Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede; e quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non crede in sé stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana.

Questa frase è la chiosa di uno dei monologhi più folgoranti della cinematografia di Quentin Tarantino: Kill Bill. Bill la pronuncia mentre ha davanti a sé la sua amata-odiata Beatrix Kiddo, prostrata da un veleno paralizzante. Il monologo avviene a valle di una curiosa disamina sui supereroi: Bill afferma che Superman è il suo preferito perché è l’unico, fra quelli più celebri, che usa un travestimento non quando è nella veste da supereroe, come Batman o Spiderman per esempio, bensì per mimetizzarsi tra gli uomini.

La critica è tanto sapiente quanto semplice: la razza umana è vista, dagli occhi speciali di Superman, come debole, corruttibile, fragile, vigliacca. Come un Clark Kent qualsiasi, appunto.

Al mondo odierno è semplice essere Clark Kent che, forse non a caso, nel mondo immaginato da Jerry Siegel e Joe Shuster, era anch'egli un giornalista.

L’ampia dimostrazione si è avuta nei programmi calcistici di ieri sera, dove si è prima provato a infilare Napoli Milan in ogni discorso - perché evidentemente dava fastidio tanta gioia nei napoletani e si è provato a ricordare loro una sconfitta recente - poi, non riuscendoci, hanno provato a violentare le regole della dinamica, affermando che Lobotka avesse fatto fallo su Milik. Lo spettacolo – se così lo vogliamo chiamare – si è dipanato in lungo e in largo come se fosse una trasmissione a reti unificate, una soluzione continua e senza remore tra Rai e Mediaset in cui l’apice è stato raggiunto, tra lo stupore e l'imbarazzo di molti presenti nei due studi televisivi, con frasi come "per me Gatti doveva prendere giallo" oppure "Milik proteggeva la palla" o ancora "Lobotka gli da un calcio". Insomma, uno show dei record che resterà agli annali dell'informazione sotto la voce distorsione dei fatti.

Ultimo, ma non in ordine di imbarazzo, l’ordire torinese, anzi da Vinovo, (non vorrei che il capoluogo piemontese si risentisse), che si è imbattuto in un improbabile parallelismo tra il cazzotto di Gatti e la sbracciata di Osimhen all'andata.

Tanti minuscoli Clark Kent. La perfetta dimostrazione della metafora spiegata dal Bill di Tarantino.

Ed è per tutti questi motivi, dunque, che ieri Marco Bucciantini ieri mi è sembrato Superman, perché ha avuto una caratteristica che ormai sempre meno vediamo nei giornalisti: l’onestà.

In uno studio Sky dentro il quale serpeggiava sempre di più la teoria del "campionato falsato" ha detto in poche chiare parole quello che chiunque avrebbe dovuto dire ovvero che ciò che sta emergendo dall’inchiesta è che tanti campionati passati sono stati viziati da un modo truffaldino di generare bilanci e, di conseguenza, di acquistare calciatori. Tante squadre hanno potuto, grazie a quei bilanci, formare squadre che non avrebbero potuto formare rispettando le regole. E hanno vinto trofei che non gli spettavano.

Quindi non è vero che questo campionato è falsato o, quantomeno, se lo è questo, lo sono a maggior ragione tutti quelli precedenti.

Bucciantini ha concluso dicendo che ben venga l’attesa per una sentenza chiara se ciò serve a ripulire il calcio dal marcio.

Grazie Marco, perché in un mondo meschino come quello dell’informazione sportiva attuale, fatta ormai da tanti Clark Kent timorosi del potente di turno, hai indossato il mantello e hai spiegato quale dovrebbe essere l'unica vera kriptonite di un giornalista: la disonestà intellettuale.


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