La mia personale intervista a Diego Armando Maradona
Ed eccoci qua. Io e Te. Ti ho di fronte, finalmente. Una giovinezza intera a sognare questo momento. Tremo. Sudo. Ho di fronte El Pelusa: Diego Armando Maradona. Ma i capelli ricci non ci sono più. E nemmeno più quella voglia di varcare i confini dell'impossibile. Quando siedi dinanzi a un alieno, non sai da dove iniziare. Lo puoi toccare, forse no. Ma ci devi provare.
Mi sento un Re
Lo sai che mi sento un re, caro Diego? Si. Forse ora lo sono. Perché sto provando da mesi e mesi a scrivere di Te. Ma nulla. Non esce niente. Scrivo. Cancello. Riscrivo. Ricancello. Hanno detto di tutto su di Te. Ora però qualcosa devo pur dire, altrimenti farei un torto a me stesso. Poi se sbaglio, pazienza. Ci ho provato.
In fondo, sei stato Tu ad insegnare a questa città che si deve pur sempre provare. Provare. Lottare. Questa città, vissuta da geni, ma sempre in balia degli eventi. Ha provato qualcun altro a decidere per lei. Sempre, caro Diego. Poi sei arrivato Tu, in quel caldissimo pomeriggio di luglio. Ah, io non c'ero, eh. Nemmeno nei pensieri dei miei, probabilmente. Ma ora sono dinanzi a Te e mi sento un re. Un re davanti al Re.
Diego, come è stata la tua vita? Come si vive sapendo di essere dalla parte sbagliata della storia? Di quella storia scritta dai vincitori e mai dai vinti? Quando tutti ti fanno sempre pesare ogni singola azione che compi? I tuoi errori han fatto più notizia di guerre e bombe. A proposito di guerre. Ma lo sai che hai sempre avuto ragione? Nemmeno dopo te lo hanno riconosciuto.
Dura la vita da Re. Tra l'altro, senza corona. Perché non hai deciso tu di essere Re. Hanno deciso gli altri per te. Non volevi, lo so. Ma era il tuo destino. Si nasce una volta sola Maradona. Mica sempre. Mica ogni tanto. Ha deciso la Storia per Te. E poi ci si è messo pure Dio a farti questo scherzo. Hai cercato di scappare dalla Storia e dal Destino, di rifugiarti nei tramonti perduti, nelle albe stanche, nei ricordi di gioventù e negli abbracci dimenticati. Ma ovunque eri, la Storia e il Destino ti rincorrevano. Passo dopo passo. Fino a che ti hanno stritolato senza darti scampo. Ti hanno strozzato.
Ti hanno eletto Re
Re di una nazione, perennemente alle prese con i suoi enormi problemi. Le Falkland furono solo la punta dell'iceberg. Ma quella punta, sottile, infima e bastarda, è stata la miccia per il tuo Genio. Per la tua Grandezza. La pietra miliare della tua vita. L'apice della più grande opera di tutti i tempi. Il Racconto dei Racconti di generazione in generazione.
Re di una città, troppo simile alla tua Argentina. Già dall'odore ne riconoscesti i tratti distintivi. Ti sei lasciato avvolgere dai suoi tentacoli e ti sei appisolato sul suo trono immaginifico. E le hai insegnato non solo come vincere, ma come semplicemente emergere dallo stagno e prendere il volo. Ma poi l'ha dimenticato. Ha vissuto nel tuo fantasma nonostante fossi presente ovunque. Un fantasma troppo ingombrante anche per le mura antichissime che accolsero la Leggenda di Partenope.
Ma sai che c'è? Potremmo parlare e non finire mai. Forse non lo sai, ma oggi sono tre anni che il Re non c'è più. Ti porterei un fiore e queste parole. Se non fosse per quella fottuta paura di volare. Ne verserei di lacrime. Come adesso, tra l'altro, mentre mi sto cimentando in qualcosa di molto più grande di me.
Come quella sera di 3 anni fa. Non riuscivo a leggere neanche due righe che partiva il singhiozzo. E quella notte, ah quella notte. Non ti ho mai conosciuto, lo sto facendo adesso. Ora che non sei più Re. Ora che sei solo Diego.
Abbiamo vinto di nuovo, Diego
Abbiamo vinto di nuovo, lo sai? Il fantasma è svanito. Volatilizzato. Sappi solo che la città era piena di Te. In ogni angolo. In ogni via. Su ogni balcone. C'eri Tu. C'era il Re. Così come era ricca di Te la tua Argentina seduta sul tetto del mondo, in quel Natale strano e vincente. Colorato del tuo volto. Adesso, strano a dirsi, puoi riposare in pace. Quella pace che non hai mai rincorso. Quella con te stesso.
E' durato poco però. Almeno dalle nostre parti. Si è tornati come prima. Non ci basta. Siamo affamati. Non sappiamo più essere felici. Per noi, oggi conta solo vincere. Ci vorresti Tu a spiegare come vanno certe cose. Che hai buttato una vita per restare aggrappato ai tuoi sogni vissuti sempre nel giusto. Chi meglio di te lo potrebbe spiegare? Qualcuno ha provato pure a sostituirti con dei comuni mortali. Perdonali. Tu che puoi. Tu che sei Re puoi farlo.
Scusa Diego, non è stata un'intervista questa (lui addirittura sorride, ndr)
Mi son fatto fregare dall'emozione. Sono alle prime armi. Ma se per Te va bene, questo monologo lo pubblico. Un'ultima cosa: Manchi. Manca la tua voce, una tua smorfia. Hai difeso la nostra Terra meglio e più di noi. Hai difeso la nostra Maglia meglio e più di chi ha accresciuto il conto in banca grazie a questa città. Perché sei stato più sacro dei santi e più politico dei politici. Sei stato più artista degli artisti e il più giusto tra i giusti.
Molti non capiscono, non capiranno. Amare il più umano tra gli dei è esercizio complesso. Grazie per averci insegnato che tutto questo non è solo pallone, ma eterno Amore. Perché il calcio abbraccia tutti i momenti della vita. Perché il calcio è passione, cultura, pace, amore, guerra, storia. E speranza. Perché il calcio non è solo un gioco. Non è solo un gioco. Lo hai insegnato al mondo intero, con tutto quello che hai trasmesso. Non volendo, ma l'hai fatto. Non sapendo, ci sei riuscito. Hai vinto tu, Diego. Hai vinto per sempre. Perché con te non c'è mai fine. Non smettere mai di trasmettere.
"Diego, Tu si che eri un Re,
Io no, mai più come Te,
noi che trovavamo tutto in niente,
adesso c'è niente in tutto e nessun Re".
https://youtu.be/AerX6_bduG0?si=TOq_n6Fj_Kgiq7mg