietro la scrivania della società azzurra.

Tralasciando il calciomercato - che sarebbe ingiusto commentare viste le poche statistiche riguardanti i nuovi acquisti con la maglia del Napoli - per quanto concerne lo staff tecnico stiamo parlando di seconde scelte. Di ripieghi. Probabilmente anche di porte sbattute in faccia nonostante lo scudetto cucito sul petto. Questa è una risposta, se non comprovata poco ci manca. De Laurentiis con il clamore suscitato il 4 maggio ha generato aspettative di grandezza da parte di un popolo che è abituato a reggersi sul filo del rasoio. Lo ha fatto senza niente in mano, lo ha fatto pensando che a quella famigerata porta qualcuno aprisse, ma così non è stato, e proiettandosi anch’egli in una dimensione estremista, bypassando senza appello la naturale - e sensata - crescita graduale fondata sulla vittoria del 2023.

Questa, però, non deve per forza di cose come scolpire una sentenza definitiva nella pietra. La strada può cambiare. Il tempo c’è. Serve, però, volontà nel farlo e, soprattutto, evitare di peccare di presunzione, pensando che per una vittoria tutto sia dovuto quando in realtà il percorso è appena cominciato. Per essere considerato un vincente infatti, devi dimostrare costantemente di esserlo; perché come cita uno dei più celebri e meglio riusciti film di Nolan:

Non è tanto chi sei quanto quello che fai che ti qualifica”.


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