Se l'incompetenza calcistica di un popolo potesse essere misurata, sarebbe alta un metro e sessantotto e peserebbe sessantasette chili circa. Sessantotto con la maglia inzuppata di sudore. Avrebbe un pizzetto da moschettiere, capelli da poeta maledetto francese di fine ottocento e un'espressione da tortino al cioccolato, di quelli dal cuore morbido. In poche parole: sarebbe Mario Rui Silva Duarte. O meglio, sarebbe la considerazione che molti hanno avuto del portoghese. Perché oggi è tutto un Maestro di qua e Maestro di là.

Il popolo in questione, neanche a dirlo, è quello partenopeo. Non tutto, sia chiaro, ma la parte orientata a parlare per slogan o a piazzare etichette. Quella troppo pigra per partorire analisi profonde. Una fazione che negli ultimi anni si è divertita spesso a fare bullismo con i deboli e a regalare credito smisurato a chi si mostrava apparentemente più forte. Una dinamica simile a quella che accade nei peggiori canili del buco del culo del mondo, dove il sovraffollamento viene affrontato utilizzando un'atroce tecnica, quella della selezione naturale: il branco fiuta l'elemento debole e lo attacca fino all'eliminazione. Nel mondo animale è una consuetudine. Mondo al quale l'uomo appartiene, ma di cui è il tifoso medio a dominare le gerarchie di spietatezza.

Mario Rui per anni è stato, nel migliore dei casi, invisibile. Eppure, dopo l'infortunio patito da Ghoulam, nel giorno dei morti del 2017 - che ha sancito, di fatto, la fine della carriera ad alti livelli dell'algerino - il portoghese è stato uno dei protagonisti assoluti del Napoli dei novantuno punti. Tanto invisibile che ogni mercato, da quel 2 novembre in poi, ha visto montare il tormentone del terzino sinistro. Inteso proprio come "De Laurentiis compra il terzino sinistro titolare, perché con Rui non si va da nessuna parte".

Come se il Professore fosse un idraulico prestato al calcio. Il Professore, appunto. Che poi, se glielo dici, arrossisce e si fa ancora più piccolo di quanto già sia. Piccolo di statura, si intende.

In campo invece è un gigante. Lo è caratterialmente e tecnicamente. In alcuni casi anche fisicamente. Come quando, nell'ultimo Napoli Torino, dominò con corpo e talento un armadio a muro come Singo, che a sentire i tifosi avrebbe dovuto mangiargli in testa. Non andò così. E non è andata così moltissime altre volte.

Mario Rui è stato uno di quei calciatori che ha dovuto faticare il triplo rispetto ai suoi colleghi per raggiungere la riconoscenza dei suoi tifosi. Ha combattuto con l'elaborazione del lutto di Ghoulam, contro Rino Gattuso e non ultimo contro il suo stesso procuratore, che pare si diverta a rendere i suoi assistiti antipatici con due semplici interventi in radio.

L'evoluzione della specie

Come tutti, il portoghese, commette - anche se sempre più raramente - errori. Ma non si può non considerare che il suo ruolo, nel calcio moderno, sia uno dei più delicati e uno di quelli che ha subito più evoluzioni. I terzini spesso fanno partita a sé. Impegnati nella lettura della propria linea difensiva, devono assorbire attacchi ripetuti, chiudere gli inserimenti e sempre più spesso, all'interno della partita, ingaggiano duelli rusticani con i loro dirimpettai. Senza contare che, nel calcio di oggi, i trequartisti non agiscono più in mezzo al campo, ma il talento preferisce avere i piedi sulle linee laterali e isolarsi dalla folla in campo. Ed è dall'esterno che arrivano i pericoli maggiori. E quando non derivano da funamboli, sono procurati da quinti fisici e potenti.

Mario Rui è uno di quei calciatori che ti mette la palla dove il compagno sarà, non dov'è.

Spalletti sul portoghese

Mario Rui ha assorbito alla grande questi compiti, ma non si è limitato. Ci ha messo del suo. Oltre all'attenzione difensiva, onora anche la costruzione con la qualità enorme racchiusa nel suo sinistro che, a occhio e croce, non supera il trentotto. Non sono bravo con i numeri - e sono anche pigro - quindi delego a voi la briga di andare a vedere quanti assist abbia sfornato negli ultimi due campionati. Ma una cosa la so: è il primo in Italia, nonostante avversari come il sogno erotico degli amanti dell'esuberanza comunicativa e tecnica, Theo Hernandez. Ma non è solo negli assist la sua evoluzione. Il portoghese è un vero e proprio play aggiunto. Caratteristica che è emersa ancora di più da quando sulla sua fascia non gioca più Lorenzo Insigne, calamita emotiva di ogni pallone giocato oltre il centrocampo. Il portoghese è un giocatore che vive nello spazio che ancora non esiste. Uno di quelli che ti mette la palla dove tu andrai. Come in occasione del gol di Simeone contro il Milan o quello di Osimhen che l'altro giorno ha stappato la partita di Marassi, per esempio.

Avrete notato che fin qui non si è ancora fatto cenno al suo temperamento. Continueremo a non farlo. Perché, delle ovvietà, stanca pure parlarne.


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