I cinepanettoni.

I film romantici, stile Love Actually o L’amore non va in vacanza. Quelli per bambini, come Mamma, ho perso l’Aereo.

Una poltrona per due.

Ognuno ha il suo film di Natale, la sua ricorrenza cinematografica da vivere ogni volta che si avvicinano le feste di fine anno. Una sorta di rito propiziatorio o di buon auspicio, il moderno inno al Sole, dove l’unica luce a brillare è quella metaforica del proiettore.

Però ce n’è una che cade proprio a fagiolo quest’anno, e vede un signore di una certa età, ma ancora vigoroso nelle movenze e soprattutto nello sguardo, che passeggia pensieroso lungo i viali di una città. E pazienza che questi non sono coperti da un manto di neve come nella versione originale… Signore e signori, inizia la vigilia di Natale di...

Aurelio Scrooge

Aurelio Scrooge avanza imperterrito, noncurante dei mendicanti consiglieri comunali che provano ad attovagliarsi al suo tavolo, consapevoli che lui non lascerà loro nemmeno le briciole, quando però, tutto d’un tratto, gli appare una figura familiare, seppur lontana nel tempo: è Corrado Ferlaino che gli annuncia, dopo un breve preambolo, che presto riceverà la visita di tre fantasmi: lo Spirito del Natale Passato, quello del Natale Presente ed infine quello del Futuro.

«Perché, Corrado? A cosa devo queste visite?»

«Dovrai riflettere sulla tua vita sportiva, Aurelio Scrooge…» prima di allontanarsi in una nuvola azzurra.

Aurelio Scrooge derubrica ad allucinazione questo evento, che per questo viene presto dimenticato, sostituito nella mente da decine di altri impegni che si susseguono rapidamente finché non arriva tarda sera. Aurelio, persino Aurelio, è stanco, e decide di andare a dormire. Si ritrova così nella sua camera da letto, le cui pareti sono tappezzate da fotografie che ritraggono attimi fuggenti del suo glorioso passato. Lui in mezzo a Sarri ed Al Pacino, lui che guarda divertito una felice Marisa Laurito in braccio al Pocho Lavezzi, lui che accarezza il volto del cucciolo di famiglia: l'amato figlio Edo… all’improvviso la quiete è interrotta da uno scalpiccio.

Ad un orecchio attento non sarebbe sfuggito che quella pesantezza di suola doveva essere associata ad una scarpa robusta, pesante, tuttavia il rumore ovattato richiamava all’urto della suola stessa con un terreno, probabilmente fangoso, di certo non urbano. Aurelio Scrooge è ancora nel dormiveglia quando si alza dal suo talamo, ha ancora la vista appannata e il capo leggermente rivolto verso il basso, verso il pavimento: sono quelle scarpe che si ergono da un fango - comparso chissà come nella sua stanza - le prime cose che vede. Incuriosito, alza la testa e nel farlo avverte una strana sensazione: la figura che gli si para dinanzi sembra prendere forma man mano che lui la osserva, come quando riempie i puntini numerati in ordine sul gioco della Settimana Enigmistica.

Il fantasma del Natale Passato

«Aurelioooo…» declama una voce.

Le scarpe quindi, poi il tronco, le spalle possenti, e prima ancora che compaia il volto, Aurelio Scrooge domanda, con quel tono di chi è abituato a ricevere immediata risposta ai propri interrogativi:

«Chi sei?»

La risposta arriva dalla bocca appena formatasi, sottile ma risoluta:

«Sono Lo Spirito del Natale Passato», risponde.

«Luciano!? Ma che cazzo ci fai qui?» esclama Aurelio, una volta aver identificato il viso che gli è di fronte, appena comparso. Quello lucido, familiare, di Spalletti.

«Presidente, qui è solo un luogo come un altro. Noi non siamo né qui né altrove, noi siamo. Ed è in virtù del nostro essere che dobbiamo muoverci, da qui a lì…»

«Ah Lucià, ma questa non è mica ‘na conferenza stampa, e taglia corto con ‘sta filosofia, essù!»

«Sono qui per mostrare qualche ricordo dei Natali trascorsi, e ricordarti chi sei» sentenziò lo Spirito.

Con uno schiocco di dita, Spalletti mostra il Natale dell’anno scorso, quello con il Napoli in vetta alla classifica a distanza già siderale dalle altre. I due entrano insieme e fluttuanti nelle case di migliaia di napoletani, ipnotizzati davanti a schermi più o meno grandi a guardare le gesta di Kvaratskhelia ed Osimhen. Poi, come in un filmato a ritroso, Aurelio si ritrova ad osservare quegli stessi volti, ugualmente felici ma più giovani, impazzire di gioia per un gol di Cavani al Lecce, poi un rocambolesco 3-3 a Cagliari, con Max Allegri preso a pallonate da Lavezzi e, andando ancora più indietro a velocità smodata, quando non era nemmeno presidente del Napoli, una vittoria a Parma, allora una corazzata, con i gol di Gambaro, Fonseca e Thern, con un video d’epoca in cui gli highlights erano lanciati dal commentatore di turno con la frase: “il Napoli di Marcello Lippi ha riconquistato l’amore dei propri tifosi”. Quando una vittoria bastava per essere felici.  Almeno per una settimana. E poi, in un’altalena temporale, Aurelio che compra il Napoli, la sentenza di fallimento pronunciata a malincuore dal giudice Frallicciardi, la fuga di Aurelio in vespa, “siete delle merde”, la promozione in A e tanto altro.

«Un grande Presidente, ecco chi ero e chi sono. Il migliore della Storia del Napoli, non c’è bisogno che tu venga a ricordarmelo, grazie. Ora se vuoi scusarmi, vorrei tornare a dormire…»

«Non hai torto, ma io sono qui per ricordarti come lo sei diventato.»

«Con un occhio ai conti ed uno al campo. Mica solo Marotta c’ha lo strabismo dell’affarista, come dice il mio caro amico Lotito, eh.»

«Debbo pensare allora che lo scudetto ti ha annebbiato un po’ la vista, Presidente, o è la fantasia che è venuta a mancare? » lo provoca Spalletti, con la sua tipica cantilena dall'accento toscano.

«Ho sempre avuto una fantasia spropositata. Altrimenti non sarei diventato un imprenditore cinematografico. Veda, caro Spalletti…»

«Non iniziamo con le supercazzole, Presidente. Le faccio anche io, so riconoscerle» tagliò corto lo Spirito Luciano, prima di aggiungere: «Se così fosse, allora, dovresti credere alla mia presenza adesso. Ci credi? »

«No! »

«Vedi? Allora ho ragione. Hai perso l’abitudine a credere. Ma non nella solida realtà, quanto nelle tue stesse visioni.»

«A cosa ti riferisci?»

«Mi riferisco a quando hai preso Maurizio dall’Empoli. A quando mi hai convinto a venire a Napoli. Se torniamo indietro, a quando hai comprato il Napoli stesso. Sai, credo che l’Aurelio di oggi non lo farebbe. Non comprerebbe il Napoli.»

«Lo farei altre mille volte!» A quell’affermazione, Aurelio si ribellò, agitando una mano.

«Non lo so, mi sembra che la vitalità che prima contraddistingueva la tua sostanza oggi faccia parte solo della tua forma. Resta in superficie, nelle parole, non nei fatti.»

«La colpa è anche tua che mi hai lasciato col cerino in mano.»

«Mazzarri dopo due anni e mezzo, Benitez dopo uno, Sarri alla fine del terzo, tutti avevano già provato a prenderti in contropiede. O li hai convinti a restare o li hai saputi sostituire alla grande. Quest’anno invece…»

«Pensa alla tua Campagna, Luciano» rispose Aurelio, dirigendo lo sguardo verso gli stivali che, un momento, non c’erano più! Adesso erano degli scarpini da calcio!  «Alla tua campagna europea, dovrei dire…»

«Un tempo qui era tutta campagna, poi è diventato calcio. Ed il calcio ora è relazione, l'ho detto pure da Vespa. Ma non intendo solo nel campo, anche fuori Aurelio. Anche fuori. Relazioni, non dimenticartelooooo..."» le ultime parole furono pronunciate in dissolvenza, mentre il fantasma del Natale passato svaniva in un lembo di fumo blu.

Aurelio Scrooge resta per un attimo attonito, poi si agita una mano sul viso come a volersi scrollare di dosso quella nuova allucinazione e decide di rimettersi a letto. Ma non fa in tempo a riprender sonno che...

Il fantasma del Natale Presente

«Aurelioooo…»

«Aho, ma ve siete messi d’accordo per rompermi il cazzo tutti stanotte? Ma dove sta Lombardo quando serve…»

«Aurelioooo…»

«Lo conosco bene il mio nome!» Replica Aurelio Scrooge, urlando in una stanza vuota, «L’ho reso famoso io questo nome. Prima di me solo Marco Aurelio, imperatore Romano…»

«Aureliooo... il romanooo…»

«Ma vaffanculo! Chi è che blatera adesso?»

Quattro mani, quattro gambe, due teste gli si palesano davanti agli occhi.

«Siamo gli spiriti del Natale Presente!» pronunciano all’unisono, in due lingue diverse.

«Bonjour Aurelieau!»

«Eh Aurelieau, l’acqua di Aurelio, abbiamo inventato un nuovo profumo, come acqua di Gio, del mio amico Giorgio. Visto che bel rapporto commerciale che ho instaurato con lui? Altro che privo di fantasia… ma poi che parlo a fare con te, che a stento capisci di calcio…»

Il fantasma Garcia in tutta gli risposta gli fa un inchino, per quanto il costume condiviso con l’altra persona glielo consenta. Aurelio lo ignora, dedicando l’attenzione all’altra sagoma, familiare anch’essa.

«Ciao Aurelio, noi ci diamo del tu da tempo, l’ho pure detto ai giornali…» la voce dell’altro Spirito è rauca, probabilmente per milioni di litri di pioggia cadutigli addosso in mille partite di calcio. Pioggia a volte che gli ha negato anche la vittoria. Dannata pioggia.

«Ah Walter, che ci fai qui? Non dovresti dirigere gli allenamenti?»

«Ma è la notte di Natale, Aurelieau» interviene il fantasma di Garcia.

«Tu stai zitto, che fosse stato per te manco ci arrivavamo alla notte di Natale, stavamo in B già il 2 novembre.»

Il fantasma Garcia in tutta risposta mimo il gesto del violino, come la sera in cui venne ingaggiato. Quanto divertì quella cosa Aurelio, non si può immaginare. Adesso però a quel gesto Aurelio risponde con un altro, meno aulico, ma sempre con la mano. Con un dito della mano.

«Aurelio, non fare così» riprende l’altro Spirito, Walter Mazzarri, «concentrati sul presente, adesso.»

«Ma quale presente, Walter! Io vivo nel futuro, lo sai.»

«Il futuro è figlio del presente» interviene Garcia con voce suadente.

«Smettila di dire fregnacce, tu. Mannaggia a me e quando ci son cascato quella sera a cena, a Roma.»

«Il futuro è figlio del presente»  ripete Mazzarri.

«E mi sa che c’hai ragione, Walterì. Ma il presente ‘mo è roba tua, te l’ho affidato.»

«Io sono stanco, Aurelio, darò il massimo, come sempre, ma la responsabilità che mi hai assegnato è grande. Ma non farmi lamentare, non lo faccio più. Sono un uomo diverso oggi...»

«Ma tu devi solo mantenere il carro per la scesa. Al futuro ci ho già pensato, stai tranquillo. Tu metti la squadra in campo, 433, e vedrai che le cose andranno bene, 'mo mi fai dormì? » lo interrompe Aurelio, provando a tornare verso il letto.

«La vita non ha moduli, Aurelio. La vita è come una scatola che devi riempire di cose…»

«Bella, questa! Forrest Gump, giusto? »

«No, veramente è Luciano Spalletti»

«Madonna Santa, Walter, ma mi copi Spalletti adesso?»

«Mi hai preso per questo, Aurelio»

«Va bè, ma sono cose che si dicono ai giornalisti per dare loro un titolo, e poi io intendevo il modulo. E, comunque, Spalletti si riferiva al calcio quando parlava di scatola da riempire…»

«Anche alla vita, Aurelieau, anche alla vita», interviene Garcia.

«Aho, ma a questo quando lo cacciate?» Esclama Aurelio, guardando verso l’alto alla ricerca di un segnale divino, «manco come Spirito del Natale è buono. Ma vvvattene a ffan…»

«Eterno movimento, e cambiamento. Devi cambiare» lo interrompe Walter, prima che trascenda.

«Dici Walterì? Se lo dici te, mi fido, so che sei uomo che guarda dritto in faccia la realtà, e non accampa mai scuse… ah ah ah… scusa, scusa. Sdrammatizzavo»

«Figurati, Aurelio, ci diamo del tu, del resto. Puoi scherzare con me. Tanto alla fine farò comunque il 352, lo sai.»

«Fa quello che ti pare, ma portami in Champions, se no ti caccio.»

«Pensavo lo facessi ugualmente a fine stagione»

«Infatti te sto a piglià pe' culo, Walterì! Daje con la Champions, che hai una rivincita da prenderti!» risponde Aurelio, liquidando Mazzarri.

«Vedremo, il Barcellona ha tanti campioni, Messi, Suarez...»

«Te devo ricordà la figura di merda che m'hai fatto fare con il Frosinone?»

«O l'hai fatta fare tu a me?» risponde Walter, in un impeto di orgoglio e lungimiranza, prima di tornare nel ruolo, «adesso devo andare. Tu ricordati però che conoscere il passato serve a non riproporlo, anche se è stato un bel passato. Ciao Aurelioooo...» la voce inizia a svanire, e con essa l’immagine di Walter.

«Adieu, Aurelieau» lo saluta il fantasma Garcia che, prima di sparire, ha ancora tra le mani il contratto che è riuscito a strappare a giugno. Quello però non svanisce, resta sul pavimento, come monito.

« ‘Sti Galli, a romperci il cazzo sono bravi da mille anni», pensa Aurelio Scrooge, mostrando il dito medio all’aria che ora ha rimpiazzato lo spazio lì dove c’era lo Spirito francese.

«Però forse Walter ha ragione, e pure Luciano» ripensa, «il passato è passato, il presente è solo un ponte verso il futuro, ma se 'sto ponte lo faccio instabile, mi finisce che crolla tutto! Madonna, sembro Verdone quando interpreta il prete che straparla in Acqua e Sapone. Questo Tempo che colpisce, questo Tempo che rapisce, questo Tempo che ruggisce...» Non era proprio così, ma Aurelio è uomo che a volte modifica i ricordi. Come chiunque del resto.

Il fantasma del Natale Futuro

I vaneggiamenti vengono però interrotti da un vento gelido che spalanca la finestra. Un’ombra avvolge il Presidente. Aurelio Scrooge si volta di scatto e nota la minacciosa figura che gli si staglia dinanzi. Sarà alta oltre due metri, forse due e mezzo, ma è sospesa nell’aria, il che la rende ancora più imponente. Indossa un lungo mantello ed un cappuccio al di sotto del quale c’è solo un buio illuminato da due occhi rossi.

«Gravina!» Esclama Aurelio, subito impaurito. Ma la figura scuote il capo negando di essere quell’uomo, non degno nemmeno di comparire in un canto di Natale.

«Chi sei?»

La figura allarga le braccia, come per dire che Aurelio dovrebbe saperlo.

«Sei lo spirito del Natale Futuro!!» Esclama dunque Scrooge. La figura stavolta fa cenno di sì. «Cosa mi mostrerai adesso?» Gli chiede Aurelio, curioso ma timoroso allo stesso tempo.

La figura non risponde, si limita ad avvicinarsi al nostro protagonista per poi subitaneamente avvolgerlo nel suo mantello. Aurelio si sente avvolto da quell’ombra pesante e chiude gli occhi, come se negarsi la vista lo proteggesse dal male incombente, poi, dopo alcuni istanti, riapre gli occhi e si rende conto di non essere più a casa sua, ma in un altro luogo. Non capisce dove.

Ci sono tante persone vestite di scuro. Lui però è nelle retrovie, non può scorgere i volti. Allora si mette in cammino, seguendo quella che sembra una processione. Man mano che alza il ritmo dei suoi passi, si avvicina ad alcuni di quei volti e li distingue.

Aurelio osserva i volti rigati dalle lacrime. Il primo che distingue è quello di un consigliere comunale, Diego Pablo lo chiameremo, uno di quelli a lui storicamente ostili. Si chiede perché stesse piangendo, forse era scomparso un politico famoso al quale era legato. Procedendo avanti, ci sono altri consiglieri comunali, li conta: sono ventitré, oltre quelli vede due uomini con un cappello azzurro di lana, ma non appena gli si mette di fianco, come per magia quel cappello diventa nero. Allora li vede in volto e distingue chiaramente due ultrà del Napoli, appartenenti a due dei gruppi con i quali sancì la tregua durante la stagione dello scudetto, prima dell’infausto match di Champions contro il Milan. Andando ancora avanti vede altri visi noti: Lotito, che si asciugava il naso con un fazzoletto con sopra ricamata la criptica frase “Zarate vale quanto Messi”, Andrea Agnelli, col volto stravolto, che stringeva convulsamente la mano di Ceferin da un lato e quella di Elkann dall’altro; c’erano poi altri presidenti venuti a fare presenza di circostanza, e tanti giornalisti e opinionisti campani, dallo scomparso Tullio Maddaloni ad Umberto Chiariello, da Paolo del Genio a Mimmo Malfitano, persino alcuni influencer dei social, popolari per i frequenti strali contro Aurelio, dei quali lui stesso ignorava l’esistenza, ma che per quella particolare onniscienza che deriva dalle allucinazioni, in quel momento riconosceva. Nessuno striscione di protesta però, nemmeno da parte loro. Nessun “Pappò, caccia i soldi” o “Vinci solo tu”. Strano.

«Ma dove stanno andando» si chiede, Aurelio, nascondendo anche a sé stesso di avere già un'idea. Ha paura a pronunciarla ad alta voce, come se il suono delle sue stesse parole potessero dar loro concretezza. Si volta verso lo spirito del Natale futuro che però prosegue imperterrito lungo il cammino. Aurelio si sente quasi spinto a fare altrettanto. Da un lato voleva fermarsi e tornare indietro, dall’altro non riusciva a non insistere e quindi camminava, quasi correva. Nella corsa, nemmeno si accorse di quel cartello di lato e con la scritta consumato dal tempo: A16.

Superò altri volti noti, alcuni soltanto a lui, quel particolare ragazzo che una volta gli aveva manifestato sostegno in un momento difficile, oppure quello screanzato che gli aveva rotto le scatole fuori uno studio dentistico, poi ancora: Spalletti, Sarri, Reja, tutti i giocatori dei Napoli passati e presente. Fu allora che in Aurelio Scrooge si manifestò una certezza. Di nuovo si voltò verso lo Spirito.

«Sto assistendo al mio funerale vero? Sono venuti tutti al mio funerale? Sono morto?» Tre domande per chiedere la stessa cosa. Tre domande come gli Spiriti del Natale. Tre domande come gli scudetti del Napoli. Lo Spirito di nuovo non rispose, ma sollevò una mano ossuta dal mantello e gli indicò qualcosa.

Aurelio seguì con lo sguardo la proiezione della mano e vide che era diretta chiaramente verso il punto più in avanti della processione: ora la vedeva chiaramente, davanti a tutti c’era una bara. La sua idea  acquistò tremenda solidità. Iniziò a correre, affannato, verso quello che temeva essere un ineluttabile destino. Superò altri volti, altri nomi, fino ad arrivare finalmente lì, all’epicentro della processione.

La bara.

Prima di essa, in piedi, avvolto in un elegante cappotto nero, triste come tutti gli altri presenti alla scena, con gli occhi celesti persi in un lago di lacrime trattenuto a stento, c’era un uomo. Non molto alto, ma fiero, con la barba bianca e ben curata.

Era lui. Aurelio De Laurentiis!

Aurelio Scrooge scorse il proprio volto davanti agli occhi, come in uno specchio. Tanto era smarrito il suo, quanto fermo quello della sua copia. Riguardò allora lo Spirito che, di nuovo, lo condusse con la mano verso il vero obiettivo: la bara.

Era chiusa, ma Aurelio sapeva adesso che non vi era nulla all’interno. Nulla di umano, perlomeno. O, per meglio dire, nulla che fosse possibile racchiudere in una semplice sagoma umana. Era una moltitudine.

Sulla bara, uno stemma chiarì ogni cosa: una gigantesca N azzurra campeggiava.

Stava assistendo al funerale della Società Sportiva Calcio Napoli.

Con lui c’erano tutti coloro che avevano amato il Napoli. Anche coloro con i quali aveva litigato, che lo avevano osteggiato, che lo avevano pubblicamente disprezzato, ma che adesso lo seguivano – lui in testa, loro alle sue spalle – nel giorno più infausto.

Nemici della gioia, insieme nel dolore. Che destino infausto.

Una nuova sfida. Una sfida nuova

«No, no, no! Non voglio che finisca così, Spirito! Dimmi che cosa devo fare, cosa posso cambiare, il Napoli deve sopravvivere, non può finire come vent’anni fa!»

Lo Spirito guardò Aurelio dai pozzi che aveva per occhi, ma ora diventati improvvisamente azzurri, senza fornire alcuna risposta. Ad Aurelio parve scorgere però in quel buio pesto sotto il cappuccio ribollire nuove idee, nuovi volti, nuove sfide da affrontare. E capì.

Si svegliò tutto ansimante nel suo letto di casa. Era la mattina del 25 dicembre 2023. Il Napoli era ancora vivo e, tutto sommato, in buona salute. Il Futuro era ancora tutto da scrivere. Da stravolgere. Da cambiare. In meglio.

Aurelio Scrooge si alzò di buon mattino, si vestì di tutto punto e si recò a CastelVolturno. Anche se era festa. Anche se era Natale.

C’era un nuovo Napoli da pianificare. Ed una intera città da cambiare. Un'altra volta. E stavolta anche lui avrebbe dovuto farlo, con essa. Tutti quanti.