Generazione di fenomeni... da tastiera
Julio Velasco, dirigente sportivo e storico allenatore della generazione di fenomeni della pallavolo italiana, in una delle sue massime diceva:“I vincitori festeggiano e i perdenti spiegano”. Ma Napoli, mossa da un’albagia calcistica degna di piazze come Madrid, ha sovvertito questo aforisma, arrivando a storcere il naso per una vittoria in Champions, ottenuta tra le altre cose in trasferta e davanti a uno stadio ricolmo di settantamila sostenitori, che hanno incitato ininterrottamente la squadra di casa. Una partita che, escludendo il fattore ambientale, ha offerto poco dal punto di vista dello spettacolo, con un terreno di gioco reso ai limiti del praticabile dalla pioggia e l’Union rintanato nella propria metà campo, con tutti gli effettivi dietro la linea della palla. Ridotte al lumicino le emozioni, col match che si sbloccava solo grazie ad una splendida giocata individuale che andava a premiare la squadra che, suo malgrado, era l’unica in campo a tentar di proporre calcio.
Una vittoria pur sempre meritata e mai messa in discussione, nemmeno nel finale, quando l’atteggiamento remissivo dei tedeschi lasciava il posto ad un disperato tentativo di trovare il pari attraverso lunghi lanci in area partenopea, nel tentativo di sfruttare le capacità fisiche dei suoi effettivi, respinti da una coppia centrale sugli scudi e un Ostigard, entrato nel recupero per la sua capacità di elevazione, che calamitavano ogni pallone si trovasse nella loro zona.
Una vittoria d’altri tempi e, permetteteci di dire, da grande squadra. Perché non sempre si può sciorinare calcio, ma soprattutto perché in certe competizioni il risultato conta più del bel gioco. Una vittoria che non mette il punto sul passaggio dei gironi, per la matematica serve ancora uno sforzo, ma ipoteca una qualificazione che per il Napoli sarebbe una piacevole riconferma.
Ma oggi, come detto al principio, alla felicità si sostituisce una feroce critica, di chi forse credeva che l’Union sarebbe stata, vista la lunga striscia negativa, vittima sacrificale al cospetto dei più titolati azzurri. E quindi invece di lasciarsi andare a un moderato ottimismo, a un risultato che da seguito al successo di Verona, al primo clean sheet europeo di stagione, si preferisce fare le pulci a una squadra che nel giro di poche settimane è passata dall’essere declassata a mera spettatrice a riguadagnarsi la possibilità, battendo il Milan in casa nel prossimo turno di campionato, di rientrare prepotentemente in corsa per il titolo.
Parte dei mugugni sono certamente figli della paura. Paura per una squadra che quando sembrava sul punto di lasciar cadere il velo di diffidenza che la ammanta, ha offerto prestazioni da lasciare a bocca aperta, non certo piacevolmente, come in occasione delle sconfitte contro Lazio e Fiorentina. Ma è innegabile il pregiudizio che accompagna le sorti degli azzurri, bollati prima ancora che la stagione iniziasse, solo perché le scelte sull’allenatore e parte del mercato non convincevano chi credeva che lo scudetto avrebbe dovuto proiettare la società in una dimensione superiore. Come se il tricolore bastasse da solo a ridurre quel gap che il club scala anno dopo anno e che lo ha portato nel tempo dall’essere una nobile decaduta a costante figura di rilievo nel panorama nazionale ed europeo.
Si poteva fare meglio meglio? Nessuno lo nega, come non si possono negare le difficoltà che accompagnano un club che deve destreggiarsi in un contesto economico difficile, quello di un campionato poco attrattivo e senza poter far leva su quel blasone, qualcuno parla di DNA, di cui le competitor si fregiano.
A peggiorare le cose ci ha pensato una stagione straordinaria, per certi versi irripetibile, una di quelle stagioni dove l’allineamento dei pianeti ti porta a non mettere mai in discussione il successo e invita a credere che sia ordinario dettar legge su ogni campo e diventare finanche, agli occhi della platea europea, una delle principali favorite al successo nella massima competizione continentale. Ma De Laurentiis ha commesso degli errori, come Garcia e come i calciatori in campo. Si è anche sbagliato perché è nella natura delle cose l’essere imperfetti e quindi perfettibili, ma non per questo vanno giustificati gli ettolitri di bile riversati anche quando il buonsenso suggerisce di analizzare nel complesso i fattori, contestualizzando gli eventi che accompagnano scelte e risultati.
Col Milan ci giocheremo un’altra possibilità, l’ennesima, in barba a chi crede che certi treni nella vita passino una volta per non tornare più, ignorando che questi non è altro che una locomotiva che gira in cerchio senza fermate e l’unica cosa che distingue i vincenti dai perdenti è il coraggio di riuscire a salirci al volo, correndo il rischio di cadere e farsi male. Avere il coraggio di fallire, perché a vincere sono bravi tutti.