Se leggessimo le estati, coincidenti con le sessioni di calciomercato, con gli occhi degli analisti disinteressati, ci renderemo conto che, da giugno a settembre, l’andamento dell’umore della piazza napoletana segue una curva gaussiana; nella quale, intorno ad agosto, si può sezionare un picco emozionale. Prima e dopo, tanta insoddisfazione, mista a remissione o a insofferenza. Infine, nella fase di caduta della curva, il piattume delle aspettative mai pienamente rispettate. Ed infine, a cavallo delle ultime 24 ore, il dies irae, per l’affare sfumato che avrebbe completato la rosa.
Un andamento, dunque, standard. Che ogni anno trova nuovi interpreti, siano calciatori, agenti, direttori sportivi, dirigenti.
L’unica costante è appunto l’andamento, e per fortuna, i risultati che le campagne acquisti producono nell’arco della stagione. E allora, guardando con distacco anche alle stesse civetterie, alla probabilità statistica che un nome sulla bocca di tutti inevitabilmente naufraghi, alle smentite, alle dichiarazioni di incredibilità, insomma a quella ritualità che da oltre dieci anni accompagna l’estate napoletana, possiamo tranquillamente parlare di Metodo De Laurentiis. Che di questi anni è stato, sul serio, l’unica costante.

Un metodo che, al netto delle variabili, ha fondato sulla controintuitività mediatica la propria forza: ci sono società che, forti della propria debolezza strutturale, si servono dei grandi media per alimentare trattative spesso mai impostate, per provare a stringere nella morsa dell’inevitabilità i pesci piccoli. O ad alimentare l’entusiasmo di piazze facilmente influenzabili.

Ecco, il metodo De Laurentiis agisce in modalità completamente opposta; si muove nelle retrovie, mediante una rete di contatti sotterranei, dirigenti dalla bocca cucita, intermediari che si incontrano in luoghi poco battuti dai cronisti. Ai giornali dà in pasto poche informazioni, spesso errate: accetta di cogliere il rischio di apparire immobile, pur di raggiungere obiettivi che altri, magari, spiattellerebbero ai quattro venti per cavalcare l’hype.
Così, in merito alle cessioni o ai rinnovi: si espone solo dopo aver messo nero su bianco proposte, solo a conti fatti. E, se qualche volta, su questo aspetto, ha deragliato (cfr Mertens lo scorso anno) è per l’affezione sentimentale che, talvolta, pur fa capolino.
Così, nelle pieghe del Metodo, si disvela il dramma dei quotidiani, incredibilmente anacronistici, costretti per settimane a dover costruire articoli sul nulla; e poi, superati in una decina di minuti da qualche tweet.
L’autorevolezza della carta stampata, che avrebbe potuto salvarsi costruendosi, magari sulla scorta di quanto accade per i grandi media anglosassoni, uno spazio per la riflessione, piuttosto che il racconto del verosimile, è oramai un assioma a cui non crede nessuno.

Ed è anche questo il motivo per cui, se c’è da dire una parola di elogio lo si fa a mezza faccia; se, anzi, c’è da rimestare nel torbido, alludendo a preparazioni atletiche erronee, o a 230 milioni pronti (che poi si rivelano scarsi cento), sono pronte le prime pagine.
Il Metodo De Laurentiis ha dimostrato che una grande squadra può fare a meno della stampa amica.