La ricerca del One Piece nella sua nuova controparte live action comincia abbastanza male. La nuova serie targata Netflix, tratta dall'omonimo manga di Eiichirō Oda, funziona infatti a metà: oltre al tanto decantato cuore e un cast riuscitissimo, c'è veramente poco altro che si possa annoverare tra gli aspetti positivi di questo prodotto.

One Piece e l'inutile paragone col manga o l'anime

Premessa doverosa: sono un lettore di One Piece, seppur fermo da parecchi anni con la lettura dello stesso. Seguo però l'anime e ho visto tutti gli episodi usciti finora. Nonostante ami alla follia il materiale originale dal quale è tratto questo live action, so benissimo che, quando si passa da un medium all'altro, bisogna sempre adattare i contenuti alla destinazione di utilizzo. Motivo per il quale, nonostante sia amante di Tolkien, ho amato alla follia la trilogia de Il Signore degli Anelli perché si tratta, forse, della miglior trasposizione da lettere a immagini. Così come la serie Amazon Gli Anelli del Potere è una delle peggiori, ma questo è un altro discorso.

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Il Trailer finale di One Piece, serie Netflix.

Anche questa precisazione è stata doverosa, in quanto necessaria per comprendere che le critiche mosse sono circoscritte al prodotto recensito e non alle eventuali differenze col materiale originale. Questo perché è impossibile mettere a confronto due o tre medium diversi, pur avendo in comune la stessa storia. Così come, d'altronde, sarebbe impossibile mettere a paragone un disegno con matita, un dipinto e una fotografia di uno stesso soggetto. Esaurita la premessa, possiamo andare avanti: prima i difetti, poi i pregi.

Il mediocre comparto tecnico di One Piece

La serie è costata a Netflix circa 18 milioni a episodio. Diciotto milioni a episodio. Con un esborso monetario del genere, considerando anche il cast composto perlopiù da attori emergenti (leggasi: pagati "poco"), era logico aspettarsi una qualità visiva a livelli delle migliori produzioni HBO. E così non è stato. Ciò che mi ha sorpreso, però, è che non si è trattato di problemi relativi soltanto all'utilizzo della cgi - cosa tra l'altro abbastanza palese già dal primissimo teaser - bensì dell'intero comparto tecnico.

La regia, salvo qualche scena con movimenti di macchina particolari e almeno un piano sequenza di buona fattura nell'arco di otto episodi, spesso e volentieri è in antitesi con il momento. Giusto per fare un esempio: ci sono personaggi che camminano tranquillamente in strada e dal nulla si indugia con primi piani grandangolari e distorti, mettendo su schermo un'immotivata claustrofobia che cozza pesantemente col momento raccontato. La domanda sorge spontanea: perché?

One Piece, Luffy e Shanks al cospetto del Re del Mare. Credits: Netflix
One Piece, Luffy e Shanks al cospetto del Re del Mare. Credits: Netflix

La scenografia è, nel complesso, tutto sommato buona. Le ambientazioni sono abbastanza curate e danno il senso di ampiezza dello sconfinato world building creato da Oda. Quello che non mi è piaciuto, però, sono i personaggi calati negli ambienti stessi: sembra tutto girato all'interno di un piccolo set. Purtroppo trucco e parrucco non sempre funzionano. Nonostante l'uso massiccio di protesi, quasi tutti gli uomini pesce hanno quell'area plasticosa che li rende estremamente finti. Stesso dicasi per le parrucche: alcune sembrano essere uscite fuori dal Lucca comics anziché da una produzione di questo tipo. Ciononostante, il livello generale dei personaggi non è malvagio.

In generale, un po' tutta la produzione soffre di piccole amnesie e cali di attenzione che sfociano in grandi e piccoli errori difficili da ignorare, sia a livello di dialoghi che di messa in scena. Nulla di irreprensibile poiché non si tratta di elementi che spostano in termini di trama, ma è inspiegabile come possano essere presenti in una produzione da otto zeri come One Piece.

Tuttavia il mood di One Piece è intatto

La cosa sicuramente migliore dell'intera serie è il lavoro fatto dagli showrunner Matt Owens e Steve Maeda, che sono riusciti nell'arduo compito di preservare la fedeltà all'opera originale pur modificandone alcuni aspetti o approfondendone altri magari appena accennati.

Il più grande problema dei live action è sempre stata la fedeltà che ha generato due filosofie agli opposti: da un lato quella giapponese, che per essere quanto più fedeli alle opere di partenza sono finiti per girare, nella maggior parte dei casi, dei lungometraggi cosplayer pure brutti da vedere; dall'altra gli americani, che con la loro filosofia del realismo finivano per stravolgere tutta la storia originale.

Sanji, Zoro, Luffy, Nami e Usop arrivano ad Arlong Park. Credits: Netflix

One Piece si pone esattamente al centro e fa esattamente quello che un adattamento del genere dovrebbe fare: mantenere lo spirito, il mood, il messaggio e la filosofia cardine dell'opera. Il live action di Netflix trasuda di One Piece in ogni dialogo, fortunatamente. Owens e Maeda sono inoltre riusciti a trovare la formula giusta per il racconto, che in otto episodi racchiude la saga dell'East Blue, dal principio fino ai fatti di Arlong Park. La struttura alla "The Mandalorian" funziona. Così come funzionano i flashback a inizio episodio per raccontare la backstory dei personaggi.

Un cast azzeccatissimo

Luffy sulla polena della Going Merry davanti al Baratie. Credits: Netflix

Bisognerebbe premiare chi ha curato il casting di questa serie. Non tanto per le somiglianze fisiche, quanto per la passione che quasi tutti gli attori sono riusciti a mettere nelle loro interpretazioni, alcuni calandosi totalmente nella parte. Ed è il caso di Iñaki Godoy, l'attore che interpreta Luffy. Ho letto di alcune critiche relative al suo personaggio per la troppa seriosità e le poche risate, ma c'è da dire, però, che un po' tutta la serie è meno scanzonata e divertente dell'anime/manga. L'aria che si respira, nonostante sia ambientata in un mondo dove si mangiano frutti del diavolo e si acquisiscono poteri, è comunque più adulta e reale. Ci sta, quindi, che il giovane attore messicano non abbia replicato al 100% il carattere caciarone e spensierato di Luffy. Promosso.

Il Viceammiraglio Garp, interpretato da Vincent Regan, e un inquientate lumacofono. Credits: Netflix

Così come sono promossi tutti gli altri membri dei Mugiwara: da Emily Rudd a Taz Skylar, passando per Mackenyu e Jacob Romero (rispettivamente, Nami, Sanji, Zoro e Usop). Senza infamia e senza lode anche tutti gli altri personaggi secondari, ma le menzioni d'onore vanno certamente a Vincent Regan e Craig Fairbrass, rispettivamente Garp e Zeff. I due, quando presenti, bucano letteralmente lo schermo e hanno un qualcosa in più dei loro colleghi. Le uniche note negative sono i già menzionati uomini pesce e, in generale, nessun villain da ricordare per estetica e carisma. Soltanto Buggy (Jeff Ward) riesce, ma è fin troppo derivativo dal Joker di Joaquin Phoenix per sembrare una novità.

One Piece: commento e voto finale

Shanks regala il suo cappello a Luffy: una delle tante scene iconiche riprese 1:1 nel live action. Credits: Netflix

Un live action che ha lo spirito e il mood dell'opera originale, un cast azzeccato e un buon lavoro di sceneggiatura che però si scontrano con una produzione molto altalenante e una qualità che non giustifica affatto i 18 milioni spesi per episodio. Si tratta comunque di un notevole passo in avanti per Netflix dopo il disastro fatto con Cowboy Bebop e, in generale, un ottimo, nuovo punto di partenza per gli adattamenti di manga. Ma la strada imboccata, per quanto discreta, è ancora lunga.

Voto finale: 5,5 / 10.