Conte vuole vincere, ma ad alcuni basta sentirsi "grandi"
Chiede Garnacho e si ritrova Okafor. Da quando ha iniziato a reclamare il rispetto che merita un allenatore con più titoli della squadra che allena è diventato il nemico pubblico N1

Un anno e una manciata di giorni or sono dalla trasferta di Monza che vide l'ultima vittoria del Napoli col Tricolore stampato sul petto. Un rocambolesco 2-4, colmo di pennellate d'autore e di addii silenziosi, che ridiede speranze in ottica Conference League agli uomini di Calzona.
Come per uno scherzo del destino, è proprio il Brianteo a vedere gli azzurri di Conte agganciare la vetta di quell'Inter che un anno fa distava 41 punti. La gara disputata, diametralmente opposta a quella dello scorso anno, ha suscitato l'ira funesta degli esteti naïf del popolo napoletano, da sempre amanti della mediocrità idealizzata delle belle storie finite male.
Il mercato di gennaio: Conte chiede Garnacho e si ritrova… Okafor

Polifemico fu il delirio d'onnipotenza del popolino, in vista dell'offerta faraonica in arrivo dal Paris Saint-Germain pronta a rimpinguare le casse dell'esimia proprietà, sino a quel momento garante d'un autosufficienza paventata che avrebbe autofinanziato il mercato estivo sborsando oltre 150 milioni di euro nonostante il mancato arrivo in Europa.
“I soldi ce li abbiamo noi!”. Già, ed erano arrivati all'inizio del calciomercato di gennaio. Cosa poteva andare storto?
Nel frattempo, un Napoli pur privo di Buongiorno continuava a spianarsi la strada a colpi di scalpi illustri. David Neres, talentuoso quanto intermittente brasiliano, si districava in bella maniera su ambedue le fasce. Nessuno aveva però già ceduto alla sibillina convinzione che non servisse un sostituto di livello. Anche perché le cose, anche fuori dal campo, andavano a gonfie vele: quando non arrivavano dall'Inghilterra, le notizie, arrivavano dalla Germania. Garnacho o Adeyemi?
Mentre non si parlava d'altro e con gli amici si passavano le giornate arrovellandoci il Gulliver per quel dilemma esistenziale che avrebbe visto la scelta di due dei giovani più chiacchierati del panorama mondiale per l'eredità di una delle maglie più pesanti della storia del Napoli, ebbi l'idea di controllare quanti giorni mancassero alla fine del calciomercato. Solo dieci. Aprii il social con la X per aggiornarmi.
Era stata azionata la solita macchina del fango. L'MVP dello storico Scudetto del Napoli era diventato un avido traditore, colpevole di aver lasciato “per i soldi” (percepiva ancora un contratto da un milione di euro, con un adeguamento promesso e mai arrivato) la squadra nel bel mezzo della lotta Scudetto, come se non fosse plateale il passo avanti compiuto dal georgiano pronto a vestire un ruolo di primaria importanza in una squadra candidata alla vittoria della Champions League.
Il mercato era destinato a terminare con una delle più grandi figure barbine della storia recente del calcio italiano. Il giovane Manna, in tutta la sua inesperienza, finisce a virare sull'improbabile Saint-Maximin e incappa nei naturali problemi burocratici di un trasferimento che avrebbe coinvolto una società araba e una turca. In missione, nell'ultimo giorno di mercato, porta a casa un Okafor in condizioni non consone e totalmente mancante del ritmo partita. Cade il mito del faraonico mercato estivo: i milioni messi in campo da De Laurentiis sono poco più di 65, non più 150. Come se la cessione di Osimhen e la qualificazione in Champions non fossero cosa fatta.
Ma è qui che viene il bello. Perché il mercato finisce, ma la stagione continua. E se esiste un Dio ha un gran senso dell'umorismo, perché la giustificazione della sola partita a settimana diventa una saettante maledizione incombente sull'intera rosa del Napoli.
Conte nemico pubblico numero uno

Deve esserci forse una ragione sociologica nei meandri dei contorti ragionamenti d'una frangia della tifoseria napoletana. Tra l'altro, in un paio d'anni passi dall'essere etichettato come non italiano a essere circondato da blogger che s'ingozzano d'una qualsivoglia pietanza in giro per la città; ragazzi d'ogni dove impazziti per Mare Fuori alla ricerca d'una Rosa Ricci; dall'essere guardato con sospetto per strada in altre città, a vedere gigantografie di Geolier in giro per Milano: ormai al napoletano piace… piacere. E questa è una sconfitta per una città dalla cultura millenaria che ha preso a calci nel culo i nazisti quando ha visto a rischio la propria identità.
Vabbé, tocca parlare di calcio. Dov'eravamo rimasti?
Ah già, a febbraio il Napoli non vince mai. E da lì, progressivamente, Conte ha cominciato a reclamare il rispetto che meriterebbe un allenatore con più titoli della squadra in cui allena, in nome dei vistosi miglioramenti di una rosa forse addirittura meno forte di quella dello scorso anno. Un affronto imperdonabile per chi mal sopporta lo sdoganamento di temi proibiti nelle conferenze stampa del Napoli, come le strutture e le giovanili.
Ed ecco che la narrazione cambia: aver concluso il calciomercato a bocca asciutta è piena responsabilità di Conte, incapace di attirare con il suo famigerato appeal i ragazzi sul taccuino di Manna, che aveva viaggiato verso Manchester e Dortmund con le tasche piene di quattrini e addirittura chiuso le trattative con i club. Perché “i soldi ce li abbiamo noi” (cit.) e abbiamo la solidità per trattare con le grandi del calcio mondiale, già. Come se nel calcio moderno fossero rare le trattative internazionali tra grandi squadre e piccole di ogni dove. Vedasi il Como, capace di portarsi a casa i talentuosi Nico Paz dal Real Madrid e Valle dal Barcellona.
Come dimenticarsi poi del famigerato articolo 17, che avrebbe addirittura permesso a Kvaratskhelia di liberarsi se il Napoli avesse rifiutato l'offerta del PSG. Ma quanti giocatori d'élite sono nella stessa situazione contrattuale del georgiano a gennaio? E quante volte hanno deciso di avvalersi di questo articolo 17? Suvvia…
Il miracolo di Conte: uno sguardo al campo

Inutile girarci attorno: la ragione atavica dell'ostilità di alcuni tifosi del Napoli per Conte è il suo passato. Sovente i migliori passano per le squadre più forti. E non era un orgoglio sentirsi all'altezza dei più forti?
La critica più frequente posta al mister salentino riguarda l'assetto tattico, troppo prudente e poco fluido. Ma il tasso tecnico del Napoli può realisticamente permettere il calcio champagne tanto osannato da chi ama vedersi secondo con onore e raccontare favole dal finale amaro?
La componente fisica è sicuramente un cardine di questo Napoli, che riesce a sopperire alla mancanza di un'ala di qualità capace di cambiare le partite con le stagioni record di Anguissa e McTominay e a tenere botta quando c'è da ripiegare. Già, ripiegare, che nel 2025 dominato dai Guardiola da tavola sembra blasfemia, è una cosa che agli uomini di Conte riesce tremendamente bene. Tanto che gli azzurri subiscono solo gol belli! Basti pensare al mancino volante di Angelino, alla parabola impossibile di Ekkelenkamp o al gol di tacco di Ndoye. Tanti gesti tecnici sublimi, che tra le altre cose rendono i Partenopei la squadra più battuta da fuori area, con 9 reti su 25 subite dalla lunga distanza, 10 contando lo sciagurato autogol di Rrahmani a Como.
Il Napoli è la difesa meno battuta d'Europa, con 25 reti subite in 33 partite. A fine anno, il tanto bersagliato Juan Jesus avrà giocato almeno il 34% delle gare da titolare, poiché ad oggi ne ha già giocate 13. Amir Rrahmani, che l'anno scorso sembrava quasi avesse paura di saltare per staccare di testa, è il primo difensore per rendimento del campionato (7.23), davanti a Bastoni e al suo compagno Buongiorno.
71 punti e la resilienza dei grandissimi, come nel secondo tempo di Bologna e nella reazione al gol di Dimarco nella gara clou contro l'Inter. La manona di Meret arrivata un po' ovunque, dalla gara contro il Cagliari a quella del Ferraris, o quella del carneade Scuffet a Bologna quando sembrava tutto troppo brutto per esser vero, la zampata di Billing. Gli sguardi ad una panchina deserta fatta eccezione per il buon Raspadori, con il tanto acclamato Ngonge quasi incapace finora di gestire in maniera lucida il pallone.
Antonio Conte è lì, contro tutti, perché di solito logora chi non ce l'ha. A Napoli, sta logorando anche chi ce l'ha. In ogni caso, sarà un enorme grazie. E se vi dispiacciono gli 1-0, siamo proprio in periodo di playoff NBA, date uno sguardo lì. Perché, citando Vince Lombardi, gli attacchi vendono i biglietti.
Ma le difese vincono le partite.