Il Napoli ritrova se stesso davanti al proprio pubblico e lo fa alla sua maniera: annichilendo un’Udinese che paga oltre i propri demeriti la ritrovata vena gonfia di Kvicha e compagni.

Eppure le premesse non sembravano presagire niente di buono, con un lungo pomeriggio in attesa di capire se Victor avrebbe trovato posto nell’undici iniziale, dopo una nottata passata a cancellare dai social i ricordi di un anno magico. Era inevitabile ritrovarsi, troppo brutte le prestazioni di monumenti come Anguissa e Kvaratskhelia per essere vere. Possibile che quel bruto di Garcia avesse spento la fiamma del loro talento nell’arco di pochi mesi?

Certo, il tecnico ci ha messo del suo provando da subito a cambiare delicati equilibri, ma l’handicap tecnico col quale ha condotto gli azzurri in queste prime giornate era roba che avrebbe messo alle corde anche il bravo Spalletti. Saranno stati i nuovi metodi di allenamento, necessari ad una stagione da vivere tutta d’un fiato, ad ingolfare il motore nelle prime giornate, con Anguissa irriconoscibile e incapace di portare il livello di aggressione del pallone ai livelli che gli competono, costringendo Lobotka ad un doppio e ingrato lavoro, distogliendolo dai compiti di regia che avevano fatto le fortune del tema tattico orchestrato nella passata stagione. E invece oggi, specie nel secondo tempo, il Napoli ha ritrovato quelle geometrie capaci di irretire il pressing avversario e liberare dalle catene un Kvaratskhelia indemoniato, tornato a dipingere calcio con pennellate decise, vive e che hanno trafitto la retroguardia friulana, impotente di fronte alla smania di ritrovare quel gol che mancava ormai da troppo tempo. Ci hanno provato prima Silvestri e poi i pali della sua porta a rimandare l’appuntamento col virtuale abbraccio della curva, ma stasera anche i legni si sono dovuti piegare al volere del georgiano.
In gol anche Victor, ma la sua esultanza, se così la si può chiamare, dimostra che forse non basterà solo parlarsi, ma provare a capire se c’è la volontà di proseguire insieme almeno per questa stagione.

Una partita non cancella il secondo tempo con la Lazio e nemmeno i 70 minuti in balia di un modesto Genoa, ma può rappresentare una svolta nel rapporto tra tecnico e squadra. Garcia deve avere l’umiltà e la malizia di cavalcare l’onda, deve capire che in una piazza come Napoli il compromesso spesso è un obbligo e che un popolo che vive di tradizioni millenarie è riluttante a mettere da parte il passato, soprattutto se vincente. Sembrava tutto perduto e invece il Napoli si risveglia a meno 4 dalla cima e il rimpianto di aver lasciato dagli undici metri due punti che l’avrebbero proiettato in zona Champions. Ma non basta una partita per ritrovare il sereno e il rischio di essere solo nell’occhio del ciclone è ancora una tremenda possibilità.

A Lecce Garcia e il suo staff si giocano una fetta importante della propria credibilità agli occhi di squadra e pubblico, obbligati a dare continuità alla spettacolare prestazione di stasera e a pochi giorni dal big match col Real Madrid. Vogliamo credere che si sia deciso di guardarsi negli occhi, abbandonare il narcisismo dei propri personalismi e scelto il comune percorso per il bene del Napoli e dei napoletani. La partita di stasera non deve essere un colpo di coda, non può, non ancora.