Le morti del calcio impongono una riflessione. Un’intensa e forte riflessione, aggiungerei. Leucemia, SLA, neoplasia, malattie degenerative, sono terminologie che negli anni hanno preso sempre più corpo - con conseguenze irrimediabili - per chi pratica, o ha praticato, questo sport. Un consumo eccessivo di farmaci perplime i protagonisti del passato, non ultime le dichiarazioni di Marco Tardelli e Dino Baggio, e pone quesiti, domande e dubbi sui decessi avvenuti in questi anni. Gianluca Signorini, Stefano Borgonovo, fino ad arrivare ai giorni d’oggi con i casi di Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli. Trascorsi basati su un uso massiccio e incontrollato di farmaci per poi vederli etichettati nell’elenco proibito delle sostanze dopanti.

A parlarne è uno dei medici sportivi più prestigiosi del calcio italiano, Enrico Castellacci, specializzato in Medicina dello Sport e in Ortopedia e Traumatologia, presidente dell’Associazione Italiana Medici del Calcio, è stato medico sportivo della Lucchese, dell’Empoli e ancora della Juventus, nonché parte dello staff della Nazionale italiana di Marcello Lippi dei vittoriosi mondiali in Germania 2006.

Durante la sua intervista su open.online dichiara che quello che è necessario fare ora è uscire dalla bolla emozionale in cui tutti siamo sprofondati per renderci conto di un fatto oggettivo: “Non esistono ad oggi prove scientifiche che confermino un reale collegamento tra i farmaci di cui parlano gli atleti e i tumori. Questo dobbiamo ribadirlo per onestà intellettuale. È altrettanto chiaro che l’abuso di qualsiasi farmaco è sempre un grosso rischio in sé e questo non sarebbe giusto sottovalutarlo”.

In riferimento ad un’altra recente dichiarazione di Lamberto Boranga - storico portiere della serie A ma anche specializzato in medicina sportiva - il quale ha raccontato di un sovradosaggio molto frequente a cui si usava ricorrere per avere maggiore resistenza e concentrazione - gli è stato chiesto che tipo di medicina sportiva fosse quella degli anni ’80 e ’90.

A tal proposito, l’esperto in materia ha risposto che da quei tempi la classe medica è totalmente cambiata e che dai medici assunti per conoscenza o amicizie dirigenziali quelli odierni sono scelti - esclusivamente - in base alla specialistica ottenuta nella medicina dello sport.

Un medico che a quel tempo prescriveva farmaci” sottolinea “lo faceva nel pieno della legittimità della sua azione terapeutica. Ma è altresì che quello presente a suo tempo era un’ambiente calcistico sotto pressione. Un pressing psicologico che le società esercitavano sulla squadra e sul medico, chiamato a far giocare il più possibile il calciatore”.

Ripercorrendo la cronologia degli eventi succeduti, tra i nomi dei farmaci più citati c’è quello del Micoren - un analettico respiratorio in grado di aumentare frequenza e l’ampiezza respiratoria - gli è stato chiesto del sul possibile effetto nocivo e dell’ipotetico rapporto con la nascita di formazioni neoplastiche.

La questione del Micoren ha sempre fatto impressione: non è facile venire a sapere che uno dei farmaci che hai usato di più da quel momento è considerato sostanza dopante. Da medico posso dire che ho forti dubbi sul fatto che dosi relative di Micoren possano aver avuto un reale effetto nocivo. Il sovradosaggio è un altro discorso e non si può escludere che ci sia stato. Ma soprattutto sul collegamento con i tumori io andrei molto cauto. Rispetto alla Sla, per esempio, c’è molta meno evidenza sul piano oncologico. Questo però non vuol dire che la riflessione non debba essere fatta. Ho apprezzato quello che hanno detto Boranga, Tardelli e gli altri. Hanno posto delle riflessioni essenziali a livello medico: la ricerca oggi ha il dovere di approfondire”.

Sulla possibilità di arrivare a percepire nuovi fondi per la ricerca sul legame tra doping e malattie nel calcio il dottor Castellacci non ha dubbi sul dare priorità alla questione SLA: “La percentuale di incidenza di quest’ultima ha generato l’allarme generale tra gli atleti rispetto ad altre patologie. La riflessione dovrebbe essere fatta sulla frequenza che questa malattia neurodegenerativa sta incidendo tra gli ex calciatori”.

Un esempio riportato dallo specialista è quello maggiormente citato tra gli sport di contatto, ovvero il Football americano: “Gli studi hanno provato che continue commozioni cerebrali potevano portare a un’alterazione neurodegenerativa. Dobbiamo anche noi andare in questa direzione e approfondire come mai questo dato non rientra ancora nelle statistiche di maggior rilievo”.