“Chissà se stanno bene” me lo chiedo tutte le volte che scorro la timeline dei miei social, alla ricerca di un tweet, un commento o  un qualsiasi altro segno di vita. Roba da scomodare la Sciarelli di Chi l’ha visto. Eppure, questa estate erano attivissimi. I display in fiamme dei loro smartphone e le tastiere usurate dall’incessante picchiettare mostravano un morboso desiderio di riversare in rete fiumi di parole al vetriolo. Il virus era fuori controllo e colpiva chiunque osasse pararsi dinanzi alla sua strada, perché l’imperativo era quello di perseguire lo scopo ad ogni costo e farlo uniti e compatti. Gli infetti, che non erano stupidi, avevano anche trovato il modo per riconoscersi e diffondevano la nobile parola attraverso un hashtag geniale: #A16.

Ma voi capite quanto sublime possa essere la mente umana? Vorrei tanto poter conoscere chi ha coniato questo mirabile richiamo alle armi, archetipo della sintesi anti societaria e prostrami dinanzi a lui, bramoso di dissetarmi alla fonte della sua saggezza. Ma ormai sono settimane, mesi, che la mia ricerca sbatte contro un metaforico muro di gomma. Una impenetrabile barriera omertosa fatta di non ricordo, con gli irredentisti dell’apologia asediciana chiusi nel silenzio e i pentiti d’ultima ora che ricusano il ricordo di giornate passate a divulgare il verbo.

Provo a stanarli dappertutto e se le maglie della rete social sono troppo larghe, permettendo loro una semplice fuga e di nascondersi nell’ombra, senza perdermi d’animo e da provetto investigatore ne seguo le tracce sugli spalti di un Maradona gremito, quello che per intenderci andava disertato, perché un seguace dal cuore puro non finanzia la società. Ma niente da fare, brancolo nel buio anche dopo che la sconfitta patita a S.Siro aveva acceso una flebile fiammella, illudendomi di potermi finalmente ricongiungere a loro.

Voglio essere sincero, ad agosto ripudiavo tutto ciò che rappresentavano, ero accecato dal modus operandi societario che De Laurentiis mi aveva propinato per anni, convinto che fosse la strada della competenza e della gestione sostenibile del club l’unica via per portarci al successo. Si lo ammetto, ero una groupie di Aurelio, pendevo dalle sue labbra e quando il 30 maggio, durante la presentazione del ritiro, si fece scappare quel “riporteremo lo scudetto a Napoli” credetti alle sue parole. Insomma, ero un “tifate a pensare”, un aureliota convinto e combattevo gli A16 ad ogni occasione.

Ma pensateci bene, come dar loro torto riguardando la presentazione di Dybala alla Roma? Secondo voi una società che vuole vincere prende Raspadori per 35 milioni o si affida al nuovo Messi facendogli firmare un contratto con clausola rescissoria da quattro spicci? Una società che vuole crescere prende due perfetti sconosciuti come Kvaratshkelia e Kim o rinnova a cifre milionarie gli ultratrentenni Mertens, Koulibaly e Insigne, mostrando gratitudine per chi ha vestito la maglia azzurra per anni?

Ad agosto ero cieco, sotto l’effetto del morbo aureliano, e solo oggi sono scosso dai brividi pensando ad un georgiano – ma quando mai in Georgia hanno saputo giocare a pallone - che raccoglie l’eredità di capitan Insigne, l’eroe dell’ammutinamento del 2019. Per non parlare di un coreano in luogo del comandante Koulibaly, il "più forte assaje" difensore del mondo e provincia. In fondo loro volevano solo poter sognare di vincere e invece questa società li ha risvegliati per propinargli la realtà di una squadra di belle promesse, che senza rispetto per i senatori andati via, si è collocata in maniera sfacciata e presuntuosa in vetta alla classifica di Serie A. Ma non solo, sempre i soliti hanno avuto l’ardire di qualificarsi al primo posto nel girone Champions e di umiliare le  avversarie rifilando loro 20 gol complessivi, con assoluta mancanza di rispetto.

Più passano i giorni e più la speranza, di poter finalmente incontrare quelli che un tempo consideravo nemici, appassisce. Come un cero che inesorabile si scioglie lentamente e diventa fumo nero e denso, che appanna il ricordo di un’estate di verace passione. Vorrei poter ascoltare le vostre voci, quando durante interminabili dirette tracciavate la strada verso la gloria. Possibile che nemmeno l’apertura del mercato invernale abbia ingolosito la vostra competenza, sempre prodiga di consigli su quali siano i nomi giusti su cui puntare?

Mi sento smarrito, spaventato da una possibile vittoria così distante da tutto quello che ci avete insegnato, al punto che nemmeno mettermi in viaggio in direzione Bari mi ridà certezze. Quel diavolo di De Laurentiis ci sta ammaliando, col suo monte ingaggi ridotto e il suo progetto sostenibile, tanto che adesso perfino Mario Rui lo chiamano Maestro. Ma vi rendete conto, agghiù, pure Mario Rui?

Spero che qualcuno possa raccogliere questa accorata richiesta di aiuto e vi incoraggi ad abbandonare i bunker nei quali latitate. Napoli ha bisogno delle vostre acute intuizioni, di credere in sceicchi che girano per Capri a dorso di un cammello, di grandi cerchi e cavalli che si vedono al traguardo. Ritornate al principio e ricordate quando nelle sere d’agosto sentivate di risplendere come diamanti. Perché il tempo può anche dissipare il ricordo, ma un A16 è per sempre.  


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