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Papa Francesco
Papa Francesco

Ciao Francesco, non sei tu che hai fallito, il problema siamo noi. Noi che, aggrappati alla maschera della decenza, ci barcameniamo tra i banchi di un paese di accoliti claudicanti, incapaci di reggere il peso della coerenza. Ci rifugiamo nel rito, nella retorica e nell’attenuante del tuo trapasso per dare una lucidata morale a un paese bigotto, compassato, conservatore fino al midollo. Ti celebriamo adesso, post-mortem, solo perché non puoi più disturbare.

Papa Francesco
Papa Francesco

In un’Italia che si dice progressista, democratica, tollerante, ancora oggi ci si scandalizza per l’unione civile tra due persone dello stesso sesso. L’amore, quello vero, è accettato solo se rientra nei parametri della tradizione benedetta da una croce d’oro. Tu volevi una Chiesa aperta a tutti, ma i poteri forti — quelli veri, quelli che sorridono in pubblico e tramano nei corridoi del potere — ti hanno tenuto al guinzaglio finché conveniva. Finché il volto rivoluzionario di un Papa non minacciava davvero di cambiare le regole.

Una lavata di faccia del BelPaese

Hai chiesto una Chiesa povera per i poveri. Hai parlato ai migranti, agli ultimi, ai carcerati, ai dimenticati. Ti sei schierato contro i crimini di guerra, hai condannato il razzismo senza infingimenti. Hai scelto di vivere tra le mura di Casa Santa Marta, rifiutando il Palazzo Apostolico, simbolo stesso di quella Curia che tanto hai cercato di scuotere. Eppure, oggi quelle stesse mura risuonano delle voci di chi ti ha ostacolato e ora ti piange con la voce spezzata, ma solo per salvare la faccia.

Da Papa hai creduto in uno Stato laico più di quanto lo facciano le sue stesse istituzioni. Hai chiesto tu di far eleggere Ratzinger, in un gesto di umiltà che oggi stride con la grandeur delle liturgie organizzate per la tua dipartita. E ci siamo presi la briga di fermare solo il calcio — quello che tu amavi, ma non guardavi più per voto alla Vergine del Carmelo — mentre le fabbriche, gli uffici, le trasmissioni scorrevano normali, come se nulla fosse. Perché è sempre più facile ripulire la coscienza a metà.

Hai scelto il silenzio di una promessa fatta trentatré anni fa, rinunciando perfino alla gioia di vedere la tua Argentina vincere il mondiale. Perché per te non era questione di peccato, ma di disciplina interiore, di coerenza con la fede. Chi può dire oggi di avere lo stesso coraggio?

E ora, verrai sepolto dinanzi all’ambasciata della tua amata terra. Il cerchio si chiude là dove tutto è cominciato: tra le ombre della politica e le luci fioche di una spiritualità che ancora cerca casa.

Francesco, hai comunque vinto

Hai lasciato un seme tra credenti, scettici, disillusi. Hai parlato con i gesti, non solo con le encicliche. Hai fatto della povertà un messaggio e non un’ostentazione. Ma oggi, nel giorno in cui ti salutiamo, siamo costretti a guardare lo spettacolo impietoso del Festival dell’Ipocrisia: diplomatici, prelati, capi di stato — molti dei quali ti hanno osteggiato — schierati in prima fila a battersi il petto per decenza, non per pentimento.

Non sei tu che non ce l’hai fatta, Francesco.  
Siamo noi che continuiamo a perdere.


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