Meno di quarantotto ore e scopriremo se la clamorosa debacle col Milan, se non altro per il punteggio, sarà stata solo la classica buca incontrata lungo un percorso ad oggi straordinario o quella voragine di cui Spalletti ha parlato nel ventre del Maradona durante la conferenza post gara. A pochi giorni dalla sida di San Siro nei quarti di Champions, sembra incredibile dover parlare del match che gli azzurri affronteranno venerdì a Lecce come dell’incontro che forse può valere una stagione o comunque rappresentare lo spartiacque tra quello che sarà e quello che poteva essere.

Le quattro sberle che gli uomini di un ringalluzzito Pioli hanno rifilato sul faccione della capolista sono un monito per tutti coloro che credevano già archiviata la pratica campionato e che si erano proiettati lungo le rive del Bosforo per una storica finale Champions in quel di Istanbul. Eppure, sono settimane che Mister Luciano predica calma, mettendo in guardia squadra e ambiente ormai distratti dai colori di una città che aspetta 33 anni per lasciarsi andare alla tanto sospirata celebrazione di quello scudetto solo sfiorato negli ultimi campionati.

Non a caso prima della sosta lo stesso Spalletti si era detto sorpreso per la fame dimostrata dai suoi ragazzi sul campo del Torino, quella fame che toglie il sonno e che lo aveva convinto a parlare apertamente di “ragazzi di una pasta diversa” e per nulla appagati. E allora, cosa è successo nei 14 giorni tra le partite contro granata e rossoneri? Possibile che la vena sul collo degli azzurri si sia sgonfiata in maniera così eclatante al cospetto dei futuri ex campioni d’Italia?

Lecce non è altro che il prototipo di quella sliding doors che oggi fa tremare chi si era affrettato ad addobbare d’azzurro il balcone di casa, una partita che va oltre i tre punti in palio, novanta minuti nei quali riversare una lucida rabbia, afferrare il timone e rimettere la barra a dritta, tornando a seguire quella rotta che ci ha visto capaci di aprirci strada tra i ghiacci di una stagione che merita un finale memorabile.

All’andata gli uomini di Barone strapparono un punto insperato, un pareggio che rischiava di incrinare irrimediabilmente un rapporto quanto mai fragile tra ambiente e società, prima che la squadra riuscisse a prendere il largo fino all’attuale +16 sulla più prossima inseguitrice. Anche se oggi non è la classifica a spaventare, piuttosto l’innocente timore del tifoso che teme l’incantesimo sia svanito e che nelle prossime 10 partite ci sarà da soffrire più delle proverbiali sette camicie. Una circostanza a tratti sorprendente per chi fino a ieri si abbandonava a cervellotici calcoli pur di stabilire il giorno in cui cucirsi lo scudetto al petto.

Ma Lecce potrebbe anche regalarci un nuovo inizio, identico a quello perduto prima dell’ultimo match, facendoci ritrovare ferocia e distanze mancate contro il Milan. In fondo non sarebbe la prima volta, quante volte abbiamo sentito parlare di “sconfitta salutare”, come il diretto al volto che manda al tappeto, ma non ko, ricordandoci che bisogna tenere sempre alta la guardia. E se qualcuno prova ad insinuare nel gruppo il tarlo per cui in fondo non si sono mai affrontate certe pressioni, bisogna ricordare loro che 30 vittorie su 37 partite stagionali non possono essere un caso.

Forse dopo mesi di vittorie in cavalleria, di granitiche certezze che, come mura maestose, proteggevano squadra e città, c’era bisogno di riassaporare quel brivido di incertezza, quella paura dell’ignoto che acuisce i sensi, come soldati al fronte pronti alla battaglia. Perché spesso si scambia la paura per debolezza, ma dalla paura inizia ogni sapienza e chi non ha paura, non può sapere. Perché bisogna provarla per avere il coraggio di combatterla e questa squadra con lo sguardo fiero di Osimhen, l’animo di capitan Di Lorenzo, l’umiltà di Kvara è pronta a dimostrarci che le nostre paure non sono altro che una mera illusione.


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