Il presidente della Phoenix Volley Caivano Luigi Dell’Aversano parla di "paradosso sportivo del 'modello' Caivano e di associazioni sportive del comune attenzionato dal Governo"sedotte ed abbandonate, costrette a lasciare la città perché  le  scuole non sono sicure.

Ecco la sua lettera.

Corriere della Sera

"Il ritorno dalle vacanze estive rappresenta, da sempre, una ripresa o per alcuni un nuovo inizio. Per le associazioni sportive locali e per i caivanesi è diventato un incubo, le istituzioni hanno ucciso lo sport e presto toccherà alla cultura. Centinaia di atleti saranno costretti  quest’anno ad emigrare in altre città per praticare la propria disciplina sportiva e si augurano di non doverlo fare anche per studiare. È notizia di questi giorni infatti che tutti gli edifici scolastici del territorio di Caivano sono stati messi sotto i riflettori per valutarne la sicurezza e l’agibilità, il tutto a pochi giorni dall’inizio delle attività scolastiche. Che le strutture scolastiche di Caivano fossero fatiscenti e avessero bisogno di un’ adeguata manutenzione era cosa risaputa. A farne le spese sono le Associazioni Sportive che sul territorio utilizzano le palestre scolastiche, la Phoenix Volley Caivano (400 Atleti)  che quest’anno  per poco non ha ottenuto la promozione in B2 femminile e la Jirafa Basket Caivano  (150 atleti). Nonostante i ripetuti appelli e le richieste di intervento, dal 1 Luglio 2024 le palestre comunali non sono più utilizzabili perché potenzialmente non sicure, il primo paradosso è proprio questo. Strutture utilizzate fino al 30 giugno, con regolare convenzione, e che qualche mese prima hanno ospitato anche ministri ed istituzioni nazionali, improvvisamente sono diventate ruderi dai quali fuggire. Così alle associazioni è stato consigliato di cercare altrove un posto sicuro dove fare sport, mentre per le attività scolastiche si è disposti a chiudere un occhio con la fantomatica giustificazione che sarebbero i presidi degli istituti ad assumersene la responsabilità. Immaginate un genitore che la mattina accompagna il figlio a scuola ed il pomeriggio non può portarlo a fare sport nello stesso posto, perché negli orari scolastici la scuola è sicura, in quelli extrascolastici no. Il secondo paradosso è ancora più complesso e beffardo. Non molti mesi fa Caivano sembrava al centro di una vera e proprio rivoluzione, tutti i caivanesi non vedevano l’ora di svegliarsi e scoprire finalmente la meraviglia di vivere in un posto sano e sicuro. Grandi proclami, bozze di progetti trasformate subito in cantieri, ristrutturazione di un centro sportivo ridotto così male che ormai sembrava una discarica. Il ministro dello Sport in conferenza nazionale presenta il modello e precisa che sarà il Centro Sportivo dei caivanesi e non per i caivanesi, addirittura gratuito per i bambini delle scuole elementari di Caivano con tanto di bozza già preparata con il ministro dell’Istruzione. Una meravigliosa illusione della quale anche le stesse Associazioni sportive locali si infatuano, tant’è che speravano di vederlo aperto quanto prima e già si immaginavano all’opera all’interno. Macchè!!! Il centro Pino Daniele costato milioni di euro non è gratuito per nessuno e non è a disposizione delle associazioni di Caivano, non ci si possono nemmeno appoggiare temporaneamente visti i problemi alle scuole. Anzi, all’inaugurazione è stata presentata una bella palestra con tanto di rete per il volley e canestri per il basket, poi smontati (e chissà che fine faranno) dopo solo due mesi per lasciare spazio ai ring di boxe ed ai tatami per le arti marziali che già avevano i loro spazi. Il Modello Caivano, come lo hanno definito, in cosa consiste? Non lo abbiamo ancora capito, credevamo in un modello da seguire e replicare, ma dopo un anno ci siamo resi conto che non può essere così. Qualcuno ci spieghi cos’è il modello Caivano e perché i giovani  caivanesi oggi hanno ancora più problemi di prima. Quest’anno le realtà sportive caivanesi non potranno utilizzare né il Centro sportivo “Pino Daniele”, né le palestre scolastiche. Non si tratta solo di un “paradosso”, ma di un vero e proprio “diritto negato”. Noi vogliamo fare sport, semplicemente. Chiediamo solo di metterci in condizione di poterlo praticare".