De rerum mercatorum: ovvero, di quel modo malsano di vivere l'estate
Più che di mercato, mi piacerebbe parlare del modo con cui vi ci si approccia. E' un argomento che da sempre ha solleticato la mia attenzione, e che, anno dopo anno, continua a farlo, toccando corde di divertita insofferenza mista a trepidante indifferenza.
Perché, da giugno ad agosto, il mondo degli appassionati di calcio viene contagiato da una forma di isterismo collettivo, metafisico e sovrastrutturale, per il quale le operazioni in entrata ed in uscita delle società diventano unica ragione di vita, indipendentemente dalla 'struttura' alle quali, ontologicamente, sono legate da un vincolo di dipendenza che, invece, viene completamente ignorato.
Il Calciomercato, dunque, per il Calciomercato, e non per il Calcio; viene meno, cioè, la cosa che invece tiene in piedi la baracca, per i restanti 9 mesi dell'anno. Quella cosa in funzione della quale il Calciomercato stesso si fa, ovverosia il campo, le partite, il pallone.
Niente, in preda a questo sentimento, il calciomercatista campa alla ricerca di non-notizie, fantastica acquisti e cessioni, immagina undici futuribili ed incastri; e fin qui tutto bene, perché non toglie e non mette niente. Il problema è quando il piano dell'irreale prende il sopravvento.
Quando cioè, nel commentare le indiscrezioni, le notizie, le dichiarazioni interlocutorie di presunti sacerdoti di questa setta, si riversano litri di bile, cattiverie, maleparole. Quando, insomma, si vara il Rubicone della salubrità mentale, sfogando ogni frustrazione perché non si verificano le ipotesi alle quali ci si sente più affezionati.
Un tempo, qualcuno, parlò di 'vessati'; espressione infelice, ma forse più aderente ad una descrizione socio-attitudinale di questa categoria di soggetti. E, alt, non è un'offesa, né un endorsement all'inasprimento dei toni. Nel commento al calciomercato, ci si sfoga dimenticandosi completamente della realtà, del fatto che si tratta di una parte del discorso, infinitesima rispetto al lavoro quotidiano, alla progettualità, alle idee di campo. E che, ovviamente, trattandosi di un gioco, tenuto in piedi da interessi reciproci (procuratori, giornalisti, dirigenti, calciatori), l'unico approccio per non scadere nel ridicolo è quello di osservarlo, commentarlo, con il distacco con il quale si osserva una giocata alla roulette.
Comprare, per il gusto di farlo. Vendere, per il gusto di farlo. Ignorando, per carità di Dio, le strategie, le tempistiche, le necessità.
Qualsiasi accidente è un pretesto per lamentarsi, per sfogare pregiudizi, per contestare. E, se da un lato questo atteggiamento si nascondeva dietro la patina della contestazione, magari perché non si vinceva, o perché non si rinnovava Tizigne o Caiertens (dunque, in qualche maniera, ancorando ad un piano di realtà la propria mal disposizione), oggi, una tifoseria Campione d'Italia si lamenta di un calciomercato nemmeno cominciato. Cercando dolo e colpa in tempistiche che, seppur dilatate, rispondono ad esigenza palesi e quasi tangibili.
Il Napoli ha, ovviamente, subito l'addio di Minjae Kim. E dovrà sostituirlo as soon as possible. Ma questo lo si sapeva. E, piuttosto che inseguire la fretta, meglio tenersi liberi per opzioni più gradite, che magari si manifestano a mercato iniziato.
Comprare non basta più. Vincere, non basta più. Vogliamo tutto, oggi, adesso. Anzi, prima ancora che si verifichino le condizioni. E' un po' il caso di Zielinski, che prima era stato 'accompagnato alla porta' da chi ne ha da sempre minato l'immagine; poi, al momento delle prime notizie emerse su possibili cessioni, alt, chi va la, non sia mai Dio. Non si tocca! E poi, magicamente, di fronte alla prospettiva sempre più concreta di un rinnovo, strali di insoddisfazioni per non aver preso Samardzic (lo stesso che dagli stessi era stracontestato come possibile sostituto) e poi ancora vulimm-a-Gabri-Veiga, salvo poi rinnegarlo perchè, tutto sommato, è solo un altro giovane col quale fare plusvalenze future.
La bussola, diciamolo chiaramente, s'è totalmente persa. Perché, anzi, come avrebbe dovuto fare il Napoli a valutare partenti, confermati, senza concedere all'allenatore un seppur breve periodo di valutazione dei calciatori? Può una squadra con una nuova guida tecnica operare senza sentire opinioni e pareri del suo allenatore, che altrimenti conoscerebbe solo in video i suoi?
E magari, consapevoli di movimenti in atto a livello federale, può una società agire senza sapere eventuali slot aggiuntivi per i calciatori di un dato paese che oggi rientrano nella disciplina comunitaria? Oppure, può forzare la mano su un calciatore sotto contratto con un altro club non rispettando tempistiche che si erano dati?
Tante cose di chi ignora, o dimentica, in preda a questi fiumi di insoddisfazione, la complessità di rapporti che sta alla base di quel gioco estivo che viene dato in pasto ad una setta di persone in crisi di astinenza dalle emozioni calcistiche.
Ma il Calciomercato è un gioco da maneggiare con cura. Perché crea una dipendenza ingiustificata, perché, figlio di una mistificazione genetica, finisce per mistificare la realtà che, puntualmente, da settembre a maggio, si incarica di dichiarare spergiuri coloro che invece avrebbero, scevolianamente, messo entrambe le mani per asserire assolute boiate.
Il calciomercato si commenta alla fine. Come il PIL; le stime contano poco, perché, appunto, raccontano poco altro se non ipotesi rebus sic stantibus. Chi dimentica questo, e guarda il racconto come se fossero fatti, anzi, gli unici fatti che contano, semplicemente non riconosce di esserne vittima.
Acuendo, se vogliamo, una percezione. Quella cioè che, la natura umana, inevitabilmente guarda al dito, e non alla luna.