Il Napoli batte il Sassuolo 2 a 0 nella sua prima esibizione stagionale in un Maradona tutt’altro che sold out.

Partenza arrembante che tradisce la voglia del gruppo di ritornare a fare quello che gli riesce meglio: giocare a pallone come Dio comanda. Nella sua prima intervista a Capodimonte, Rudi Garcia aveva spiegato che, a un gioco già collaudato, avrebbe aggiunto qualcosa di suo.

Non una frase fatta. E sopratutto non un progetto a lungo termine, visto che già stasera, alla seconda ufficiale, si vedono forte e chiaro i segnali della rivoluzione dolce in atto.

Le variabili al gioco di Spalletti sono molteplici. E non sono proiezioni, ma principi già ben visibili. Qualcuno storcerà il naso giocandosi la carta del calcio d’agosto, ne parleremo più in là.

Chi invece non ha paura di esporsi può seguire la scia di quello proposto dalla squadra questa sera, contro un Sassuolo sembrato davvero squadra di due categorie inferiori.

Partiamo dal possesso palla. Più asciutto. E la linea difensiva, meno alta. I principi posizionali sono più evoluti e sono distribuiti su ogni componente. Persino Lobotka si è spostato dalla sua mattonella. Oltre a Di Lorenzo, anche Olivera entra nel campo e attacca la profondità nel binario interno. Molto a suo agio in questo quadro tattico sembra essere Raspadori, che ora è sottopunta, ora è prima punta, ora partecipa alla catena di sinistra, dopo un minuto a quella di destra.

Il viaggio nel cambiamento continua con l’attacco dell’area. L’azione si conclude mediamente con 5 giocatori che occupano lo specchio della porta. Ma come posizione media, gli esterni sono molto a ridosso della zona centrale della trequarti, con Piotr Zielinski - fuoriclasse assoluto nel pieno della consapevolezza - che detta i tempi del battere e levare.

Ultimo dato evidente è la gestione dei cambi. L’attitudine di Garcia a non percorrere un solo modello di gioco è palese è in questa ottica, anche la storia dei due per ruoli obbligatori perde forza critica.

Il tecnico francese ha tutta l’aria di voler incidere. E il linguaggio del corpo della squadra, in campo, non mente. La strada è ancora lunga, ma è quella giusta.