Sono giorni difficili negli uffici della Lega Serie A, dopo il deferimento della Procura Federale per il caso manovre stipendi e partnership con club e agenti nei confronti della Juventus. La gestione è di quelle complicate, da non dormirci la notte: come traspare dalle parole da dimissioni immediate di Gravina, che più che presidente della Figc sembra un avvocato bianconero, c'è tanta preoccupazione ai vertici del nostro campionato. Una preoccupazione giustificata dall'ondata di malumore bianconero che si è alzata - nuovamente - dopo il deferimento arrivato all’alba del nuovo processo sulle plusvalenze.

La Juventus manda FIGC e Serie A nel panico

Da una parte, c'è il profitto; dall'altra, la credibilità e la reputazione. Sono ore buie negli uffici dirigenziali del calcio italiano. Oscure. Il dover prendere una posizione li sta logorando. Se da una parte è vero che la Juventus rappresenta una delle colonne portanti - dal punto di vista economico - del calcio italiano, è pur vero che quanto sta portando fuori l'inchista Prisma non può passare inosservato. E non deve, soprattutto.

La Juventus è quella squadra che deve vincere, sempre e comunque, ed è per questo che - sovente - i suoi dirigenti sono costretti a mettere in pratica finanche illeciti pur di riuscirci. Morale della favola? Nonostante il misfatto i tifosi cominciano a minacciare disdette a destra e a manca, mettendo così in crisi l'economia dell'Italia calcistica. Questo la lega lo sa, benissimo. Quindi assistiamo a dichiarazioni di tutti i tipi pur di non danneggiare l'immagine della Juventus e, di riflesso, quella del proprio giocattolo da spolpare al di là di ogni giustissima condotta di lealtà sportiva.

In buona sostanza, la Juventus tiene la Serie A per gli attributi, quindi si sente libera di poter agire in qualsiasi modo.

La Juventus non può essere un modello

Il garantista Gravina - eccelso pompiere durante l'incendio divampato nelle ultime settimane - si è dovuto arrendere all'inevitabilità di una sanzione dura, ma giusta. Un discorso corretto, il suo, a margine dell'Assemblea Federale, condivisibile in tanti punti, fuorché uno: la Juventus non può essere un modello.

Non può esserlo per gli ultimi venti anni di direzione: dalla triade Luciano Moggi, Bettaga e Giraudo e Calciopoli, passando per quella fallimentare (dal punto di vista sportivo) di Cobolli-Gigli e infine alla recentissima gestione sotto inchiesta by Andrea Agnelli. Insomma, come può essere definito modello una business unit che passa più tempo in tribunale che nei campi di calcio? Se, ad oggi, contiamo più ricorsi che punti in classifica per quale motivo tale società dovrebbe essere additata come modello?

E allora fallisca pure

Giuseppe Chiné, un magistrato, un uomo che vive di legge e cerca di farle rispettare, espleti pure il suo dovere professionale: faccia piazza pulita. Lo faccia, anche se questo dovesse decretare la fine del nostro calcio. Lo faccia, perché se un'associazione con scopo di lucro composta da venti aziende è tenuta ostaggio dalla più potente e ricca, ma al contempo la più dolosa, è giusto che tale associazione fallisca quando c'è da far fallire l'azienda principe che vuole avere mani e occhi dappertutto.

Si riparta da zero, senza vincoli tirannici a tessere il destino di tutti i partecipanti. Se non si è in grado di liberarsi di questa pesantissima zavorra, buonanotte Figgiccì e tanti cari saluti. Se abbiamo la possibilità, in questo stramaledetto momento storico, di far trionfare Madame Giustizia e radere al suolo un sistema di potere fatto di tirannia e ricatti: si colga l'occasione per demolirlo. E allora sì che il calcio italiano potrà ripulirsi la faccia.

Diversamente, fallisca pure. Muoia Sansone con tutti i filistei.