C'è una Napoli di Provincia e una Napoli Capitale Europea. La prima è rappresentata da una classe intellettuale sempre più orientata alla conservazione di stereotipi che semplificano il pensiero partenopeo nel solito tentativo di renderlo digeribile fuori confine, appiattendolo.

La seconda, invece, è rappresentata dal suo popolo, che lotta per emanciparsi e superare quelle barriere imposte dalla narrazione nazionale e fugge dalla trappola del passato, nell'ambizione di riscrivere il futuro. Un'inversione di ruoli anti storica. Un illuminismo che non trova riscontro nei salotti eleganti della città, ma parte dai quartieri e dalla periferia.

Nel mezzo, ci sono le vittime di questa battaglia ideologica, che un giorno sono incudine e un altro si sentono martello.


La lotta appare impari, perché il potenziale comunicativo della classe intellettuale è maggiore e trova rimbalzo nei principali contenitori mediatici nazionali, rallentando quello che è il processo di emancipazione popolare. Ma alle chiacchiere che puntano alla divisione, rispondono i sentimenti aggregativi di quelli che, ieri, hanno celebrato in piazza la vittoria mondiale dell'Argentina di Lionel Messi.

Napoli non entra in polemica, semplicemente ama

Mentre tutta Italia si chiede chi tra Leo e Diego sia il migliore della storia, i napoletani scelgono di andare oltre. Di superare le gabbie mentali nelle quali si vuole rinchiudere con prepotenza la loro sorprendente forma mentis. Di elevarsi da ciuccio a cavallo di razza. Nei balli di piazza Dante c'è tut­­­­­to. C'è posto per Diego e per la sua terra. C'è posto per Leo e per la sua classe. Non ci sono divisioni. Si può amare tutto ciò che regala emozione, senza offendere nessuno.


Invece, nel racconto degli altezzosi intellettuali di casa nostra c'è tutta la mediocrità del compromesso. Una sconfitta grossa quanto le prodezze di Diego e Leo. Supportati da un'eco rampante, sono invece vittime di un asino incravattato. Sono come la politica italiota. Un giorno a destra, uno a sinistra, uno al centro. Non hanno identità, non sanno chi sono. Non conoscono base e fondamentali del pallone che rotola all'impazzata nelle pieghe sociali.

Un giorno sono con Aurelio De Laurentiis, un altro con le curve, un altro ancora con la squadra. Questa parte di Napoli che pensa di poter parlare del gioco del pallone unisce da sempre sconfitta, repressione e timore. La Napoli intellettuale non ha evoluzione, non fomenta orgoglio, non invita al progresso. Vecchia, populista, stucchevole e retrograda. E ha la colpa di non aver saputo educare una parte di piazza poco avvezza al cambiamento che per paura del futuro si è posta come opposizione.

De Laurentiis è stato colui che per primo ha intrapreso la strada della discontinuità storica, attraverso scelte che sono state raccontate come anti partenopee ma che, invece, sono state un tentativo di riposizionare il Napoli per la sua irripetibile natura anticonformista. Lontano da ogni vincolo con il passato. Nel segno di un'indipendenza calcistica che vada oltre i miti e le legende, non per questo dimenticandole. Ma onorandole riscrivendo il proprio futuro.

Nel domani non c'è vittoria

Un domani che non prevede vittoria. Perché non c'è vittoria che tenga. Un futuro in cui gli appassionati non saranno obbligati a credere che vincere siano tre miseri punti in classifica, ma il compimento di un racconto che ispiri educazione sportiva. Un futuro in cui il passato azzeri costantemente i successi, affamato di nuovi equilibri competitivi, in cui si tragga emozione senza dipendere dai titoli dei giornali, ma insieme ad arbitri e avversari. Si vince insieme alle diversità e nelle avversità. Perché chi cerca vittoria nella sconfitta altrui alla fine perde sempre.

 Il vero simbolo del Napoli è il cavallino rampante, dobbiamo metterlo sulla maglia. Poi fu trasformato in ciuccio. Ma se vogliamo vincere dobbiamo recuperare il cavallo, come la Ferrari e la Porsche.

Aurelio De Laurentiis


La poligamia calcistica di Napoli è la risposta a una narrazione locale e nazionale che non riesce a produrre nulla di meglio che banali contrapposizioni storiche.
Il futuro è senza giacca e cravatta. Non fuma sigari costosi e non vive di ospitate televisive. Il futuro ha le mani tagliate dal freddo e spesso si esprime a fatica. E questo provoca rabbia. Il futuro è di chi vive il mondo reale ed è ancora capace di riconoscere il bello. Il futuro è un sentimento che non riceve spinte dall'alto. Ma parte dagli ultimi. Il futuro è un Asino che vuole ragionare come un Cavallo di Razza.


Il futuro è Aurelio De Laurentiis che seleziona inviti per la sala stampa e decide chi merita di rappresentare egregiamente un Napoli sontuoso per una Napoli raggiante.
Il futuro è un ciuccio che ragiona come un purosangue. E chi ve lo racconta è Spud: un asino divenuto cavallo.