La sentenza con la quale il giudice sportivo ha prosciolto Francesco Acerbi dalle accuse di aver pronunciato frasi razziste nei confronti di Juan Jesus è la naturale conclusione a dieci giorni che rappresentano perfettamente lo squallore del mondo del calcio italiano.

E, a dirla tutta, raccontano al meglio la congiuntura politica e sociale di questi tempi, marchiati dell’infamia dell’ignavia ed alimentati dall’ipocrisia del più forte.
Raccontarla a dei figli, questa storia, è paradossale: perché proprio nella giornata che le istituzioni calcistiche hanno dedicato alla lotta alla discriminazione razziale, riempendosi la bocca con slogan e patetiche formule di marketing, quelle stesse istituzioni hanno ben pensato di coprire, girandosi meschinamente dall’altra parte, il razzismo squisitamente autentico di Acerbi, un ragazzino alle prime armi di 36 anni che come primo insulto ha ben pensato di chiamare neg*ro un avversario.

La difesa di Acerbi, prima ontologica, con il più classico dei “non sono razzista ma”, sin già sul terreno di gioco, poi strategica, rinnegando quanto ammesso nelle scuse, fiancheggiato e foraggiato da una società che professa a parole l’interculturalità ma intanto manda il suo AD in udienza, non fa che confermarci dove spira il vento; verso l’ingiustizia, verso la vergogna, verso la legge del più forte. E soprattutto verso la celebrazione dell’omertà, sotto forma di elogio della sacralità del campo da gioco, alla faccia degli slogan marchettari con i quali si riempiono la bocca.

Acerbi, a ben vedere, è l’eroe di questi tempi maledetti: perché racconta meglio di ogni altro quale strada seguire per trovarsi sempre dalla parte giusta della narrazione. Delegittimare l’accusa, puntare sul volemose bene e, se le cose si mettono male, negare fino alla fine e aspettare che i pianeti si allineino. D’altronde il tran-tran mediatico messo su negli scorsi giorni lasciava intravedere le pressioni cui il giudice sportivo sarebbe stato sottoposto; e quale migliore scusa, come quella dell’insufficienza di prove, per mettere sullo stesso piano il razzista e la vittima e, così, la polvere sotto al tappeto.

Non c’è da rimanerci nemmeno male: lo sapevamo già sarebbe finita così.
A Juan Jesus un abbraccio; questo sistema non merita il tuo coraggio. Anzi, ignora le spalle dritte, tutelando chi si nasconde nel torbido.
Bene ha fatto il Napoli: la decisione annunciata di non partecipare più alle pantomime antirazziste orchestrate dalla Serie A e dalla FIGC, che non fanno altro che prendere in giro chiunque ha a cuore il bene del calcio ed il rispetto per la dignità di tutti, è stata la miglior cosa dallo Scudetto in poi. Chapeau.