Antonio Conte, allenatore di calcio, ha parlato al Festival Dello Sport ed ha affrontato diversi temi. Ha dichiarato: ““Quando decisi di chiudere l’esperienza al Tottenham mi ero promesso di dare più tempo a me stesso e alla mia famiglia, godermi un po’ di tempo libero. Sto continuando a studiare. Quando sei sotto stress lavorativo, è difficile vedere cosa accade intorno nel calcio. Mi sto godendo la famiglia e uno studio piacevole che mi consentirà di essere più pronto per reggere a livelli di eccellenza. Sono uscite diverse voci di mercato, ma ribadisco che ho bisogno di dedicare tempo a me stesso, a mia figlia, che ora ha 16 anni… È una scelta di vita. Per adesso, mi sento di fare questo, di proseguire questo percorso. Poi, un domani, ricomincerò a dare battaglia. E sarà molto dura per gli altri.

Bisogna partire da un presupposto. Quando sento dire che la storia non conta, per me è una bugia. La storia conta. Quando entri nel centro sportivo, nello stadio, nella sede del club, se ti guardi intorno e vedi quanto ha vinto, che tu sia allenatore o calciatore, essere contornato da trofei e Coppe ti porta a dire ‘questi ce l’hanno fatta, dobbiamo ripeterci’. Dove c’è storia, anche se c’è tanta polvere, puoi andare lì, con una scopa, e ritrovare la mentalità vincente. È un percorso un po’ meno complicato. Quando mi chiedono ‘mister, come facciamo ad avere la mentalità vincente’, rispondo: ‘Semplice, vinciamo’.
Quando vinci, e credetemi non è mai unpercorso semplice, sai che percorso hai fatto. E quello poi diventa una droga. Il calciatore, quando inizia a vincere, rivede i momenti che ha vissuto, le gioie, e si sente nella storia del club, perché la verità è che solo chi vince scrive la storia, gli altri possono andare a leggerla. Hai voglia di ripeterti, di rivivere quei momenti, fai enorme fatica ad accettare la sconfitta. Quando entri in quel sistema, è lo stesso calciatore a chiedere tanto a se stesso. È molto più difficile quando un calciatore non l’ha provato. Non tutti hanno voglia di percorrerlo: serve propensione e apertura da parte dei calciatori e di tutto l’ambiente.

L’allenatore è un sarto che deve adattarsi ai calciatori che ha e le idee di un tecnico non devono limitare il talento dei calciatori.

Il calcio è in continua evoluzione, come tutti gli sport. Nel calcio che ho iniziato a giocare io, con Fascetti e Mazzone come allenatori, la loro funzione era quella di secondi padri, che usavano bastone e carota. Il primo anno alla Juventus trovai molte difficoltà, ma Trapattoni per me è stato un papà: si lasciava molto spazio al calciatore e si cercava di gestire lo spogliatoio. Il primo cambiamento si è avuto con Sacchi, e con Lippi: l'allenatore iniziava a curare più aspetti, a darti più informazioni". Sui tempi attuali: "Oggi l'allenatore incide in modo molto importante sotto ogni punto di vista. Incide, al 5/10/30 per cento, ma incide.

Odio sentire che noi allenatori dobbiamo fare meno danni possibili. Se il pensiero è quello, non dovresti intraprendere questo mestiere.

C’è un cambio generazionale, i social hanno influito perché tendono a non creare situazioni in cui si possa sviluppare amicizia o parlare di problemi personali.

Un giorno mi piacerebbe allenare una squadra che ha vinto da poco… Perché per esempio ho preso il Chelsea reduce da un settimo posto, la Juve dopo il settimo".