Una volta erano gli americani, poi la volta dei cinesi, oggi gli arabi. Le potenze economiche che ciclicamente sembrano voler saccheggiare il calcio europeo sono delle vere e proprie manne dal cielo.

Incomprensibili i cori di indignazione che si levano ad ogni latitudine. La guerra alla ricchezza sfrenata e soprattutto non ragionata è segno di scarsa capacità di analisi e nessuna conoscenza della storia recente dello sport più popolare al mondo.

Il calcio europeo è un marchio non esportabile altrove. Non può essere riproposto in nessun territorio diverso dal continente. È una questione di tradizione secolare che non può essere estirpata da alcun nababbo.

Preoccuparsi dello sceicco di turno che vuole portarsi i detriti del nostro calcio nel giardino di casa sua a suon di milioni e milioni, non solo è inutile, ma è anche fuori da ogni logica di interesse economico. E, infatti, l’indignazione arriva da chi si lascia influenzare dalla retorica cristiana costruita sui soldi che appartengono al demonio.

Chi vede i soldi come un valore, invece, prega ogni giorno che qualche egocentrico sceicco Saudita si svegli con lo sfizio di sostituire la sua collezione di Lamborghini con i migliori tra gli scarti delle top 5 leghe europee.

Un flusso di dollari inaspettato e da canalizzare senza ricorrere al benché minimo sforzo. Un’arroganza mista a un’incapacità tecnica che non può fare altro che bene alle casse dei club di casa nostra.

Ben vengano i petroldollari, quanto più arroganti, ignoranti, spropositati, privi di morale siano, meglio è.