Sono scene di ordinaria follia quelle a cui hanno dovuto assistere gli automobilisti, in transito nel primo pomeriggio di ieri, sull’autostrada del Sole all’altezza di Arezzo. Centinaia di ultras napoletani e romanisti si sono fronteggiati a colpi di spranghe, scegliendo come campo della disputa quell’area di servizio che 16 anni or sono fu teatro di un altro fatto di cronaca - sempre legato al mondo ultras - che vide la tragica morte di un giovane tifoso laziale, Gabriele Sandri, colpito a morte da un proiettile sparato dall’agente della polstrada Spaccarotella.

Il giorno dopo l’insulsa contesa si contano i danni e, data la dinamica e la brutalità dell’accaduto, solo il fato ha scongiurato conseguenze più gravi per i protagonisti e per coloro che si sono trovati casualmente a transitare.

Quanto accaduto è l’ennesimo episodio di violenza legato a quella parte di tifoseria che, nascosta dietro falsi ideali, perpetua secondo una primitiva logica del branco, incurante delle possibili conseguenze e del danno di immagine che arreca non solo al calcio italiano ma all’intero Paese.

Ormai con preoccupante cadenza ci ritroviamo a discutere su quali siano, concretamente, le azioni da intraprendere per arginare il fenomeno. A nulla sono serviti gli appelli di mogli e madri disperate, come la vedova Raciti o Antonella Leardi - la madre di Ciro Esposito, il tifoso napoletano ucciso da un ultras romanista nel 2014 – e tantomeno i toni stigmatizzanti con i quali l’intera opinione pubblica si oppone alla spirale di violenza che attanaglia il calcio.

Tornelli, tessere del tifoso e daspo non si sono rivelati strumenti adatti alla risoluzione del problema, ma più un palliativo, un maldestro tentativo di nascondere la polvere sotto al tappeto e hanno avuto come conseguenza un lento e inesorabile allontanamento da questo sport da parte delle famiglie e la gran parte genuina di chi sostiene la propria fede all’insegna della civiltà. Stadi, in molti casi, fatiscenti e resi insicuri da chi li considera il terreno sul quale far valere il proprio istinto predatorio.

Oggi su giornali e social leggiamo decine di dichiarazioni da parte di esponenti politici che, al grido “mai più allo stadio”, manifestano il proprio dissenso e chiedono punizioni esemplari. Ma sarà davvero così? Perché sembrano più frasi di circostanza, il bisogno di nascondere il proprio fallimento, parole dettate dall’esigenza di prendere le distanze da quel mondo che il loro immobilismo ha alimentato, fino a renderlo un fenomeno incontrollabile.

Oggi qualcuno parla di chiudere gli stadi delle tifoserie incriminate – anche se la normativa considera i club responsabili solo per fatti che si verificano all’interno degli stadi o nelle loro adiacenze – come se punire le società e migliaia di tifosi per colpa di poche centinaia di scalmanati sia la soluzione corretta, consegnando, tra l'altro, agli Ultras, un potere di ricattabilità nei confronti del loro club. Un po' come voler chiudere le autostrade a tutti perché qualcuno si mette al volante ubriaco.

Il Napoli prende posizione con un duro comunicato

"Il Calcio Napoli condanna fermamente gli atti e i comportamenti di alcuni presunti tifosi, che purtroppo ancora frequentano gli stadi italiani, creando da sempre per i veri appassionati disagi e pericoli. Terrorizzando, come è successo ieri sull'autostrada A1, anche persone che tra l'altro erano completamente estranee a qualunque tifo calcistico. L'Inghilterra negli anni '80 ha estirpato i facinorosi dagli stadi rendendo il calcio inglese il più sicuro e spettacolare del mondo, con provvedimenti drastici ma efficaci. Auspichiamo che il Ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, voglia prendere una volta per tutte iniziative appropriate e radicali. Sarebbe ingiusto, per colpa di poche centinaia di individui, vietare le trasferte a tutti. Ma non è tollerabile che persone violente possano viaggiare indisturbate per l'Italia e frequentare gli stadi"

In effetti, certe soluzioni urlate mostrano soltanto quanto sia inadeguato il livello di repressione messo in atto fino ad oggi e quanto fragile sia la volontà di estirpare alla radice il problema. Basterebbe considerare questi soggetti per quello che sono: criminali. Con questo appellativo che vanno giudicati, e come tali vanno perseguiti penalmente, con pene certe e senza possibilità di appello. Si parla tanto di pirateria, come di quel male che uccide il calcio, ma si ignorano gli scandali ai quali assistiamo impotenti da oltre 20 anni e la violenza che ne fa da corollario.

Si sente più volte parlare del modello Premier in ottica economica, ma perché nessuno mai ha provato a replicare il modello della Thatcher, che nel giro di pochi anni ha ridimensionato il fenomeno degli hooligans - vera e propria piaga fino alla fine degli anni ’80 - oggi ormai scomparso? È evidentemente più facile chiudere uno stadio e far credere all’opinione pubblica di aver fatto la voce grossa che punire i responsabili. Un modo di fare molto triste e maledettamente made in Italy.