Le inchieste che stanno travolgendo dall'interno il sistema calcio italiano sono al centro del dibattito social. Non possiamo dire lo stesso per quello mediatico, visto che si contano sulle dita di una mano le voci che dedicano tempo e professionalità alle vicende giudiziarie sportive e ordinarie che vedono coinvolta la Juventus e il suo ex quadro dirigenziale.

Inutile soffermarci su quelli che saranno gli esiti dei processi. Chiamati a giudicare e a difendersi sono personalità di spicco della giurisprudenza italiana. Noi osservatori non possiamo fare altro che attendere fiduciosi le decisioni finali sperando che, per il bene dello sport più popolare al mondo, la verità processuale corrisponda con la verità storica.

Il grande bluff

Ma da osservatori e naviganti, facciamo fatica a credere a un aspetto che va per la maggiore tra chi commenta e orienta il dibattito, ma che paradossalmente accomuna entrambe le fazioni: l'immobilismo del resto dei club.

Risulta difficile credere che la Procura di Torino si sia mossa per soddisfare il cosiddetto "sentimento popolare", molto più credibile che le prime segnalazioni siano partite da quella parte "nuova" del sistema calcio italiano che negli ultimi anni ha investito capitali importanti tramite fondi o proprietari stranieri, in collaborazione con le società non coinvolte o che hanno fatto del rispetto delle regole il valore fondante della propria crescita, stanchi di puntare le proprie fiches su un tavolo verde ai margini del compromesso.

Il calcio italiano negli ultimi anni ha accolto importanti gruppi economici stranieri, provenienti da altre culture sportive e d'impresa, come quella americana. Pensare che certi colossi fossero disposti a guardare gli altri vincere senza possibilità di competere è da marziani. Molto più probabile che siano loro le scintille che abbiano causato l'incendio.

Siamo nell'ambito delle sensazioni, delle letture personali: l'indizio principale è costituito proprio dal silenzio di chi avrebbe tutto l'interesse a cavalcare l'onda della legalità e spingere l'acceleratore sull'opinione pubblica per orientare e dar valore al proprio operato. Invece, il mantra è quello di non entrare in un conflitto mediatico sterile che rischierebbe ulteriormente di spostare l'attenzione su contrapposizioni calcistiche e di fede più che di senso della giustizia.

Rivoluzione silente

Il calcio italiano è a un bivio. Decisivo. Ogni epoca finisce e quelle che hanno visto dominare dettando le proprie leggi, solitamente, hanno avuto epiloghi traumatici. Innescato da figure interne al sistema, che agiscono nell'ombra, in silenzio. Determinati a rivoluzionare lo stato delle cose più che apparire come eroi. Fuggite dalle narrazioni main stream. In Procura non leggono Twitter, né tantomeno fanno partire indagini per sentimento popolare. Dietro l'inchiesta più grossa di sempre del calcio italiano, probabilmente, c'è chi nel calcio italiano investe ed è stanco di buttare soldi. Il mondo è popolato da squali. Il calcio non è da meno. Domande che restano senza risposte, correlate alle attuali e spiacevoli vicende che coinvolgono non solo le sorti di una singola squadra, ma la credibilità dell'intero sistema calcio. Ci si domanda il perché della decisione del GUP di rinviare a giudizio gli imputati dell'inchiesta Prisma, allungando i tempi di un processo penale di cui quello sportivo ne sta già sentenziando le sorti. Ci si chiede anche il perché della decisione della Federazione Italiana Giuoco Calcio che non si è costituita parte civile al suddetto processo dopo che il presidente in carica, Gabriele Gravina ha rilasciato dichiarazione del calibro  “con queste indagini si sta danneggiando l’immagine del calcio”,  oltre ad aver impugnato la decisione del Tar sulle carte Covisoc e presentato immediato ricorso al Consiglio di Stato. La decisone di non costituirsi parte lesa al processo lascia più di una perplessità.

Chi ama questo magnifico sport, al di là di ogni colore, deve sperare in un futuro fatto di equilibrio competitivo e quella che si sta presentando è un'opportunità più unica che rara. La cultura sportiva è veicolata dai media, che a loro volta sono orientati dai poteri che regolano il sistema. Se vincerà la giustizia, assisteremo alla rinascita di quello che un tempo era il campionato più bello del mondo, composto da mille realtà uniche, irripetibili per storia e tradizione. Un insieme di culture e modi di vivere il pallone da far invidia al mondo. Riprendiamo a raccontarle tutte, non solo una. Che vinca la storia. Che vinca la giustizia, mai intensa come condanna, bensì come pura e semplice verità. E che venga rispettata. Da tutti. Nessuno escluso.


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