Toccherebbe rispolverare Flaiano. Perché sì, la situazione è grave, ma guai a definirla seria. E il Napoli si sta impegnando a toccare vette altissime di puro parossismo, in pieno stile New Era.

Pensavamo, sinceramente, che l’estate scorsa avessimo graffiato il fondo, con due sessioni di calciomercato oscillanti tra il ridicolo e il patetico. Beh, una stagione sbagliata può capitare a tutti – dicevamo – e, guardando schifati al resto di una stagione che scientemente s’era deciso di sabotare, abbiamo a lungo atteso il sussulto di fine primavera.

Sussulto che ha portato l’entusiasmo delle prime settimane d’estate, con l’arrivo di Antonio Conte, del suo corposissimo staff e della sua proverbiale tempra da condottiero. Possiamo tranquillamente ammettere che nemmeno l’allenatore più esigente del mondo è riuscito ad invertire la rotta di una società che sembra essere caduta in una spirale di negatività, di subalternità col mondo esterno e di totale assenza di piglio decisionista.

Luigi XVI andò dritto per la sua strada e, chiamato dalla folla, scelse di ignorarla, intortato dalla pletora di cortigiani che, bontà loro, raccontavano scenari idilliaci, elegie lutesie e sigari monegaschi. Finendo per perdere il regno, la dignità e la testa.

Il dibattito pubblico intorno al Napoli è deprimente. E genera il nonsense di una società o sempre colpevole o sempre innocente. Anche di fronte alle più grandi figuracce (così come fu per i grandi successi).

Pensare che ci sia voluto un mese per bocciare mezza squadra, la stessa che oggi si fa fatica a piazzare pure per poco e niente, senza considerare l’elefante nel corridoio, l’ex (oramai da un anno) Osimhen, depauperizzati da una congiuntura particolare e da rapporti mal salvaguardati nel tempo, ed essere arrivati a ferragosto con una rosa martorizzata da un livello tecnico imbarazzante (forse è dir poco) e amorfa, stride con le premesse anche del più pessimista dei tifosi.

Più che le parole, gli occhi di Conte – che ovviamente avrà l’onere di dimostrare di essere stato tradito – raccontavano un malessere reale. Ma Manna, il ds plenipotenziario che si aggira in solitudine negli aeroporti di mezza Europa e al quale piace tanto spifferare le proprie iniziative a qualche cronista, tutto questo sembra ignorarlo con scienza e coscienza, inseguendo profili, trattando con gli agenti, trovando accordi con società e poi lasciando il tutto nel vanesio mondo del ‘potrebbe’.

Il capolavoro dell’assurdo, la doppia visita medica a preludio delle due trattative saltate, quella in uscita, con Cajuste, e quella in entrata, con Brescianini – che oggi stranamente piace a tutti e ieri solo a me, ma questo attiene ad un altro discorso – riscrive l’antologia delle pessime figure, aggiornando un almanacco che, ad onor del vero, ha coinvolto praticamente tutte le teste passate per il quartier generale di Castelvolturno, sin dai tempi non sospetti.

Ed è qui che occorre chiamare in causa ancora una volta i vertici. Perché sino a ieri io mi sono tenuto alla larga dal solito gioco al massacro che investe il De Laurentiis Malaussène, reo della qualunque e bersaglio ricorsivo da vent’anni; ma oggi, di fronte ai barili di the sversati al largo di Boston, non si può non gridare un May Day su questa che pare diventare sempre meno la stagione del rilancio e sempre più un reality show su come gestire i disastri programmatici.

Appelli al cambio di passo non servono più. Il modus operandi appare inadatto a quagliare, per dirla col senso pratico, e sembrano sempre più prossimi gli scenari drammatici che quelli idilliaci. Non resta molto altro che sconcerto. E quella sensazione, latente ancorchè nauseabonda, di decrescita felice, con tanto di orchestrina in sottofondo e odalische condite di inopportuno languore.

https://youtu.be/svrZ-ZtUty4?si=IjBE8hjDVe_xexqf
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