Gli errori ci hanno insegnato qualcosa?
Parlare del match contro il Bologna sarebbe pretenzioso da parte mia, l’ennesimo scenario figlio di una stagione inaspettata e insulsa al tempo stesso, la quale non lascia neanche intravedere auspici rassicuranti per il prossimo futuro. Sono sincero, l’ammissione di colpa che il Presidente si era riconosciuto lo scorso dicembre nel post Napoli-Monza mi aveva sollevato il morale. Sì, perché assumersi le proprie responsabilità è soprattutto una prova di maturità per le scelte conseguite di propria sponte e che non avevano portato al buon fine della gestione che si era prefissato.
Il tutto mi lasciava ben sperare per il prossimo futuro, anche perché il giudizio del virtuoso imprenditore non può essere messo in discussione per una stagione pronosticata e programmata in malo modo. Le successive dichiarazioni iniziavano a perplimere l’idillio dell’immagine che mi ero fatto dell’Aurelio Rinsavito perché, vi sono franco, preferivo pensare che l’acquisto di Lindstrom fosse scaturita dall’ideologia calcistica di Rudi Garcia nell’avere in rosa un calciatore che proiettasse il suo raggio d’azione a ridosso della prima punta per centralizzarne l’azione. Se ci pensate avrebbe avuto anche più senso: liberarsi di un esterno puro come Lozano e dare spazio alla strategia sopracitata. Quando ho ascoltato le discutibili - giusto per usare un eufemismo - riflessioni sulle statistiche del calciatore danese portate in conferenza stampa dal Patron un senso di scoramento iniziò a pervadermi.
Giustificarsi e fare un passo indietro?
I presupposti li avevo notati, almeno credevo cosi fosse, ma, allo stesso modo, piccoli e infausti tentativi di ridimensionarne i margini di errore riportavano a proferirne la consueta personalità egocentrica che lo ha contraddistinto dal post tricolore in poi. L’errore primario non può basarsi sul non essersi imposto sul contratto che poteva legare per un ulteriore anno Luciano Spalletti sulla panchina del Napoli; punto primo perché lei stesso, Aurelio, ha sempre ribadito il concetto che trattenere un proprio dipendente contro la propria volontà avrebbe conseguito solo esiti negativi; punto secondo: se le passate collaborazioni con Benitez prima, e Sarri poi, i quali hanno abdicato - con banali e scomputate scappatoie - non le hanno insegnato nulla siamo punto e accapo.
La pantomima
“Non siamo obbligati nel conferire alla stampa prima di una gara ma il tecnico ha espresso il desiderio di comunicare con voi e noi non abbiamo alcun problema nel concederlo”. Questo è quanto riportato dal responsabile alle comunicazioni della Ssc Napoli, Nicola Lombardo, in occasione del ritorno in conferenza stampa del tecnico azzurro Francesco Calzona. Da quanto tempo la società aveva smesso di programmare conferenze pre gare. Un mese? Due?
Improvvisamente si avvera il miracolo: Calzona ci appare dinanzi come la Madonna all’altare, pronto a dialogare e spiegare le sue verità. Saranno state le sue o quelle della società? La domanda è lecita porsela in quanto gli avvenimenti del dietro front si sono succeduti in una sequenza a stretto giro: dopo le giustifiche, se così le vogliamo chiamare, su Lindstrom, sulla fallimentare stagione del Napoli incombe l’ulteriore scure: le indolenti e inoperose prestazioni dei calciatori. Il tutto in base alle dichiarazioni, nemmeno troppo allusive, fatte da Calzona, dopo - tra l’altro - essersi tessuto le lodi per le migliorie su statistiche quantomeno contraddittorie se rapportate alla buona volontà di chi scende in campo: chi le ha migliorate queste percentuali se non gli stessi calciatori? Sono svogliati o non sono svogliati questi benedetti atleti? Beh, io credo che i problemi siano stati altri, non riconducibili - ad onor del vero - a quest’ultima gestione, bensì riconducibili a scellerate scelte di inizio stagione che propagate nel tempo hanno lasciato inevitabili strascichi, conseguendo ai fallimentari effetti che noi tutti conosciamo. Altra perla per cui redicontare è l’improvviso attacco influenzale del Mister calabrese in occasione della presentazione del film dello scudetto, inaugurato in anteprima con la presenza dell’intero staff societario e della squadra. L’unico assente durante l’evento serale è stato Calzona che, però, guarda caso, l’indomani era puntualmente presente a dirigere gli allenamenti. Aggiungiamoci anche il ritiro pre-gara con la Roma, Juan Jesus, Anguissa e Di Lorenzo che non si capisce chi era contro chi e contro cosa, insomma, ennesimi equivoci e intrallazzi tra le parti che sinceramente, non voglio nemmeno conoscere.
Come ripartire?
Cominciando dal comprendere che la migliore gestione equivale al saper delegare chi di competenza, ma soprattutto prendere le redini in mano e fare il punto della situazione. La conferenza svoltasi a Palazzo Petrucci mi ha lasciato percezione che le dichiarazioni del presidente volgano il questo senso: rifondazione, ma, soprattutto, molteplici ruoli da mansionare per una società che - da troppo tempo - ha una limitata conduzione familiare.
Questa rosa va rifondata? Se la risposta è un sì cosa si intende per rifondare, cambiare 10-12 calciatori?
La Società ha, in base alle abituali gestioni - ma soprattutto alle tempistiche - che ci ha abituato in passato, le facoltà e le giuste propensioni per attuarla? Accettando anche improvvise e costose commissioni paventate dai sempre contestati procuratori?
Ecco, al fine della sempre beata coerenza, io una puntina d’orgoglio la farei uscire in questi casi, pensando a ridare entusiasmo ad un ambiente che - nonostante il sostegno e la passione prostrata durante l’anno - si è cotto abbastanza, evitando sconclusionate decisioni stagionali e inopportune e fantomatiche associazioni con quelli di Manchester.
Le esperienze passate ci dicono il contrario ma non voglio filastroccare l’ennesimo sermone: luoghi e tempi sono importanti, ma di fondamentale importanza sarà conoscere e avere in dote una delineata strategia.
Inutile inseguire sogni irrealizzabili o fare voli pindarici, in terra campana non se ne sono mai fatti e neanche avuto le pretese. Il voler vincere, vincere, vincere e vincere ancora ce l’ha propinato lei Aurelio, il 4 giugno al Maradona, in occasione della celebrazione ufficiale dello scudetto. A Napoli nessuno pretendeva un secondo scudetto di fretta e in furia, bensì una mentalità dai saldi principi.