Se prima poteva esserci qualche dubbio, la partita di ritorno dei quarti di Champions col Milan ha dissipato ogni flebile perplessità, dimostrando che ci troviamo al cospetto di un prescelto. Di un calciatore che porta in sé le stimmate del campione e che volendo esagerare si è guadagnato sul campo l’appellativo di Kvaradona.

Lo so, da più parti abbiamo letto di un eccezionale Calabria, capace con la sua applicazione, il suo temperamento, il suo dna rossonero, di annullare il talento georgiano, ma siamo sicuri che sia veramente andata così? Sarebbe più giusto parlare di grande fase difensiva di reparto o meglio, della scelta di Pioli di lasciare solo Theo uno contro uno con Politano, per poi mantenere la coppia centrale sul rientrante Osimhen e piazzare il duo Calabria-Krunic su Kvaratshkelia, sul quale in più di un’occasione si è dovuto addirittura triplicare la marcatura.

Anche perché pronti via il buon Calabria si è beccato un irridente tunnel, per poi essere spesso superato nel confronto diretto, salvo poi ricevere l’aiuto dal compagno in costante supporto, ad evitargli la figuraccia. Perché se è vero che nei primi minuti Kvicha, probabilmente galvanizzato dall’atmosfera del Maradona, ha ecceduto nel dribbling risultando poco lucido nelle giocate, è innegabile il suo apporto costante alla manovra che alla fine lo hanno reso il calciatore capace, nonostante una marcatura degna di un calcio anni Ottanta, di giocare più palloni. Più dei due centrali difensivi da cui parte solitamente la manovra e più del detentore del primato stagionale in casa azzurra Lobotka.

Julio Velasco diceva che “chi vince festeggia e chi perde spiega”, ma questo articolo non vuole analizzare i meriti di una squadra sull’altra, vuole soltanto dar valore ad un ragazzo che fino a pochi mesi fa era solo un giovane calciatore dal cognome impronunciabile, che in tanti per comodità preferivano chiamare “il georgiano”. Mentre oggi il suo è un nome accostato ai top club di mezza Europa e capace di stuzzicare anche i palati fini delle tifoserie più esigenti.

Perché se ci pensiamo questo è solo il suo primo anno in Champions, un anno bagnato da giocate eccezionali e che solo per pochi centimetri, anche col Milan, gli hanno impedito di mettere a segno gol che avrebbero fatto la storia della competizione. Come quando ad inizio ripresa dopo un doppio dribbling in area e sterzata sull’integerrimo Calabria ha alzato di interno destro la traiettoria sopra la traversa o quando, sempre nel secondo tempo, ha mosso la palla in un fazzoletto, infilandosi tra i due marcatori per poi non trovare la porta difesa da Maignan.

Il calcio sa essere crudele, indirizzando le valutazioni a seconda di quanto un episodio sia stato in grado di incidere, ma pensiamo per un attimo a cosa sarebbe accaduto se l’arbitro avesse sanzionato col giusto rigore l’intervento di Leao su Lozano. Sull’inerzia emotiva della prodezza di Meret il Napoli poteva riscrivere il copione della serata e i giudizi sui singoli si sarebbero rovesciati, anche quelli sul portoghese rossonero.

Non sarà quindi un rigore fallito a ridimensionare il talento cristallino del numero 77 e la stampa meneghina ci perdonerà se non crediamo alla balla del modesto terzino che offusca il genio georgiano. Questo è solo il primo atto di una carriera luminosa, il prezzo che anche i più grandi hanno pagato al noviziato e sul quale hanno costruito le proprie fortune. Il Napoli tra poche settimane festeggerà quello scudetto sognato da 33 anni e se lo cucirà al petto anche grazie al talento di un ragazzo georgiano di 21 anni. Quindi provaci ancora Kvicha, provaci e non fermarti mai.