Tra i mille errori gestionali commessi da quel meraviglioso 4 maggio al giorno d'oggi che hanno ridotto il Napoli Campione d'Italia ad una sciagurata accozzaglia di infelicità, rabbia e frustrazione bazzicante intorno alla zona Conference, Aurelio De Laurentiis ne ha commesso uno particolarmente grave. Forse, il più grave di tutti.

Nella ancora straripante euforia di una città che urlava al mondo tutta la sua gioia, poteva diventare argomento di discussione l'addio di Giuntoli? Ma certo che no, alla fine non scende in campo. E alla fin fine, tra un'accusa di tradimento e l'altra, pareva quasi che un uomo di calcio non servisse.

Inutile piangere sul latte versato, ma per ovviare ad uno dei suoi più gravi errori, ADL pare volersi ad affidare ad uno dei migliori uomini di calcio liberi: Gianluca Petrachi. Con sei mesi di ritardo, ma tant'è...

Scopriamo insieme uno dei più interessanti direttori sportivi del calcio italiano.

Gianluca Petrachi, trentasei anni di calcio

Sembra uno scherzo del destino, eppure l'inizio della carriera calcistica di Gianluca Petrachi avvenne proprio con... il Napoli Campione: nel 1987, Carlo Mazzone decide di schierarlo titolare con la maglia del suo Lecce. Una gioia incommensurabile ed effimera, poiché a fine anno sarà cessione in C2 al Nola. Per assaporare la Serie A, l'esterno destro salentino dovrà attendere ben sei anni, quando dal Venezia andrà al Torino in uno scambio che coinvolse un giovanissimo Bobo Vieri e che lo restituirà tristemente alla Serie B dopo una manciata di minuti giocati fuori ruolo. Dopo altri due anni di B la sua carriera in massima serie prosegue pressoché deludente ed accumula ben due retrocessioni di fila, con le maglie di Cremonese e Ancona. Proprio quando sembrava sul viale del tramonto, trova gioia e continuità nel Perugia del vulcanico Gaucci, vero canto del cigno di una carriera terminata troppo presto a causa di un'ernia inguinale e nell'indegno scenario di un caotico Nottingham Forest. "Italiano mafia", gli dicevano. Lui batteva la mano sul petto: Italians do it better.

Riposti gli scarpini nel cassetto dei ricordi e indossata la giacca, Petrachi prese posto dietro la scrivania e preparò la sua ascesa.

Tra una gemma e una plusvalenza

La carriera da direttore sportivo di Gianluca Petrachi ha inizio in quel di Pisa: dopo un'insperata promozione, ci si aspetta una lotta per non retrocedere e neanche tanto semplice. Il salentino, però, ha le idee chiare, una certa sicurezza nelle sue scelte e per prima cosa fa squillare il cellulare di un suo vecchio allenatore, poi pesca un ragazzino della Roma che l'anno prima faceva panchina a Brescia et voilà, sesto posto e semifinale playoff persa contro il suo Lecce. Parliamo di Ventura e Cerci, due fedelissimi del direttore sportivo che lo accompagneranno in ogni sua maggiore impresa. E, detto tra di noi, che gli devono molto se non tutto.

Durerà due anni la sua avventura a Pisa e durerà un anno quel Pisa, fallito esattamente un anno dopo il suo addio. Due anni dopo, tornerà in gioco con il Torino di Urbano Cairo e a cui legherà indissolubilmente il suo nome. Spoiler: ci resterà ben nove anni. E restare tutto quel tempo in una squadra presieduta da Urbano Cairo significa avere quantomeno un briciolo di carattere.

Il Toro di Gianluca Petrachi

Arriva nel 2010 con la squadra in B e pesca subito D'Ambrosio dalla Juve Stabia (poi rivenduto al doppio, un milione), ma non sarà Serie A fino a quando non arriverà in suo soccorso Ventura. Nel 2011 con lui arriva Glik (comprato a 2 milioni e rivenduto a 11), l'anno dopo arrivano Cerci e Darmian (comprati rispettivamente a 7 e 2 milioni e rivenduti a 15 e 18 milioni), quello dopo ancora Immobile (comprato a 10 e rivenduto a 19) e il Toro vola dritto in Europa dopo soli quattro anni dal suo arrivo, ventidue anni dopo una storica finale di Coppa Uefa persa per i gol in trasferta. In nove anni, Petrachi ha generato quasi 160 milioni di euro di plusvalenze ed è bene ricordare le più importanti: Zappacosta al Chelsea per 25 milioni dopo averlo acquistato a 4, Maksimovic al Napoli alle stesse cifre dopo averlo pescato dall'Apollon Limassol a 3 milioni. L'ultima plusvalenza frutto del suo lavoro? Berenguer all'Athletic Bilbao per 12 milioni, dopo averlo soffiato al Napoli tre anni prima per meno della metà.

L'ultima esperienza, caotica, alla Roma: in pieno caos societario, tra una scaramuccia per un lapsus in cui lasciò intendere che a maggio 2019 lavorasse già per la Roma curando il caso Dzeko (poi rinnovato) e che gli costò un processo per aver violato il principio della lealtà sportiva, un alterco con tanto di "vai a c....e rivolto a Conte (suo caro amico dai tempi di Lecce e che sempre avrebbe voluto portare con sé) e il solito gran lavoro. Con lui, arrivano a Roma giocatori che tuttora a distanza di quattro anni sono presenti nella rosa di Mourinho: Smalling, Mancini e Spinazzola. La sua ultima grande intuizione? Mkhitaryan, ora dominante nel centrocampo dell'Inter prima in classifica. Veri e propri capolavori le cessioni di Manolas (36 milioni), Pellegrini (22 milioni) e un cadaverico Schick (33 milioni), ben lontano dall'essere il rispettabile bomber che ora gioca nelle file del Bayer Leverkusen.