Lo avevamo già scritto prima che il quarto di finale iniziasse, prima che Osimhen si infortunasse, prima della sosta delle nazionali, ma ci tocca scriverlo di nuovo, a valle di 180 minuti per noi devastanti, perché riteniamo che il miglioramento del Napoli e di Napoli passi anche dal saper comprendere certi eventi e nella logica di causa ed effetto.

Riscriviamolo quindi a chiare lettere: il “DNA europeo” non esiste.

Ma come? Il Milan ha appena battuto il Napoli, che in campionato lo sopravanza di oltre 20 punti, come puoi affermare una cosa del genere?

Allora partiamo con qualche dato. Prima di quest’annata, in cui i rossoneri dal DNA modificato hanno battuto, con merito e un pizzico di buona sorte arbitrale, Tottenham e Napoli, due squadre sicuramente meno blasonate, se escludiamo il Barcellona che lo ha estromesso in due occasioni, tra le ultime eliminazione subite dal Milan troviamo, andando a ritroso: l'Atletico Madrid nel 2014, il Tottenham nel 2011, l'Arsenal nel 2009. Inoltre, nel 2004, quindi in mezzo ai due trionfi di Carlo Ancelotti, il Milan riuscì anche in una sorta di impresa: dopo aver vinto 4-1 il match di andata, riuscì a perdere 4-0 al ritorno contro il Deportivo La Coruña, squadra meteora in Champions e che ora milita in terza divisione spagnola. Ancora, che fine ha fatto il DNA Champions del Real Madrid dal 1960 (anno del suo quinto trionfo consecutivo) al 1998 quando per 38 lunghi anni non ha vinto la Champions/Coppa dei Campioni e solo in un paio di occasioni ci è andato vicino?

Insomma, di esempi in cui il fantomatico DNA non è servito a nulla, riferiti al Milan come ad altre squadre, potremmo trovarne a iosa.

E, siccome per smentire una legge basta un solo controesempio, il dato è tratto: il DNA europeo non esiste.

Quel che esiste, come scrivemmo, è il potere della narrazione. Il fatto che a questo racconto, tramandato anche da giornalisti scaltri e capaci di costruire una trama convincente, una persona ci possa credere.

Attenzione, non soltanto una persona comune, non solo voi, non solo me, ma anche Davide Calabria. O Khvicha Kvaratskhelia. Anche chi scende in campo, insomma. Nel momento in cui avviene questo fenomeno, il racconto del DNA assume un nome e ruolo specifico: arma psicologica.

Il Milan, come è giusto che sia, ha dunque utilizzato una sottile arma psicologica per cogliere un vantaggio. E probabilmente ci è riuscito. E in un match dove ogni dettaglio conta, specie quando le differenze in campo sono limate dalle contingenze del momento, la testa può fornire un gap decisivo. Ma anche qui si entra nel campo delle ipotesi. Non sapremo mai se lo spunto di Leao sul quale Di Lorenzo o Rrahmani sono rimasti inchiodati sia stato frutto del suo “sentirsi più forte grazie al DNA europeo” oppure semplicemente perché ha un fisico superiore alla media che gli ha consentito l'allungo, o per tutte e due le cose, quindi inutile addentrarci in questi terreni paludosi e quasi metafisici e limitiamoci al concreto.

Avevamo previsto che l’unico terreno dove il Milan era nettamente avanti rispetto al Napoli era appunto quello psicologico: per uscirne almeno pari e sfruttare poi le nostre altre solide armi, bisognava creare una contro-narrazione, una barriera psicologica altrettanto forte da rispondere al “DNA”. Insomma, andando in punta di similitudine, serviva un virus che attaccasse le certezze rossonere in Europa. Un modo per far emergere, dalla testa verso il corpo, tutti i nostri pregi ed i loro difetti.

Napoli invece ha speso quasi la totalità dei giorni in cui questa sfida si è giocata – perché è opportuno ricordare che Napoli Milan di Champions è iniziata la vigilia del 2 aprile, non certo il 12 – ad occuparsi di lotte interne che hanno minato le certezze anziché renderle granitiche. E – badate bene – fatta eccezione per l'infortunio di Osimhen, è perfettamente ipotizzabile che anche le ingenuità di Anguissa sul secondo giallo, o quella di Kim, così come l'infortunio quasi da stress di Simeone, siano state semplici conseguenze di un peso emotivo che i giocatori non sono stati in grado di sopportare. L'incapacità di trovare un racconto al quale credere e nel quale cullarsi.

E quando perdi certezze, finisci ad aggrapparti alla prima verità apparente che ti si pone davanti...il DNA, et voilà. Les jeux son faits.

La sensazione finale è che il Milan abbia giocato tutto questo confronto su un filo sottilissimo tra esaltazione e depressione. Così come ha dimostrato anche lungo l'arco del campionato, fatto di alti e bassi, sembrava che un minimo episodio potesse far cambiare loro mood. Invece sono stati capaci di restare sul pezzo, forse proprio perché quel filo sottile era il filamento ad elica del DNA nel quale avevano riposto fede assoluta.

Noi invece siamo stati come dei trapezisti che, dopo mille fantastiche evoluzioni pericolose durate otto mesi, senza nemmeno capire bene come, hanno perso d'improvviso la presa e sono caduti al suolo.

E cosa pensa il trapezista mentre vola? Nulla, non ci pensa mica a come va a finire. Ecco ci abbiamo pensato troppo. Loro no. Hanno pensato a volare.

Teniamo a mente questa lezione per il futuro, perché Napoli e il Napoli possono ancora spiccare il volo.

Nel frattempo, consoliamoci ricordandoci che quest'anno abbiamo una meravigliosa rete ad accogliere la nostra caduta, una rete a forma di scudetto.