Perché Garcia al Napoli è una scelta più che sensata
Chi è senza peccato scagli la prima pietra: chi non è rimasto spiazzato, deluso dalla scelta di Aurelio De Laurentiis di designare Rudi Garcia come nuovo allenatore del Napoli? Avanti, persino i commentatori più benevoli fino a poco fa avevano preferito non esporsi.
Jurgen Klopp, Julian Nagelsmann, Antonio Conte, Luis Enrique e da ultimo Christophe Galtier: l’elenco di tecnici blasonati era piuttosto lungo e, anche se questi prestigiosissimi nomi sono stati inesorabilmente accantonati uno a uno, stavolta i tifosi ci credevano veramente: siamo campioni d’Italia, abbiamo una rosa forte e possiamo permetterci, unici in Serie A, di fare il calciomercato senza badare troppo a problemi di liquidità. De Laurentiis avrebbe dovuto scegliere per forza un allenatore in grado di proseguire il solco tracciato da Spalletti (cosa che, paradossalmente, ha fatto). D’altronde, solo qualche giorno fa L’Equipe dava per fatto proprio Galtier “ai piedi del Vulcano”.
Garcia al Napoli: un usato sicuro
Un campionato e una Coppa di Francia (double col Lille nella stagione 2010-11), una finale di Europa League, una semifinale di Champions League ottenuta con il Lione nel 2020, eliminando Benfica, Juventus e Manchester City (l’OL si arrese poi in semifinale sotto i colpi del micidiale Bayern di Flick, vincitore di quell’edizione). Ci sono poi due ottimi secondi posti con la Roma, conquistati nel corso di due stagioni e mezzo, e l’indiscutibile merito di aver lanciato talenti come Gervinho, Idrissa Gueye, Eden Hazard, Lorenzo Pellegrini, André-Frank Zambo Anguissa (con lui ben 93 presenze in due anni al Marsiglia) e da ultimo Rayan Cherki.
Tanti altri campioni, inoltre, si sono imposti definitivamente sotto la sua guida: Adil Rami, Mehdi Benatia, Kevin Strootman, Miralem Pjanic, Radja Nainggolan, Leandro Paredes, Kostas Manolas, Mohamed Salah e Houssem Aouar. Altri già affermati, invece, sono stati allenati da lui con ottimi risultati come Daniele De Rossi, Francesco Totti e Memphis Depay. Un allenatore non di primo pelo, dunque, e che col talento ci sa fare.
Proprio come Spalletti, quindi, Garcia rappresenta per De Laurentiis un usato sicuro. Un tecnico di esperienza che non ha un ingaggio troppo oneroso (3 milioni netti a stagione), conosce molto bene la Serie A ed ha esperienza in Europa. Inoltre, come la stragrande maggioranza degli allenatori che si è seduta sulla panchina degli azzurri, Garcia è amante del calcio offensivo. Insomma, il curriculum parla per lui: il Napoli ha preso un ottimo tecnico. Come lo era anche Luciano Spalletti, a cui la società chiedeva semplicemente di tornare a qualificarsi in Champions. D’altronde, chi avrebbe detto che sarebbe stato proprio il tecnico di Certaldo a riportare a casa uno scudetto che mancava da ben trentatré anni? Ecco, già solo questo imporrebbe prudenza nei giudizi. Ma ci torniamo dopo.
Un saltimbanco che saprà affrontare la piazza
Garcia, inoltre, è un comunicatore esuberante, capace di comportarsi dinnanzi ai giornalisti come un vero e proprio saltimbanco. A tal proposito, aspettiamo di vedere, da amante della buona cucina quale è, con che aria irriderà e contemporaneamente liscerà il pelo alla stampa locale quando questa farà asininamente sfoggio di tutto il suo provincialismo con le solite domande su pizza, mozzarella e sfogliatelle; oppure come prenderà di petto in conferenza, aizzando spogliatoio e tifoseria, certe insinuazioni ai danni di squadra e società che, a dire il vero, dalle parti di Castel Volturno si sentono troppo spesso.
Ma non è solo questo il motivo per cui Garcia ha del potenziale per piacere molto ai supporters azzurri. A Roma il tecnico di Nemours è ancora ricordato con affetto per la sua professione di antijuventinismo, sfoggiato pubblicamente non solo in occasione di quel 3-2 del 5 ottobre 2014 con la ormai famosa sviolinata, ma sfacciatamente riesibito ad anni di distanza, quando, dopo aver eliminato i bianconeri agli Ottavi di Champions con il Lione, si rivolse ai tifosi giallorossi col celebre “ragazzi, ce l’abbiamo fatta!”. D’altronde, “è un bel paraculo” (Totti dixit) e sicuramente saprà farsi apprezzare anche a Napoli.
Avere tutto da perdere
Probabilmente, però, ad aver orientato la scelta del nuovo tecnico è stato un aspetto legato alla gestione societaria. Forse il più importante di tutti: per quanto sia un imprenditore ambizioso e innovativo – “visionario”, qualcuno si azzarderebbe a dire –, De Laurentiis negli ultimi anni ha scelto sempre allenatori che comportassero una percentuale di rischio molto bassa, come se fosse guidato più dalla paura di aver tutto da perdere che dalla volontà di dare alla squadra una guida prestigiosa, ma fuori scala per la dimensione degli azzurri: prima il “normalizzatore” Gattuso, l’uomo dal polso giusto per mettere a regime uno spogliatoio ammutinatosi, e poi l’esperto Spalletti – uno che in carriera ha fallito solo una volta la corsa alla Champions – per tornare nell’Europa che conta, hanno rappresentato scelte fatte per puntare con sicurezza al minimo indispensabile.
Un minimo indispensabile che, però, per una società come il Napoli rappresenta la soglia tra sostenibilità finanziaria e bilanci in rosso. Gli azzurri, infatti, a differenza delle concorrenti non hanno grossi ricavi strutturali e, anzi, buona parte delle entrate dipende ancora dal piazzamento in campionato: accantonare sogni di grandeur, soprattutto dopo le esperienze di Benitez e Ancelotti, e restare invece con i piedi per terra significa quindi garantire la competitività e la continuità di risultati. E, facendo un’analisi legata al campo, Garcia saprà garantire la continuità tattica rispetto al lavoro di Spalletti. Cosa che, al momento, è forse il principale asset del club azzurro.
Metodo che vince non si cambia
E veniamo, come dicevamo prima, proprio a Luciano Spalletti: dopo l’esperienza all’Inter, con due quarti posti conquistati per il rotto della cuffia, le figuracce nelle coppe continentali e uno spogliatoio rotto (un lavoro sporco fatto, in realtà, per la serenità di chi è venuto dopo), il tecnico di Certaldo era considerato un allenatore finito. Chiunque abbia un minimo di memoria potrà ricordare come sia stato accolto sotto il segno del solito scetticismo di larga parte della piazza. Eppure, la scelta si è rivelata più che azzeccata.
Perché, quindi, De Laurentiis avrebbe dovuto cambiare i suoi criteri di scelta proprio adesso? Perché un uomo così ordinario, prevedibile e abitudinario (per certi versi) nelle sue scelte di politica aziendale avrebbe dovuto azzardare un altro passo più lungo della gamba in un momento così delicato? Parafrasando una nota massima calcistica, potremmo dire che metodo che vince non si cambia. E, anche stavolta, ADL – uomo che di calcio ne capisce poco, ma che, in qualità di grande imprenditore, sa sempre a chi affidarsi – ha preso una decisione saggia, ponderata, per il momento giusta.
Affari di famiglia
In più, c’è da considerare un aspetto tutt’altro che secondario: Valentina De Laurentiis è stata messa a capo dell’area marketing del club, il suo compagno Antonio Sinicropi ha da poco terminato i suoi brillanti studi da DS, mentre il primogenito di ADL, Luigi, quest’anno ha sfiorato la promozione in Serie A col Bari che, se dovesse andare tutto per il verso giusto, prima o poi dovrà essere ceduto. Allenatori manager come Antonio Conte, Luis Enrique o Julian Nagelsmann avrebbero preteso, quindi, di mettere bocca su questioni che, legittimamente o meno, De Laurentiis reputa affari di famiglia.
E poi avrebbero chiesto sicuramente interventi invasivi su una rosa fortissima, che per certi versi è in grado di guidarsi da sola e per cui il patron degli azzurri ha tutto interesse a dimostrare che possa “vincere con chiunque”, che allenarla è, per l’appunto, “un privilegio”. A Benitez fu concessa carta bianca sul mercato perché bisognava internazionalizzare la squadra, ma già Ancelotti si scontrò con la scarsa voglia del presidente di stravolgere il gruppo reduce dal triennio sarriano. Garcia, invece, da aziendalista quale è, non punterà i piedi per questo o quel calciatore e studierà l’impianto tattico della squadra lavorando sul materiale a disposizione.
Insomma, per tutti questi motivi l’idea di portare l’allenatore francese a Napoli è tutt’altro che una follia. Senz’altro si tratta di una sfida intrigante, su questo non c’è dubbio. Ma l’ex tecnico di Lille e Roma l’ha accettata scegliendo di sedersi su una panchina che sarebbe scottata per chiunque e confermando ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, che sicuramente non difetta di carattere. Insomma, c’è da essere moderatamente soddisfatti: a Castel Volturno è arrivato un allenatore che, come già fatto da Spalletti, saprà rimettere “la chiesa al centro del villaggio”. Non è tempo di disunirsi.