Sia maledetto quel giorno in cui si è scelta la restaurazione. Il Napoli perde tutto ciò che può perdere nella gara di esordio contro il modesto Verona, il cui valore della rosa ammonta a poco più di 63 milioni di euro (il Napoli ha un valore di 450 milioni di euro, senza Victor Osimhen 350 milioni).

Partita in cui il Napoli soccombe come nemmeno lo scorso anno ha quasi mai fatto. O, se è successo, contro squadre di ben altra caratura. Senza troppi giri di parole, è evidente che i problemi sono di ben altra natura rispetto al mercato. Quella di ieri era una formazione che poteva tranquillamente fare bottino pieno al Bentegodi.

Cadono i miti del veleno, dei duri allenamenti e della garra tanto cara a chi crede che il calcio sia una scienza esatta. Il Napoli ha dei problemi che sono ben più grandi del ritardo di David Neres, dell'arrivo per ora mancato di Romelu Lukaku e chi più ne ha più ne metta. Il Napoli ha un male che va estirpato. E l'unica strada è la rivoluzione come mai prima d'ora.

Gli errori si pagano, l'abbiamo scritto a più riprese. E quelli fatti da Aurelio De Laurentiis e dalla società tutta post scudetto sono forse impossibili da recuperare. A meno che non si faccia una definitiva tabula rasa che chi scrive auspica dal 5 maggio 2023. La radice va tirata dalla terra e buttata nell'immondizia.

Ci saremmo aspettati che Antonio Conte, manager navigato dalla comprovata esperienza, vincente in ogni dove, volesse intraprendere questa strada. Uno della sua caratura doveva rendersi conto dopo 10 minuti di ritiro che i problemi erano enormi e che non si potevano risolvere senza una determinata mossa: la rivoluzione più totale.

Se ne è reso conto tardi, agli inizi di agosto, quando è impossibile fare quello che va fatto. Lo ha detto, ridetto, ammesso. Così come ha ribadito anche post Verona: "dal mercato possono arrivare anche 1, 2, 3 o 4 nuovi calciatori ma il problema è diverso". Di quale problema si tratta non è dato sapere. Lo stesso, probabilmente, a cui si riferivano, in ordine, Rudi Garcia, Walter Mazzarri e soprattutto Francesco Calzona.

Noi ci siamo fatti un'idea. Il Napoli post scudetto ha giocato a fare il top club senza averne né le competenze, né la forza economica. Ha rinnovato il parco calciatori rendendo il Napoli uno dei team più vecchi di tutto il panorama calcistico europeo. Ha rifiutato orde di soldi per quell'effimero ed inutile pensiero di essere meta di arrivo e non di passaggio (avallato incredibilmente da Antonio Conte durante la conferenza di presentazione), ha creato una disparità di ingaggi che nemmeno nelle peggiori aziende.

E, assodato tutto questo, ha ingaggiato un allenatore che ha totalmente sbagliato la strategia. Ha voluto ed ottenuto un altro ultratrentenne svincolato (Leonardo Spinazzola), ha preteso la permanenza di Kvicha Kvaratskhelia fregandosene di 110 milioni offerti dalla Francia (11 milioni all'anno al calciatore, vedremo il Napoli a quanti milioni di euro in meno lo rinnoverà rispetto all'offerta parigina), ha fatto di tutto per trattenere il capitano Giovanni Di Lorenzo nonostante sia stato ad un piede e mezzo a Torino (su questo, ci chiediamo dove sia finito il tifo napoletano, risvegliatosi affascinato dal club sotto la mole quando per 100 anni gli ha fatto una guerra inutile), salvo poi rendersi conto il 10 agosto di aver preso un granchio.

E la società, spinta dalla piazza (sic) che "doveva lasciare fare tutto a Conte", oggi ha un problema bello grosso. Ora non resta che salvare il salvabile. Fare tutto ciò che si può fare, e ben oltre, per mettere a disposizione del tecnico i calciatori che vuole.

Soprattutto adatti al nuovo modulo, visto che è stato cambiato ma con interpreti vecchi abituati a fare altro. Poi ci vorranno almeno altre 2 o 3 sessioni di mercato per mettere il punto, ripulire e ripartire. Sempre strizzando l'occhio alle prime 4, risultato necessario per il futuro.

Il Napoli ha avuto la bellezza di 3 sessioni per liberarsi dei vecchi eroi e non ha attuato nulla di quello che voleva fare. Ora faccia presto. Perché la situazione è terribile.