Salvatore Aronica, ex difensore del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista nel corso della trasmissione Napoli NeTALK, condotta da Armando Coppola e con Pasquale Spirito, Vincenzo Barretta e Dario Sarnataro.

Una delle problematiche di questo Napoli è il non farsi rispettare in campo, a differenza del tuo…

Manca della sana cattiveria agonistica, che con Cannavaro, Aronica, Grava e Montervino all’inizio portammo avanti. Guardando le partite quello che vedo è questo, secondo me è dettato dal fatto anche che c’è poca napoletanità in questo Napoli, o italianità in generale. Quindi magari i ragazzi che arrivano da altri paesi europei si calano poco nella mentalità: il fatto di dover battagliare, il fatto di dover magari a volte intimorire sportivamente gli avversari o magari anche gli arbitri stessi e farsi rispettare. Le tante sconfitte di questo Napoli ed i tanti risultati che non sono arrivati, ritengo che in minima percentuale siano dovuti anche a questo”.

Cosa si prova nel momento in cui l’arbitro fischia la fine dell’ultima partita della tua carriera?

“Diciamo che quando si avvicina il fine carriera ti cominciano a passare davanti tanti ricordi belli e brutti, io ho concluso la mia carriera con un derby, Reggina-Messina, e devo dirti che erano due squadre in cui avevo militato, quindi sono stato un po’ festeggiato da entrambe le tifoserie. Però l’avvicinarsi a questa data sicuramente mi dava un po’ di tristezza, emozione ed adrenalina di iniziare una nuova vita, un nuovo percorso. Poi intrapresi una nuova carriera: i corsi da allenatore, incominciare ad allenare il settore giovanile e poi i grandi, però chiaramente vicino alla fine è veramente dura e quindi capisco quando qualche giocatore smette di giocare e non riesce più a riprendersi da questo triste momento”.

In tal senso, ricordando anche Roma-Napoli, cosa servirebbe agli azzurri?

“Sicuramente c’era da accerchiare Mourinho, andare tutti vicino alla panchina e far partire una mega rissa come successe in un Milan-Napoli, per accendere gli animi per svegliare magari quelli che sono gli 11 in campo che sono un po’ intorpiditi dalla partita e quindi creare un po’ di adrenalina. Mazzarri sicuramente ci ha messo del suo anche sotto questo aspetto, cercando di alzare un po’ l’asticella, però diciamo che queste peculiarità sono caratteriali, o ce l’hai o non ce l’hai, come dicevi tu difficilmente arriveranno anche dal mercato”.

A proposito di mercato, cosa pensi succederà durante questa finestra di Gennaio?

“Quello di gennaio è un mercato di riparazione: i big non si muovono, chi ce li ha se li tiene, chi sta raggiungendo o lotta per obiettivi importanti non si muoverà. Quindi è normale che trovi solo seconde o terze scelte. Leggevo di un interesse del Napoli per Buongiorno, ma io credo che non si muoverà da Torino e se si muoverà sicuramente lo farà a fine stagione.

Ritengo che sia uno dei profili italiani più importanti, Mazzarri lo ha fatto esordire e lo conosce molto bene, i buoni rapporti sicuramente del mister con Cairo potranno avallare questa trattativa ma non credo che a gennaio si possa fare qualcosa. Siamo già al 16 gennaio ancora si è mosso veramente poco, e se le big si muovono lentamente in tal senso significa che veramente in giro c’è poco”.

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Salvatore che tipo di rapporto hai avuto con il presidente De Laurentiis?

“Un tipo di rapporto buono, schietto. Sono stato 5 anni a Napoli, a quell’epoca il presidente lo si vedeva poco perché veniva esclusivamente per la partita domenicale e quasi sempre solamente in casa. Si vedeva raramente: per la cena di Natale, quando le cose non andavano bene, o per le partite di Champions. Sicuramente ci sentivamo spesso al telefono, quando si trattava di rinnovi (ride; ndr.), erano sempre delle lotte.

Allora non c’era un profilo economico così importante o ingaggi altissimi, già dagli albori il presidente era restio a rinnovare, erano quindi trattative lunghe e durature che però spesso si portavano a compimento. Un presidente che ha saputo ben investire ed ha creato a Napoli un’azienda, i bilanci parlano chiaro, sia in fase economica, che di plusvalenze ed investimenti sui giovani che spesso hanno portato beneficio alle casse del club”.

Secondo te il Napoli di De Laurentiis ha già raggiunto il suo apice?

“Ma se vedi la stagione dell'anno scorso vinci lo scudetto, credi di aver chiuso un ciclo e di aver toccato il punto più alto. Chiaramente quest'anno ci si aspettava una riconferma quantomeno, un lottare per le prime posizioni per cercare di dar fastidio alle milanesi e alla Juventus. Tutto questo, purtroppo, per tante vicissitudini di cui abbiamo già parlato ampiamente, ha contraddistinto questo avvio di campionato, sicuramente non è stato così quindi adesso si riparla di investire sui giovani, di riprogrammare e di ripartire. Quindi credo che con la vittoria dello scudetto l'anno scorso si sia chiuso un ciclo e adesso bisognerà aprirne, spero nel più breve tempo possibile, un altro”.

Dopo la vittoria con la Salernitana, giovedì in Supercoppa può scattare qualcosa nella testa dei calciatori azzurri?

“Ritengo di conoscere molto bene la piazza, so che sabato contro la Salernitana sicuramente col passare dei minuti la palla cominciava a pesare, perché si giocava in un Maradona gremito ed in cui tutti si aspettavano una vittoria importante coadiuvata dal bel gioco e magari roboante e non è stato così. Però sicuramente la vittoria ha scacciato un po' qualche fantasma, perché se il Napoli non avesse vinto sicuramente il fardello sarebbe stato ancora più pesante.

Adesso giocando fuori dall'Italia in un territorio dove non ci saranno tifosi e non ci saranno grandissime pressioni, sicuramente i calciatori avranno la mente sgombra e sanno l'importanza e la valenza di quella partita perché è da dentro o fuori. È come se fosse una finale e credo che l'affronteranno nel migliore dei modi, perché sanno che possono dare un senso alla stagione in maniera positiva e quindi tutto questo passa da questa competizione, da queste partite, che potrebbero risvegliare l'entusiasmo dei partenopei, sia dei giocatori che dei tifosi e di tutti i cittadini napoletani”.

Ma secondo te in questo momento il Napoli ha la possibilità di battere la Fiorentina? Ti preoccupa più il tipo di prestazione e di rendimento che ha la squadra o le assenze oggettivamente pesanti che ha Napoli?

“Chiaramente le assenze pesano perché il Napoli non ha un organico che gli permette di contare su tanti effettivi e tanti titolari. Quest'anno si sono avvicendate tante problematiche proprio a livello di infortuni, sicuramente non è al top come squadra in questo momento, però il Napoli che abbiamo visto l'anno scorso dove dieci/undicesimi sono rimasti intatti, tranne Elmas che è andato via qualche settimana fa, sicuramente può battere la Fiorentina, perché non mi sembra una squadra costruita per poter dar filo da torcere a una squadra campione d'Italia, che tre mesi fa ha vinto a mani basse un campionato italiano”.

Pensi che dal secondo tempo di Napoli-Salernitana ci sia stata una svolta nell’ideologia di gioco di Walter Mazzarri?

“Diciamo che Mazzarri sta cercando di trovare la medicina giusta, la ricetta ideale per far sì che questo Napoli torni a correre velocemente. Chiaramente a Torino già aveva provato una mossa, un po' quello che è il suo marchio di fabbrica: il 3-5-2, cercando di inserire Mazzocchi e levando un centrocampista, adoperando quello che è il suo sistema di gioco ideale.

Con la Salernitana purtroppo è stata una partita diversa, dove i granata erano rinchiusi nella propria area cercando di ottenere il pareggio, quindi era doveroso cercare di allargare il gioco, andare sulle fasce per aggirare l'avversario e cercare il varco giusto per poter far male.

Però ritengo che a prescindere da quello che si dice, cioè rigiocare come l'anno scorso con Spalletti, ogni allenatore cerca di dare la propria impronta e cerca di dare la propria identità, quindi credo che Mazzarri col passare dei mesi, avendo la possibilità di allenare e dedicarsi a quello che è il pane quotidiano, ovvero gli allenamenti, sicuramente cercherà di incidere mettendoci qualcosa di proprio”.

Cosa pensi del richiamo di preparazione fatto da Mazzarri e dal suo staff?

“Ritengo che i richiami di preparazione vadano fatti se c'è il tempo e se c'è una sosta lunga, non credo che il Napoli abbia avuto questa possibilità di poter lavorare in questa direzione. Ora il fatto che Mazzarri abbia dichiarato e si sia preso responsabilità a Torino sicuramente lo ha fatto per schermare la squadra, per cercare di dare un alibi ai giocatori e non farli demotivare più di quanto lo siano, perché si è giocato fino al 29 dicembre e si è rigiocato il 7, quindi materialmente non c'è la possibilità di poter agire e intervenire sotto il profilo fisico.

Chiaramente se insieme a Pondrelli, che ritengo sia uno dei preparatori italiani più bravi in giro, abbiano ritenuto che la squadra sia un po' sotto fisicamente, che magari lavoravano in maniera diversa, allora sicuramente ci saranno tempi e modi per poter intervenire, ma con l'esperienza e la caratura di Mazzarri non penso che possa fare possa aver fatto un errore del genere, cioè fare un richiamo di preparazione e giocando praticamente se non ogni tre giorni ogni 7 giorni.

Quindi ritengo che non sia stato quello il problema, purtroppo la partita a Torino è andata malissimo e chiaramente il mister come su suo solito fare si è smesso davanti mettendoci la faccia per cercare di dare un ulteriore alibi alla squadra per una una prestazione del tutto incolore”.

Qual è stato l’attaccante più difficile da marcare, escludendo però i fuoriclasse che hai affrontato? Ed invece quello che hai difeso con facilità?

“Diciamo che negli anni che giocavo in Serie A gli attaccanti erano veramente importanti: da Trezeguet a Vieri, passando per Del Piero e Totti. Quindi sicuramente quando non giocavi con le piccole veramente era dura, credo che Totti sia stato quello che negli anni mi ha dato veramente più filo da torcere, specialmente quando cominciò a giocare da falso nove, era un giocatore veramente imprevedibile perché riusciva a capire prima che arrivasse la palla dov'erano i compagni e dove doveva sterzare quella palla, quindi Totti sicuramente è quello che mi ha impressionato di più.

Uno che invece ho trovato, tra virgolette, facilità nel marcare in quei tempi era sicuramente Trezeguet, perché con le leve lunghe era un po' macchinoso e quindi riuscivamo spesso io o chi mi giocava a fianco a beccarlo e anticiparlo prima che lui ricevesse la palla, chiaramente di testa ci sovrastava però palla a terra era abbastanza leggibile”.

Qual è il ricordo più emozionante della tua carriera? Ricordando i tre eventi probabilmente più importanti: la Coppa Italia vinta con il Napoli, l’ottavo di Champions League con il Chelsea e la salvezza miracolosa con la Reggina…

“Diciamo che il primo step con la Reggina, per il quale ci diedero anche la cittadinanza onoraria, fu veramente un miracolo sportivo, perché se oggi facciamo a paragone con un Empoli, un Verona o una Salernitana che partono a -15 (punti di penalizzazione; ndr.) ai nastri di partenza penso che in questo momento avrebbero già buttato i remi in barca e pensato alla prossima stagione. Mentre noi con Mazzari condottiero riuscimmo a salvarci, anche se poi a dicembre ci diedero quattro punti, quindi dal -15 passammo a -11, che però era sempre un fardello pesante, riuscimmo a salvarci e quindi fu un'impresa storica.

E devo dirti che questo ci diede un po' di visibilità a tutti per cercare di trovare sistemazione in squadre migliori, come successo a me poi col Napoli. Ma in quella squadra c'era Tedesco, c'era Mesto, c'era Modesto, c'era Amoruso, c'era Brienza, o anche Pasquale Foggia, che poi comunque andarono altrove in squadre migliori.

Il 3-1 con il Chelsea sicuramente fu una grande gara al San Paolo e c'è solo il rammarico di non aver fatto il 4-1 con Maggio che ci poteva far andare a Londra con un po' più di tranquillità. Anche se a Londra trovammo una squadra decisamente diversa rispetto rispetto all'andata con un allenatore nuovo, da Villas-Boas si passò a Di Matteo, e quindi trovammo una squadra veramente forte, convinta, cattiva, veemente nel cercare di rimontare quel 3-1, e tra l'altro poi quell'anno lì il Chelsea sappiamo tutti che vinse proprio la la Champions, quindi una squadra allestita con dei campioni di tutto rispetto.

Credo che la vittoria della Coppa Italia invece è veramente un traguardo storico e sicuramente emozionante che ricordo con grandissima emozione, grandissimo entusiasmo, perché alla vigilia ci davano tutti per spacciati. La Juve di Conte dominava in Italia da 10 anni di fila quindi alla vigilia i pronostici erano tutti bianconeri e quando entrammo all'Olimpico, che metà era bianconero e metà azzurro, nel sottopassaggio ci demmo una sveglia, ci demmo una pacca l’un l’altro sulla spalla per far uscire tutta quella cazzimma che in quella partita ci contraddistinse, tornando così a Napoli con una coppa importantissima e l'orgoglio di aver ribaltato un pronostico, di aver vinto contro la Juve che in quegli anni la faceva da padrona”.

Il pocho Lavezzi era uno che sentiva tantissimo le gare con la Juventus, come testimonia la famosa foto pre partita in cui volontariamente non abbraccia il calciatore bianconero.

“Il Pocho era uno molto sanguigno, un sudamericano di quelli napoletanizzati, nel senso che sentiva molto le partite, sapeva quali erano i derby, sentiva la partita con la Roma, sentiva la partita col Milan, ma quella con la Juve… Negli ultimi anni poi ci ha contraddistinto, era sempre una grandissima lotta e quindi anche lui quando si incaponiva era meglio avercelo in squadra che contro”.

In merito alle sue condizioni di salute?

“Purtroppo non lo sento da qualche annetto, l'ultima volta ci siamo visti a Parigi quando lui militava nel Paris Saint-Germain e devo dirti che quello che sto leggendo mi dispiace molto e spero che presto possano uscire notizie veritiere e chiaramente che la sua salute sia sia ottima. Ecco mi riservo domani di chiamare Paolo Cannavaro che sicuramente ha sempre qualche notizia in più essendo il capitano storico di quella squadra, per chiedere veramente lumi e notizie, ma mi auguro che tutto possa volgere nel migliore dei modi e che presto possa lasciare strutture sanitarie dove in questo momento è ricoverato”.

Il tuo pensiero sul VAR?

“Diciamo che hanno messo il Var per limitare gli errori umani degli arbitri, ma vedendo Inter-Verona non so cosa si voglia limitare, se prima gli arbitri sbagliavano in buona o in cattiva fede quantomeno c'era il dubbio, ma adesso con l'ausilio delle telecamere, con quattro persone in una stanza che guardano una partita, e non annulli il gol del Verona è inutile parlare di Var…”.

Poi aggiunge

“Quando ci sono: tre arbitri in campo, il quarto uomo e quattro in sala Var, spiegami come fai a non annullare il gol dell’Inter? Lì c'è malafede… Allora io sospenderei tutti e otto, ma per due o tre mesi, come una società multa un calciatore reo di aver preso una giornata, due giornate, per proteste, gli arbitri che vanno a mettere in discussione il lavoro di una società, di una squadra, di un allenatore, chiaramente creano un danno devono pagare anche loro.

Qua si parla di egoismo, “allora io non vado al Var senò non sono bravo”, “non vado al Var perché senò il Var sconfessa quello che ho fischiato io” e allora toglietelo fate prima. Perché solo in Italia ci sono delle sviste così macroscopiche e quindi è malafede. Perché se non vedi la gomitata di Bastoni significa che non la vuoi vedere, perché tutto il mondo l'ha visto, solo i quattro del Var e quattro in campo non l'hanno visto…”.

Ma tu cosa diresti a Mazzoleni dopo quella notte di Pechino?

“Io in quella partita ero in panchina, ma devo dirti che ne vidi di tutti i colori, perché da fuori è ancora peggio perché riesci a vedere quello che succede, non c'è l'adrenalina, la tensione di campo e quindi lì fu veramente un furto a mano armata e peccato per come andò a finire, allora non c'era il Var e quindi passò tutto nell'anonimato. Però quella fu una partita, forse l'unica, che ricordo con disprezzo, con tristezza, con indosso la maglia del Napoli. Perché veramente fu un furto vero e proprio, dopo tanti sacrifici per arrivare a quel punto”.

Cosa disse Pandev al guardalinee prima della sua espulsione?

Pandev parlò col guardalinee in maniera ampiamente educata, anche perché Goran non perdeva mai la pazienza, era sempre uno abbastanza tranquillo, abbastanza esperto per gestire quei momenti. Quindi si rivolse al guardalinee su un fallo, su un fallo laterale una roba del genere, ma senza nulla di offensivo, ed il guardalinee, tornando sempre all’essere protagonisti, al cercare di attirare l'attenzione, subito volle richiamare l'attenzione dell'arbitro e quindi da lì la partita andò come tutti abbiamo visto ed era un peccato perché due mesi prima avevamo vinto la Coppa Italia e quindi era la stessa formazione con cui avevamo vinto la finale di Coppa Italia contro la Juventus, solamente io fuori e Britos dentro”.

Immagino che il presidente De Laurentiis fosse molto sereno dopo la partita…

“Ci disse che peccato ragazzi, pensiamo alla prossima e diamo un cinque agli avversari, sono stati più bravi di noi… e salutate gli arbitri (ride; ndr.)”.

Com’è essere un tesserato di De Laurentiis? È davvero così invadente come raccontato?

“Del presidente abbiamo accennato anche prima, io gli anni che stavo a Napoli lo si vedeva molto poco se non le partite in casa o le partite di Champions e non era male… (ride; ndr.). Nell'ultimo periodo ho saputo che il presidente era presente in pianta stabile a Castel Volturno con Garcia, dove sosteneva e guardava anche gli allenamenti quindi sicuramente è cambiato qualcosa, però ritengo che chi è al capo della società, chi è il proprietario della società, chi investe, magari vuol seguire da vicino tutte quelle che sono le vicessitudini del Napoli, specialmente quando le cose vanno male, quindi, tra virgolette, questo gli è riconosciuto. Poi il fatto dei rinnovi contrattuali lunghissimi e situazioni di gestione sbagliata, sicuramente chi è all’intento della società o i calciatori stessi sapranno di più in merito a queste situazioni”.

Vedi più Conte o Palladino sulla panchina del Napoli per la prossima stagione?

“Bisogna capire che tipo di campionato, che obiettivi si pone la società l'anno prossimo, perché se vai su un Palladino investi su un allenatore giovane che sicuramente ha fatto bene. Un allenatore giovane per una piazza come Napoli significa ripartire, significa provare, significa scommettere.

Se invece vai su Conte, vai su un allenatore di caratura europea, un allenatore che ha vinto, un allenatore che ha grande esperienza, l'allenatore che allenato la nazionale e quindi significa che punti a vincere, significa che punti a riprovare a vincere lo scudetto, significa che provi ad allestire un Napoli di grande valore. Perché un allenatore come Conte, se accetta Napoli, quantomeno ha garanzie di avere sei-sette top player, decisi chiaramente da lui”.

In Italia non ci sono più talenti? Cosa faresti per ovviare a questo, specialmente nel Sud Italia?

“Allora intanto c'è un dato importante: la Juventus è la prima società che ha allestito l'Under 23 e vedete voi quanti giovani adesso sono arrivati in prima squadra, quanti giovani stanno giocando titolari in prima squadra e quindi testimonia il fatto che non è stato un progetto sbagliatissimo. Quindi la prima cosa che sarebbe da fare è obbligare le squadre, quantomeno di Serie A, a proporre l'Under 23, per dare spazio a Gaetano, per dare spazio a Zanoli, per dare spazio a questi giovani che chiaramente trovano poco spazio e magari poi averli pronti quando servono.

Seconda cosa, io vivo in Sicilia, tanti anni fa quando io giocavo in Serie A i calciatori palermitani, siciliani, erano dieci, quindici, venti, adesso se andate a vedere il campionato di Serie A o di Serie B forse ci sarà un palermitano. Ma questo non accade perché non c'è più qualità, non ci sono più giovani di talento. Come anche in Campania, che secondo me è una delle regioni con più terreno fertile per quanto riguarda i giocatori, hanno tutto: hanno cazzimma, hanno voglia, hanno carattere, hanno furbizia. Ma mancano le strutture, i centri sportivi per questi giovani e gli allenatori competenti nel settore giovanile.

Perché io ti faccio l'esempio di Palermo, perché non so in questo momento quello succede a Napoli, so che Grava adesso è aggregato alla prima squadra, quindi pure Gianluca ha mollato, ma a Palermo non c'è un ex giocatore in nove categorie di settore giovanile. Quindi questo sicuramente è un dato veramente fondamentale, ma non perché gli ex calciatori ne sappiano più di uno che magari è laureato in Scienze Motorie, ma perché chiaramente hanno l'esperienza, hanno il dato vero di quello che succede in campo, di quello che è stato fatto, e quindi non è normale che in nove categorie di settore giovanile non ci sia un ex giocatore.

Che sia Aronica, che sia Corona, che sia Parisi, che sia Tedesco, e così anche a Napoli. A Napoli non vedo un ex giocatore che allena il settore giovanile, quindi già bisognerebbe ripartire da gente competente che allena questi ragazzi e le strutture che ti danno la possibilità di far allenare questi ragazzi. Perché se vai in Europa, se vai a Madrid, vai a Barcellona, vai a Manchester o se vai a Monaco, trovi strutture pazzesche per far sì che i settori giovanili possano lavorare”.

Su Roberto De Zerbi:

“De Zerbi è un allenatore giovane, un allenatore che ha giocato a calcio anche in ottime categorie, quindi il fatto di essere poi partito da Foggia e pian piano facendosi apprezzare, sia in Italia, che in Ucraina, che adesso in Inghilterra, sicuramente non è un caso. Un allenatore è sempre in fase di evoluzione, studia, vede, guarda, di documenta, perché il calcio è veloce, cambiano gli aspetti fisici, gli aspetti tattici, gli aspetti tecnici da un mese all'altro e quindi deve essere sempre sul pezzo per farsi trovare pronto.

Sicuramente su questo De Zerbi ha dimostrato grande elasticità e grande intelligenza, sia umana che tecnica, per cercare di dare un'impronta alle proprie squadre e far sì che il suo gioco fosse anche oggetto di discussione a Coverciano, dove io ho fatto il corso da allenatore e si parlava di De Zerbi e dei metodi di lavoro, quindi sicuramente questo è un attestato di stima per lui e per quello che sta facendo.

Io i primi anni che ho iniziato ad allenare la Primavera del Trapani nel settore giovanile, in prima squadra c'era Vincenzo Italiano, già da lì si vedeva che era un allenatore capace, giovane ma con grande competenza, grande dedizione al lavoro e sicuramente anche lui non a caso dal Trapani è andato allo Spezia, ha fatto benissimo, e adesso alla Fiorentina sta completando il percorso. Quindi sono allenatori giovani che non a caso hanno giocato a calcio, ecco mi rifaccio al discorso di prima, quindi hanno una grande esperienza proprio del terreno del gioco, di quello che si fa.

Quando parli alla squadra e parli da ex calciatore, parli da uno che ha praticato questo mestiere, sicuramente hai più credibilità e più appeal di uno che magari non ha mai calcato un campo di calcio, poi sono le altre cose che completano: la gestione del gruppo, la cultura del lavoro, il far sì che ti evolvi e non rimani sempre sulle tue convinzioni, sicuramente fanno sì che un allenatore possa essere più o meno bravo”.

Chi vedresti bene sulla panchina azzurra la prossima stagione?

Farioli è un tecnico che sta facendo bene, ma dopo Garcia non credo che De Laurentiis prenda un allenatore che sta allenando all’estero e non conosce il campionato italiano. Ma io credo che se il Napoli voglia ritrovare entusiasmo, se il Napoli voglia ritrovare la passione che contraddistinguono la città, i tifosi, la stampa e tutto quello che circonda, deve partire da un allenatore che sia veramente importante, che possa dare garanzie per il futuro e credo che Antonio Conte in questo momento sia il profilo ideale per poter ripartire e provare di nuovo a portare il Napoli nelle prime posizioni della classifica. Dopo aver trascorso una stagione così turbolenta e difficile, bisognerebbe andare a trovare situazioni che ti diano garanzia e che ti diano sicurezza”.

C’è una partita del Napoli in cui Aronica avrebbe voluto giocare da titolare?

“Ho giocato molte partite importanti con il Napoli: Europa League, Champions e Coppa Italia. Forse giocherei questa Supercoppa a Riyad, per vendicare quella partita di Pechino dove perdemmo un trofeo senza neanche giocarlo, è un grande rammarico e quindi mi piacerebbe che il Napoli tornasse da Riyad con un bel trofeo per vendicare quella partita sfortunata e gestita male dalla componente arbitrale”.

Nonostante la delusione di Pechino, con la vittoria della Coppa Italia regalaste una grande gioia ai tifosi azzurri…

“Ricordo quella notte come fosse ieri, tornai a casa alle 6 del mattino, impiegammo più tempo ad uscire dalla stazione in pullman che a fare Roma-Napoli in treno. Io e Cannavaro girammo per Posillipo con la Coppa che aveva Paolo in macchina, ti lascio immaginare l’emozione… Era la rivincita dei tifosi dopo tanti anni di supremazia della Juventus ed il primo trofeo dopo l’era Maradona. Sono fiero ed orgoglioso di aver vestito i colori azzurri per 5 anni e aver dato in minima parte un contributo importante in quegli anni”.

Per alcune generazioni di tifosi quel Napoli di Mazzarri è il primo che abbiano visto alzare un trofeo…

“Me ne accorgo quando torno spesso a Napoli o incontro napoletani in giro per l’Italia: il Napoli di Mazzarri lo ricordano più di quello di Sarri o di quello di Benitez. Lasciò un ricordo importante perché era una squadra gagliarda, una squadra di operai, perché era comunque una squadra con grandi talenti come Lavezzi, Cavani e Hamsik che alzavano il tasso tecnico ma poi era una squadra con me, Gargano, Pazienza, Cannavaro, Campagnaro, Dossena, Maggio, gente che si sbatteva e che veramente buttava il cuore oltre l'ostacolo per cercare di raggiungere risultati importanti”.

Ultima domanda Salvatore, com’è oggi l’uomo Aronica?

“Devo dirti che oggi sono abbastanza sereno, nel senso che mi manca molto il calcio, mi manca molto il campo perché adesso ho intrapreso il percorso per fare l’allenatore ma fra due esami mi laureo in scienze motorie quindi ho completato il percorso degli studi nonostante sia ancora giovanissimo, avevo iniziato quando giocavo a Torino e lo completerò fra qualche mese, quindi sicuramente le cose vanno avanti.

Seguo le mie attività, sempre con il pensiero di allenare, seguo mio figlio che dal Benevento è in prestito a Novara, quindi diciamo una vita impegnativa, vengo spesso a Napoli in qualche trasmissione, mi piace da morire parlare di Napoli, parlare con i napoletani e tornare a Napoli. Quindi diciamo la vita è cambiata però l'ho presa con il giusto piglio, nel senso di impegnarmi le giornate con altro e mi sento un uomo fortunato perché veramente quando si sta bene, si ha la famiglia, tutto il resto passa diciamo in secondo piano”.