Moggi cammina con me
L’articolo odierno si apre con un piccolo indovinello. Qui di seguito verranno riportate tre frasi celebri, pronunciate da personaggi altrettanto famosi, che hanno una parola (aggettivata o sotto forma di sostantivo) in comune. Vediamo chi riuscirà ad indovinarla.
- “[…] Rifiutava la Bibbia perché diceva che il personaggio centrale non era assolutamente ----------- .“
- “Solo i fatti danno ----------- alle parole.”
- “La -------- è quello che dicono di voi quando siete assenti.”
Ecco, avete trenta secondi per riflettere ed indovinare, dopodiché potete passare al primo rigo dopo i puntini di sospensione per risolvere il semplice arcano.
…
La parola in comune è credibile/credibilità, come molti avranno intuito. Nella prima citazione, Woody Allen costruisce un paradosso atto a dimostrare come la religione più diffusa nel pianeta – ma varrebbe lo stesso anche per le altre –si regga su un personaggio e una serie di eventi che attingono direttamente alla sospensione di incredulità: una mente razionale non potrebbe crederci, ciò che serve per farlo è dunque un atto di fede.
La seconda citazione è di un personaggio che con la fede aveva molto da spartire: Sant’Agostino. Qui il concetto è molto chiaro: la credibilità la si costruisce con le azioni che uno compie, non con le parole.
La terza e ultima citazione descrive un’altra caratteristica che, se ci pensate, è in contrapposizione con quella precedente: se per il celebre autore de le “Confessioni” i fatti sono la cartina tornasole della credibilità, la terza riflessione invece la relaziona alle parole – ai pettegolezzi quasi – visto che non sono le frasi pronunciate in presenza della persona, ma quelle in sua assenza, magari sussurrate in un orecchio dandosi di gomito mentre si allontana, ad assegnarle credibilità. Tenete bene a mente quest’ultima interpretazione, ci torneremo.
La credibilità, comunque la si definisca, è un aspetto che però viene tenuto molto in considerazione quando, per esempio, si deve consegnare un premio. Prendete l’ultima cerimonia degli Oscar: l’azione commessa da Will Smith, lo schiaffo dato a Chris Rock durante la premiazione, lo ha estromesso da tutte le cerimonie ufficiali dell’Academy per dieci anni. Will Smith ha perso la testa per dieci minuti ed è stato giustamente punito per dieci anni perché sarebbe stato, secondo gli organizzatori, poco credibile celebrarlo dopo lo scandaloso comportamento in mondovisione.
Ancora: se andiamo a guardare gli Oscar alla carriera degli ultimi anni, leggerete tutti dei grandissimi nomi: da Lina Wertmuller a Samuel L. Jackson, da David Lynch a Peter Weir. Attori e registi che, appunto, nell’arco di tutta la loro vita professionale hanno dato enorme lustro al Cinema e ne danno ancora.
Il regista occulto del Calcio italiano che fu
Cosa succede in Italia nel frattempo? Beh, in Italia accade che, dal 13 al 19 dicembre, nella cornice del teatro Augusteo di Salerno, verrà tenuta la cerimonia di premiazione “Italian Sport Awards”, con il patrocinio del CONI, dell’AIA, dell’Ordine dei giornalisti, come potrete vedere da voi andando sull'apposito sito.
Anche per questo Gran Galà del Calcio è previsto un premio alla Carriera e, per l’occasione, saranno ben tre gli sportivi o addetti ai lavori che, per merito, verranno premiati. I nomi:
Franck Ribery. Giusto, grande calciatore, ha vinto tutto, o quasi, se non fosse stato per l’Italia del 2006, e ha mostrato notevole spessore umano andando, al tramonto di una luminosa carriera, ad immergersi in una realtà locale come quella di Salerno.
Corrado Ferlaino il secondo nome. Già qui qualcuno potrebbe storcere il naso. Se da un lato Ferlaino è stato uno degli artefici del miracolo napoletano, è anche vero che per produrre quel miracolo ha ipotecato il futuro del club per i vent’anni successivi. Vent’anni di lacrime e sangue per i tifosi del Napoli, ma qui si entrerebbe in una questione paludosa e, tuttavia, questo riconoscimento per l'ingegnere non ci pare scandaloso. Discutibile sì. Parecchio.
Terzo ed ultimo nome.
Luciano Moggi.
Come, scusa? Non abbiamo capito.
Avete capito bene.
Luciano Moggi. Premio alla Carriera.
Ma quel Luciano Moggi? Magari è un caso di omonimia.
Proprio quello.
Moggi, le cui malefatte in ambito calcistico sono state talmente tante e riconosciute che, per quanto si voglia essere garantisti, dimenticarsene sarebbe un atto di amnesia tale da essere incluso nel famoso saggio del neurologo Oliver Sacks "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello", è dunque ritenuto come un personaggio che ha dato lustro ed onore al Calcio italiano. Un professionista da prendere come esempio. Il David Lynch della dirigenza sportiva, insomma. Immaginate il suo incedere tra i meandri del palazzo di Giustizia, prima di un processo, con la colonna sonora di Twin Peaks, composta dal grande Badalamenti scomparso proprio l'altro giorno (e lui sì che avrebbe meritato un Oscar alla Carriera).
Se Moggi è stato scelto, evidentemente, è perché è ritenuto un personaggio credibile.
E dunque ritorniamo alle tre definizioni fornite all’inizio.
Credibilità non fa rima con Verità
Sembra lapalissiano che, per chi ha scelto quel terzo nome tra i premiati, l’aspetto più importante della credibilità non sia quello fattuale, ma quello volatile delle parole, dette nei corridoi delle stanze del potere, presumibilmente. Non è un caso che colui che ha coniato quell’ultima citazione sia Jeff Bezos, un uomo che conosce bene il potere e che sa cosa conta davvero per emergere ai piani alti della comunicazione e degli affari, in qualsiasi ambito.
Luciano Moggi, dunque, dev’essere uno di quei nomi che il nostro Calcio, prima privatamente, ma adesso, con questo premio, anche pubblicamente, rimpiange. Uno di quei personaggi che servirebbe all’Italia calcistica per riemergere dalla crisi identitaria e di risultati nella quale è impantanata da tempo. Crisi di credibilità, oseremmo dire.
Del resto, se vogliamo ridurre tutto ai minimi termini, essere credibili non indica altro che la capacità di essere creduti. E quest’abilità, se ci pensate, non ha nulla a che fare con la verità. Non importa il contenuto delle parole, né delle azioni. Una menzogna ben costruita può risultare più credibile di una verità. Al limite ci si affida ad un atto di fede, come nelle religioni. Oppure basta ripeterla mille volte fino a farle acquisire dignità di verità. Che poi è quello che fa Moggi sistematicamente da anni, con la complicità di diversi mass media, televisivi o cartacei, che ne ospitano gli interventi.
E allora, se accettiamo questa spiegazione, tutto vale e tutto è concesso. Anche dare un premio alla Carriera a Luciano Moggi.
Basta accettare le premesse di cui sopra e farle diventare un mantra.
Basta riconoscere che il Calcio Italiano è una menzogna ben costruita. E nemmeno tanto bene, in fondo.