Pretendo che la squadra venga subissata di fischi!”

Questa è la frase con la quale Umberto Chiariello, stimato, navigato e valido giornalista napoletano, sintetizza il suo pensiero sul comportamento che, secondo lui, il tifoso napoletano debba assumere la prossima partita interna. Crede dunque nel potere e nel diritto della contestazione da parte del tifo napoletano.

Sono sicuro che questo pensiero sia stato dettato dalla doppia delusione, quella immediata alla sconfitta nella non-partita degli azzurri (in profetica maglia nera) contro l’Empoli e quella ormai costante iniziata da ormai nove mesi, dall’addio di Spalletti, potremmo osare, ma non sono altrettanto certo che anche a mente fredda ritenga il suo suggerimento utile allo scopo. Ad ogni modo, il pensiero altrettanto sintetico di quest’editoriale è: questo comportamento non è affatto utile.

Tuttavia, siccome non si può realizzare un editoriale con sei parole, sebbene Ernest Hemingway sia famoso per aver scritto – per scommessa – un romanzo con lo stesso numero (quella che attribuisce questo risultato allo scrittore americano è soltanto una leggenda, in realtà nessuno sa chi sia l’autore del romanzo: “Vendesi scarpine da neonato, mai usate" – ndr) proveremo ad argomentare quest’idea.

Umberto Chiariello parte da un verbo che è tutto un programma: "Pretendo". Ecco, già qui non sono d’accordo: la pretesa – che poi lui rinvigorisce affermando che il non contestare non sarebbe da veri tifosi – non dovrebbe appartenere a questa parte di mondo.

Duole ricordare, e qui si potrebbero scomodare altri giornalisti napoletani molto seguiti sui social, che Napoli non è Madrid, non è Barcellona, non è la Baviera, non è Manchester, non è nemmeno Milano. Napoli non è il centro del mondo calcistico. Non lo è quasi mai stato, se non parzialmente negli anni '80 perché qui ci arrivò chi sapete voi (che comunque, ricordiamolo, approdò a Napoli per rilanciare la sua carriera, non certo come obiettivo finale).

Cosa significa? Che Napoli non è una squadra che ha attirato, attira e attirerà i giocatori per la sua Storia! Come detto, può valere, un minimo, per quelli di nazionalità argentina. Fine. Napoli ha sempre attirato perché è una squadra identitaria. Come affermato più volte: Napoli è soprattutto rappresentativa della città e la squadra è soprattutto rappresentata dal tifo, non dai calciatori. Se viene a mancare il tifo, viene a mancare la motivazione principale per la quale un calciatore possa accettare Napoli. Ed è molto più lacerante il DAM vuoto o contestante piuttosto che una sconfitta o una stagione storta.

Non credete a queste parole? Leggete o ascoltate la recente intervista che Osimhen ha rilasciato a Bettsson Sport, in cui spiega la ragione per cui è venuto qui: Maradona e tifosi. Tifosi e Maradona, anzi. La possibilità di entrare nella storia per fare quello che ha fatto solo Maradona, fino all’anno scorso, e per festeggiare come quasi in nessuna città si può festeggiare.

Non ci sono altre ragioni fuorché la gioia, in buona sostanza. E poi, diciamocelo, se davvero lo scopo è far sentire ai calciatori l'insufficienza e l'inadeguatezza del loro comportamento in campo quest'anno, quale miglior lezione di essere invece esemplari sugli spalti continuando ad incitarli?

E allora l’invito che conclude questo editoriale è completamente antitetico al virgolettato posto all’inizio ed è: Porgete l’altra guancia, cari tifosi. E le mani, anziché metterle sulla bocca per fischiare, usatele per applaudire più forte. Tifate, tifate sempre. Dal primo al novantesimo, perlomeno. Perché è per quegli applausi, sempre e comunque, e per quella passione, che un calciatore giunge alle nostre latitudini e, occasionalmente, vince uno scudetto.

E se ad Hemingway, o chiunque abbia scritto quel romanzo breve, venisse chiesto di riassumere la nostra storia in sei parole, probabilmente quel che uscirebbe fuori è qualcosa di molto simile a: "Comprasi scarpine da calcio: tifa Napoli!"

https://www.youtube.com/live/cU9WGRK4zAQ?si=GY_ibszdrq-qGLuD
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