Napoli senza identità a Cagliari. La squadra di Calzona affoga nelle proprie ansie da risultato. Ecco cosa ereditiamo dalla pesante giornata in terra isolana:

  1. LA SENTENZA DEL TEMPO

Ci sono voluti otto mesi, tre allenatori, 11 sconfitte e migliaia di critiche per dare al Napoli il proprio reale dimensionamento nella stagione corrente: squadra a fine ciclo, senza neanche che questa abbia potuto snodare per intero tutta la propria catena di valore nel corso di almeno un biennio, con notori problemi motivazionali, strutturali e a quanto pare anche caratteriali. La morsa emotiva che accidia il gruppo azzurro è più forte di qualsiasi consistenza tecnica ed atletica, già di per sé sommariamente scadenti, per questo anche a Cagliari il Napoli presta il fianco alle intemperie nell'assolata, per quanto controvento giornata isolana, ad una mesta propensione a crearsi problemi da solo; che se è vero che secondo la legge di Lavoisier nulla si crea e nulla si distrugge, questo Napoli alle porte della primavera che lascerà sbocciare pessime notizie per il futuro, si raccoglie dentro l'insoddisfazione di non riuscire a farsi bastare neanche una sufficiente carica agonistica all'intangibilità del desiderio di vincere le partite.

Così lontana dal concetto di squadra, al centro di un ecosistema in cui lentamente si verifica una diaspora di valori tecnici. Se molti di questi calciatori, nessuno escluso, non più di un anno fa potevano essere considerati i migliori o tra i migliori nei propri ruoli, oggi il loro compito sembra esser diventato ossessionarsi per tornare a quel livello, ma anche l'ossessione è debole.

  1. UNA RESA CONDIZIONATA

Non c'è giustificazione che tenga. Mollare in modo così goffo un risultato acquisito, trasformandolo in un esiziale sacrilegio, è una dichiarata e subdola rappresentazione plastica della squadra a cui manca lo spirito di coesione e l'inattaccabile, quanto genuina, determinazione per vincere le partite, costi quel che costi.

È un epilogo quasi drammatico della partita che in chiave di rilancio avrebbe dovuto dare uno spinning verso l'alto alle aspirazioni del gruppo, ora guidato da Calzona, e denota in maniera netta che l'allenatore, chiunque esso sia o sia stato nel corso della stagione, ha avuto incidenza molto bassa sulla resa dei calciatori. Quand’anche questa sia venuta meno, segnale quanto mai allarmante, è stata ferale la dissidenza a mostrarsi compatti per raggiungere un risultato che non sia solo figlio d’inerzia ma d'idee applicate, concretezza e magistrale concentrazione, credenziali che nel calcio moderno assurgono alla banalità della cattiveria agonistica.

  1. ALITO DI VENTO AFRICANO

Osimhen trucida ogni minima energia a sua disposizione in campo, il senso di disponibilità e predisposizione al sacrificio per la squadra e per così dire commovente quanto incongruente con la sua effettiva utilità nel contesto di gioco; così come il mister Calzona ha sottolineato, per giocatori impegnati in altri continenti in competizioni ad alto livello di stress sia ambientale che attitudinale, genera uno sconquassamento non sanabile in pochi giorni di reintegro del jet lag. Ad oggi Osimhen, che che per due volte in due partite consecutive marca il tabellino, si dimostra di essere l'elemento Pitagorico in talune circostanze mancato al Napoli, valido per evitare figuracce ma che non può bastare ad una squadra che ha bisogno di riprendere in mano il proprio pallone telecomandato, senza che Victor nel suo eroico sfibrarsi, consumi le partite in corse a perdifiato e lotte pugnace con il difensori avversari.

Se questi devono essere di rimando gli ultimi mesi gli Osimhen con la maglia del Napoli, che siano quelli della sua massima esaltazione consentendogli di giocare in maniera non asfissiante, dando sfogo a tutte le sue caratteristiche principali tra le quali vi è il gioco con la squadra e non solo per la squadra.

  1. LA PERVICACIA DELL'INDIVIDUALISMO

Non importa quanto brillante sia la tua mente o la tua strategia, se stai giocando da solo, perderai sempre contro chi gioca di squadra.

E nella spirale di soluzioni ipotizzabili o individuabili nei momenti cruciali, che si toccano i confini di differenze e spessore tra una vittoria e una sconfitta. Le frenesie e le veemenze ed allo stesso tempo le scarse incidenze di giocatori ad alto coefficiente tecnico come Kvara, come Lobotka, come Zielinski come Politano e Lindstrom, lasciano molto amaro in bocca se si dà per assodato che questi giocatori non stiano dando il massimo.

Ma quand'anche così non dovesse essere, esiste ancora il barlume di speranza che il massimo possa essere tirato fuori e nella maggioranza dei casi è l'altruismo per i compagni a sbloccare la soglia del massimo. Infatti agl'azzurri la sola dinamicità non può bastare, serve la concretezza. Ecco perché l'episodio istrionico di Politano che prima non serve Simeone a porta sbarrata e lo stesso Simeone dopo che omette di servire Lindstrom in una posizione omologa, sono il segnale inconfutabile che la squadra non è più la priorità, perché chi prova a risolvere i problemi di gruppo in maniera autonoma sortisce l'effetto di acuire i propri futili bisogni intriseci.

Da giocatori esperti e affermati ci si aspetta che in momenti topici lascino propendere l'unità d'intenti e non estemporanei assoli spodestanti il bene comune: la vittoria.

  1. IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO

Urge la necessità di un cambiamento che non sia solo strutturale e che non sia figlio delle contingenze ma che sia evolutivo; se i migliori giocatori o considerati titolari per status, in ossequio all'allenatore non sono più in condizione di rendere così come ci si aspetta da loro, è giusto tenerli da parte. Senza voler scomodare i nomi illustri ormai già sulla bocca di tutti i vari Juan Jesus, Zielinski e Anguissa, non sono più giocatori decisivi, ed estromettono valore più che annettere ardore; i nuovi arrivi come Mazzocchi di cui si può parlare bene ma non benissimo, Traorè che ha tutto da dimostrare, Lindstrom ancora tatticamente misterioso e Ngonge, sono nuova linfa da irrorare nel gruppo squadra titolare, per imprimere una svolta che non sia solo di motivazioni o di qualità del gioco, ma sia foriera per disegnare i crismi dell'avvento partenopeo che per usare una metafora blasfema, è ciò che servirà dalla prossima stagione per una 'resurrezione'.

  1. L'EN DEHORS ALL'INCONTRARIO DI JUAN JESUS

La giravolta d'airone di Juan Jesus è a dir poco parrossesca se si considera il momento della partita, la cautela e l'attenzione da tenere, la posta in palio e i principi della difesa. Quello del difensore italo-brasiliano è un vero e proprio colpo inferto al cuore dei tifosi, perchè neanche d'ambigua lettura era la traiettoria con lancio dalla lunga media distanza a cercare l'unica punta Luvumbo (presente e perso in area) e doveva imprescindibilmente esser gestito in altro modo.

Ci sono tante complicità nel pasticcio di Juan Jesus, che in compartecipazione con tutto il reparto non esimio da colpe, dà prova di quanto la sua serietà, la sua caparbietà e il suo modo di stare nel calcio siano di gran lunga superiori al suo valore assoluto: un errore di attorcigliamento ellittico sul proprio asse con un movimento danzante da capogiro, perdendo pallone ed uomo nello stesso istante in cui avrebbe dovuto esservi attaccato e guardare la palla frontalmente. Guaio imperdonabile per uno dei leader dello spogliatoio del Napoli, che infligge uno scalpo alle rinnovate ambizioni della squadra e compromette sia il futuro della compagine azzurra, che il suo.

  1. IL TEMPO GALANTUONO DIVENTATO KILLER

Si è atteso il Napoli oltre ogni indugio, dentro le miserie del presente tra risultati nefasti, fallimenti, obiettivi mancati e svalvolamento di pensieri, accatastati dentro le stanze di Castel Volturno e negli uffici della Filmauro, dentro cui si è progettato il margine di un futuro che non esisteva, con la presunzione di competenza e la sapienza dell'esborso col misurino.

Ad oggi quella che doveva essere la rigogliosa pianta germogliata dal seme gettato dallo scudetto è una appassito ranuncolo cascante che barcolla nel buio. Difficile trovare una spiegazione a tutto quanto accade senza essere assaliti dallo scoramento e dalla delusione, se si pensa che ogni mossa se pur premeditata poteva considerarsi sbagliata sin dal principio e tutte le valutazioni da fare in itinere e i giudizi pro-tempore sui calciatori da rimandare ad illo-tempore, oggi sono grosse matite rosse sulle scelte di mercato, sulle scelte di allenatore, sulle scelte di continuità contrattuali, persino dando adito ad illazioni sulle decisioni prese per convenienza dal management societario. Il tempo ha spazzato via qualsiasi velleità che la famiglia De Laurentiis aveva sostenuto di poter avanzare in ragione di uno scudetto quanto mai miracoloso. Oggi ricostruire è il compito dell'avvenire ma stavolta i pilastri dovranno essere inscalfibili.

  1. RASPADORI IL VOGLIOSO IMPRECISO

Frizzantino ma non troppo Raspadori sulla fascia destra; è il soldatino rampante della nuova classe di millennials che fatica a trovare la propria dimensione nell’iperururanio del calcio moderno. Il giovane attaccante con animo da veterano del plotone azzurro - anche in chiave nazionale - negl’anni si è speso in differenti posizioni con diseguale costrutto, lì dove la sua collocazione nell’imbuto centrale del versante offensivo gli apre un ventaglio di soluzioni ad ampio spettro, che il confinamento sulla fascia oscura. 

Eppure non si tratta soltanto di questo aspetto tattico la diminutio a cui Raspa, uomo scudetto l’anno passato, sta irrigidendo la propria evoluzione. Gli manca il brio autentico dei giocatori migliori e la voglia di rendersi protagonista. Non può bastare la gamba dura nei contrasti e qualche corsa in più per aiutare il compagno. Da Raspa ci si aspetta di più con la palla, anche conquistandola. Come dimostra l’assist d’alloro per cingere la testa di Osimhen che sigla il vantaggio azzurro. Ora o mai più, per il talento dell’appennino emiliano che all’ombra del Vesuvio ha splenduto a sprazzi.

  1. RICORSO STORICO O NUOVO CORSO

A Cagliari nelle ultime stagioni il Napoli ha sempre trovato un rivale arcigno e difficile da smuovere. Nella prima annata da allenatore di Luciano Spalletti, una partita per certi versi simili terminò con il medesimo risultato di pareggio e un Osimhen ariete (di ritorno dall'infortunio all'orbita oculare) a tenere in vita le speranze azzurre di ascesa. Oggi il goal del nigeriano scandisce la sopravvivenza della squadra, che annaspa in una situazione di classifica non conforme all’obiettivo e si dilania nel provare a ricaricarsi di nuove molle emotive.

Purtroppo il gruppo con questo andamento da lumaca va inevitabilmente incontro ad un forte ridimensionamento, che porterà allo smembramento di taluni capisaldi del gruppo squadra. Probabili partenze in estate e tante incertezze sul prosieguo della stagione. Con un’aspettativa troppo alta per chi sta terminando la propria corsa su d'un selciato costellato d'ostacoli. Molti giocatori del Napoli sembrano non saper più alimentare il proprio fuoco sacro di atleti professionisti, destinato ad estinguersi.

  1. L'OBIETTIVO DEL NON FALLIMENTO

Il Napoli non è più a metà del guado. Ha scelto di seguire il percorso meno impervio per la convenzionalità. Si punta sullo zoccolo duro anche se questo ha denotato carenze specifiche in termini di performace e carattere, si trincera dietro buoni propositi e prese di responsabilità che mal cela l'assenza di convinzione, si dosano i nuovi arrivi per paura di non mescolarli alla tartarre di confusione e frustrazioni. Anche se Calzona con enorme onestà intellettuale ha delineato la strategia per non seminare altro vento e raccogliere tempesta, ma concentrarsi sui problemi ineffabili del gruppo, non c’è uno scatto di tendenza o una nuova linfa che caratterizza le partite della squadra, che sperpera energie in campo con indolenza e precipitazione.

Quando tutti i giocatori sono in errore, la colpa è dell’allenatore, ma quando tre allenatori sono in errore, la colpa diventa principalmente dei giocatori che ora devono affannarsi affinché lo spauracchio della non partecipazione alle coppe europee, diventi l’incudine sul bilancio della società e il monito per accasarsi altrove in cerca di un’altra statura internazionale.