Era il 3 novembre 1985 ed era un calcio che manteneva ancora barlumi di genuinità, le emittenti televisive non trasmettevano tutte le partite e nemmeno quelle più importanti. La radio era ancora l’unico tramite tra noi e il rettangolo di gioco, a meno di andare allo Stadio. Per veder dunque gli highlights bisognava attendere il tardo pomeriggio.

Quel pomeriggio divenne poi celebre per una foglia, quella nata dal piede di Maradona e morta alla sinistra di Stefano Tacconi, fra l’incredulità di tutti, ma non è questo l’episodio di cui tratteremo, ma di una semplice parola che viene pronunciata da un francese una manciata di minuti prima, ma mostrata alcune ore dopo in tv a beneficio di tutti i telespettatori e a match abbondantemente terminato.

Siamo nel sottopassaggio dell’allora Stadio San Paolo, un giornalista affermato, che di lì ad un anno e mezzo sarebbe diventato famoso per essere inondato di champagne in quegli stessi spogliatoi, intercetta, poco prima del match, il numero 10 della Juventus, già in pantaloncini e maglietta e pronto ad entrare in campo.

Galeazzi, da giornalista consumato, fa una domanda semplicissima, ma di quelle che potremmo definire a trabocchetto. Al 10 bianconero e francese chiede: “Allora Platini, prima di questa partita, domanda storico-culturale: sai qui a Napoli che cos’è il Maschio Angioino?”. Galeazzi è convinto di mettere in fuorigioco l’asso bianconero che invece, con un sorriso enigmatico, risponde immediatamente: “Diego!”. Galeazzi resta talmente spiazzato dalla prontezza di Roi Michel che replica a metà tra un’affermazione ed una domanda: “Maradona!?” A quel punto Platini, consapevole di aver fatto un gol in comunicazione si apre in un sorriso e dice “Sì!”.

Ecco, con buona pace degli 8 calciatori francesi che sono poi passati a Napoli (i nomi migliori restano quelli di Laurent Blanc ed Alain Boghossian) la miglior opera transalpina in terra azzurra resta questa risposta di Platini che, da uomo abile in intelletto già allora, aveva intuito il potere della comunicazione.

Rudi Garcìa, primo allenatore francese della storia del Napoli, avrà l’arduo compito di non far rimpiangere Spalletti e, se è vero che molto passerà dal campo di gioco, è altrettanto verosimile che parte dell’impresa dovrà essere costruita dietro un microfono. Abbiamo ormai capito che nel calcio moderno anche il potere della narrazione occupa un ruolo. Per un Guardiola che fa il suo secondo Triplete e si trincera dietro un fin troppo realistico “l’ho vinto perché l’attaccante avversario ha sbagliato un gol a tre metri dalla porta” c’è un Mourinho che ha fatto passare per annate storiche due stagioni piuttosto anonime o un Milan che si è spinto fino alla semifinale di Champions montando sopra un’elica di DNA.

Garcia, pronunciato all’andalusa come lui preferisce, è troppo scafato per non capire quali dovranno essere i punti di continuità e quali, soprattutto, quelli di discontinuità, che dovrà avere rispetto al suo predecessore. Se sul campo, come già lui stesso ha affermato, non intende stravolgere quanto di buono fatto da Spalletti, dietro ai microfoni ci aspettiamo qualcosa di diverso. Se Luciano amava le dissertazioni filosofiche, spesso preparate offline ad uso e consumo del pubblico, Rudi probabilmente utilizzerà un linguaggio più diretto, meno arzigogolato, ma ugualmente mirato ad accendere la passione del tifo che, bisogna ammetterlo, lo ha accolto con molto meno scetticismo di quanto ci si aspettasse (e di quanto aveva riservato a Spalletti stesso due anni e due secoli fa). Non sappiamo se attingerà nuovamente agli aforismi francesi – come quello celebre della Chiesa al centro del villaggio pronunciato a Roma – in tal caso ne avrà diversi che potranno tornare utili: da “À la guerre comme à la guerre” e “Fais ce que dois, advienne que pourra n fait dire aux cloches”: facciamo ciò che dobbiamo, accada ciò che può, da pronunciare prima di qualche match importante fino al “On fait dire aux cloches tout ce qu'on veut“: fate dire alle campane ciò che vogliono, magari rivolto a qualche giornalista poco condiscendente, oppure se approfitterà delle assonanze napoletano-francofone-spagnole per coniare qualcosa di bello ed originale, come sempre accade quando ci si affida alla mescolanza (e non alla colonizzazione).

Si scherza, non ci permettiamo di dare consigli in materia comunicativa al Mister, anzi, siamo fiduciosi che ci sorprenderà in positivo. Il rifiutare la provocazione con il quale era stato invitato, alla sua prima conferenza stampa, a scimmiottare la trovata di Spalletti della scritta sulle maglie di allenamento, ci sembra già un buon inizio. Per il resto, si vedrà.

In fondo, ad un francese, juventino per giunta, in passato sono bastate cinque lettere per uscire vincitore dal San Paolo, al di là del risultato. Poi, come ovvio, parlerà il campo. Come avvenne quell’autunno dell’85, quando Diego diede sostanza alle parole di Platini, depositando in rete, tra tutte le foglie cadute, la più bella di tutte.


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